plc- Sottovoce a te madre

Maria Luisa Daniele Toffanin

Premi letterari conseguiti

Sottovoce a te madre

 

 

 
 


2016

XVIII Premio Il Litorale
– Massa


Premio speciale della giuria


2015

XXXVI Premio Il Portone
– Pisa

2° premio
 

Questo l’inizio della plaquette che già
tiene in sé un climax ascensionale, un abbraccio alla terra e alle sue
storie, per trasferirle là dove Lui tutto contiene «in un eterno celeste
presente». Come a contraddire il potere della morte, come a sconfiggere
la tracotanza del tempo che tutto travolge e tutto fagocita in un
inarrestabile ritmo disumano. Un Lui salvatore e riparatore delle
sottrazioni a cui il terreno ci sottopone; quelle sottrazioni che ci
procurano dolori indicibili dacché tali mancanze vorremmo che non
arrivassero mai, fino al punto di pensarle e di vederle eterne: hai
tali e tante età / da non avere età. / Mater mea / senza tempo / ami la
vita
.
Sta qui la grandezza di questa silloge, in una simbiotica fusione di
cielo e terra, di Thanatos e Eros, di vita e morte; di quiete e dolore
in questa dualità fra luce ed ombra, in questa scalata verso la
luminosità del Cielo che, come preghiera, annulla ogni spigolo
dell’umano vivere: E il tuo albicocco in umana forma / vive rivive
anche in una favola / in volo verso il divino schermo / ché tu la legga
nei cenacoli del cielo / come meraviglia rifiorita sulla terra
…
Poesia di catarsi, di rugiadosi petali, di armonie: Così allora che
tu ti spegnesti / catarsi e armonia mi infuse il verso / e mi colmò il
vuoto dell’assenza / di rugiadosi petali./ Con la parola ti rievocavo /
e mi apparivi viva accanto / in queste pagine che Sottovoce ti allego /
da leggere in comunione con altri / che abitano con te il cielo…
Poesia che dice di momenti di grande resa lirica, di effettiva
efficacia poematica, in cui la parola si scorcia o si allunga, si smorza
o si rattiene, per seguire l’impeto di un fiume che romperebbe gli
argini se non fosse sorretto da un robusto stilema. E anche se la
Toffanin riesce ad allungare sguardi verso eteree ed edeniche soglie di
fede, lo fa sempre partendo dalla coscienza della ristrettezza del
vivere; dalla visionaria verità di una vita bruciata: Ormai il vero
scopre se stesso / Lo sento, mi urla impietoso che / La vita intera è
infine bruciata. / Resta solo un fascio minuto / D’esili raggi di sole.
// E si leva un vento mesto / Un lieve piangere di foglie / Un’ala
grigia di presagio
.
Ed è la natura a farsi interprete prima nelle vicende della Nostra. Una
natura che prende per mano l’Autrice e l’accompagna in un autunno che
tanto sa di redderationem, di ultimazione, dove «Struggente è il vano
nutrirti / d’amare illusioni, vuoto / scavato dentro da non saziare
più».
Un poema alla madre i cui versi si intersecano in agili e apodittici
costrutti, per agguantare gli abbrivi emotivi che ne fanno una voce di
ontologica plurivocità. Un poièin estremamente suggestivo e
carico di motivazioni umane, di affondi naturistici contaminati per
cromie e simbologia esistenziale. Un poema il cui titolo – Sottovoce
a te madre
– fa da prodromico ingresso ad una storia verticale e
orizzontale per la sua polivalenza. Uno spartito di polisemica
significanza dove ogni elemento che lo compone fa parte di un tutto
organico e circolare: vita morte vita. Sì, proprio vita! La sua
irripetibile casualità, la sua unicità e bellezza dominano in questa
vicenda umana illuminata da squarci di cielo, voci di mare, gridi
d’amore: Passero triste / nelle ore lunghe di grigi tramonti. /
Aquila audace / felice a sconfinare nuovi orizzonti. // Così rimarrai
negli occhi del cuore.


 

 

 

Questo l’inizio della plaquette che già
tiene in sé un climax ascensionale, un abbraccio alla terra e alle sue
storie, per trasferirle là dove Lui tutto contiene «in un eterno celeste
presente». Come a contraddire il potere della morte, come a sconfiggere
la tracotanza del tempo che tutto travolge e tutto fagocita in un
inarrestabile ritmo disumano. Un Lui salvatore e riparatore delle
sottrazioni a cui il terreno ci sottopone; quelle sottrazioni che ci
procurano dolori indicibili dacché tali mancanze vorremmo che non
arrivassero mai, fino al punto di pensarle e di vederle eterne: hai
tali e tante età / da non avere età. / Mater mea / senza tempo / ami la
vita
.
Sta qui la grandezza di questa silloge, in una simbiotica fusione di
cielo e terra, di Thanatos e Eros, di vita e morte; di quiete e dolore
in questa dualità fra luce ed ombra, in questa scalata verso la
luminosità del Cielo che, come preghiera, annulla ogni spigolo
dell’umano vivere: E il tuo albicocco in umana forma / vive rivive
anche in una favola / in volo verso il divino schermo / ché tu la legga
nei cenacoli del cielo / come meraviglia rifiorita sulla terra
…
Poesia di catarsi, di rugiadosi petali, di armonie: Così allora che
tu ti spegnesti / catarsi e armonia mi infuse il verso / e mi colmò il
vuoto dell’assenza / di rugiadosi petali./ Con la parola ti rievocavo /
e mi apparivi viva accanto / in queste pagine che Sottovoce ti allego /
da leggere in comunione con altri / che abitano con te il cielo…
Poesia che dice di momenti di grande resa lirica, di effettiva
efficacia poematica, in cui la parola si scorcia o si allunga, si smorza
o si rattiene, per seguire l’impeto di un fiume che romperebbe gli
argini se non fosse sorretto da un robusto stilema. E anche se la
Toffanin riesce ad allungare sguardi verso eteree ed edeniche soglie di
fede, lo fa sempre partendo dalla coscienza della ristrettezza del
vivere; dalla visionaria verità di una vita bruciata: Ormai il vero
scopre se stesso / Lo sento, mi urla impietoso che / La vita intera è
infine bruciata. / Resta solo un fascio minuto / D’esili raggi di sole.
// E si leva un vento mesto / Un lieve piangere di foglie / Un’ala
grigia di presagio
.
Ed è la natura a farsi interprete prima nelle vicende della Nostra. Una
natura che prende per mano l’Autrice e l’accompagna in un autunno che
tanto sa di redderationem, di ultimazione, dove «Struggente è il vano
nutrirti / d’amare illusioni, vuoto / scavato dentro da non saziare
più».
Un poema alla madre i cui versi si intersecano in agili e apodittici
costrutti, per agguantare gli abbrivi emotivi che ne fanno una voce di
ontologica plurivocità. Un poièin estremamente suggestivo e
carico di motivazioni umane, di affondi naturistici contaminati per
cromie e simbologia esistenziale. Un poema il cui titolo – Sottovoce
a te madre
– fa da prodromico ingresso ad una storia verticale e
orizzontale per la sua polivalenza. Uno spartito di polisemica
significanza dove ogni elemento che lo compone fa parte di un tutto
organico e circolare: vita morte vita. Sì, proprio vita! La sua
irripetibile casualità, la sua unicità e bellezza dominano in questa
vicenda umana illuminata da squarci di cielo, voci di mare, gridi
d’amore: Passero triste / nelle ore lunghe di grigi tramonti. /
Aquila audace / felice a sconfinare nuovi orizzonti. // Così rimarrai
negli occhi del cuore.

Questo l’inizio della plaquette che già
tiene in sé un climax ascensionale, un abbraccio alla terra e alle sue
storie, per trasferirle là dove Lui tutto contiene «in un eterno celeste
presente». Come a contraddire il potere della morte, come a sconfiggere
la tracotanza del tempo che tutto travolge e tutto fagocita in un
inarrestabile ritmo disumano. Un Lui salvatore e riparatore delle
sottrazioni a cui il terreno ci sottopone; quelle sottrazioni che ci
procurano dolori indicibili dacché tali mancanze vorremmo che non
arrivassero mai, fino al punto di pensarle e di vederle eterne: hai
tali e tante età / da non avere età. / Mater mea / senza tempo / ami la
vita
.
Sta qui la grandezza di questa silloge, in una simbiotica fusione di
cielo e terra, di Thanatos e Eros, di vita e morte; di quiete e dolore
in questa dualità fra luce ed ombra, in questa scalata verso la
luminosità del Cielo che, come preghiera, annulla ogni spigolo
dell’umano vivere: E il tuo albicocco in umana forma / vive rivive
anche in una favola / in volo verso il divino schermo / ché tu la legga
nei cenacoli del cielo / come meraviglia rifiorita sulla terra
…
Poesia di catarsi, di rugiadosi petali, di armonie: Così allora che
tu ti spegnesti / catarsi e armonia mi infuse il verso / e mi colmò il
vuoto dell’assenza / di rugiadosi petali./ Con la parola ti rievocavo /
e mi apparivi viva accanto / in queste pagine che Sottovoce ti allego /
da leggere in comunione con altri / che abitano con te il cielo…
Poesia che dice di momenti di grande resa lirica, di effettiva
efficacia poematica, in cui la parola si scorcia o si allunga, si smorza
o si rattiene, per seguire l’impeto di un fiume che romperebbe gli
argini se non fosse sorretto da un robusto stilema. E anche se la
Toffanin riesce ad allungare sguardi verso eteree ed edeniche soglie di
fede, lo fa sempre partendo dalla coscienza della ristrettezza del
vivere; dalla visionaria verità di una vita bruciata: Ormai il vero
scopre se stesso / Lo sento, mi urla impietoso che / La vita intera è
infine bruciata. / Resta solo un fascio minuto / D’esili raggi di sole.
// E si leva un vento mesto / Un lieve piangere di foglie / Un’ala
grigia di presagio
.
Ed è la natura a farsi interprete prima nelle vicende della Nostra. Una
natura che prende per mano l’Autrice e l’accompagna in un autunno che
tanto sa di redderationem, di ultimazione, dove «Struggente è il vano
nutrirti / d’amare illusioni, vuoto / scavato dentro da non saziare
più».
Un poema alla madre i cui versi si intersecano in agili e apodittici
costrutti, per agguantare gli abbrivi emotivi che ne fanno una voce di
ontologica plurivocità. Un poièin estremamente suggestivo e
carico di motivazioni umane, di affondi naturistici contaminati per
cromie e simbologia esistenziale. Un poema il cui titolo – Sottovoce
a te madre
– fa da prodromico ingresso ad una storia verticale e
orizzontale per la sua polivalenza. Uno spartito di polisemica
significanza dove ogni elemento che lo compone fa parte di un tutto
organico e circolare: vita morte vita. Sì, proprio vita! La sua
irripetibile casualità, la sua unicità e bellezza dominano in questa
vicenda umana illuminata da squarci di cielo, voci di mare, gridi
d’amore: Passero triste / nelle ore lunghe di grigi tramonti. /
Aquila audace / felice a sconfinare nuovi orizzonti. // Così rimarrai
negli occhi del cuore.

Maria Luisa Daniele Toffanin

Premi letterari conseguiti

Sottovoce a te madre

 

 

 
 


2016

XVIII Premio Il Litorale
– Massa


Premio speciale della giuria


2015

XXXVI Premio Il Portone
– Pisa

2° premio
 

Questo l’inizio della plaquette che già
tiene in sé un climax ascensionale, un abbraccio alla terra e alle sue
storie, per trasferirle là dove Lui tutto contiene «in un eterno celeste
presente». Come a contraddire il potere della morte, come a sconfiggere
la tracotanza del tempo che tutto travolge e tutto fagocita in un
inarrestabile ritmo disumano. Un Lui salvatore e riparatore delle
sottrazioni a cui il terreno ci sottopone; quelle sottrazioni che ci
procurano dolori indicibili dacché tali mancanze vorremmo che non
arrivassero mai, fino al punto di pensarle e di vederle eterne: hai
tali e tante età / da non avere età. / Mater mea / senza tempo / ami la
vita
.
Sta qui la grandezza di questa silloge, in una simbiotica fusione di
cielo e terra, di Thanatos e Eros, di vita e morte; di quiete e dolore
in questa dualità fra luce ed ombra, in questa scalata verso la
luminosità del Cielo che, come preghiera, annulla ogni spigolo
dell’umano vivere: E il tuo albicocco in umana forma / vive rivive
anche in una favola / in volo verso il divino schermo / ché tu la legga
nei cenacoli del cielo / come meraviglia rifiorita sulla terra
…
Poesia di catarsi, di rugiadosi petali, di armonie: Così allora che
tu ti spegnesti / catarsi e armonia mi infuse il verso / e mi colmò il
vuoto dell’assenza / di rugiadosi petali./ Con la parola ti rievocavo /
e mi apparivi viva accanto / in queste pagine che Sottovoce ti allego /
da leggere in comunione con altri / che abitano con te il cielo…
Poesia che dice di momenti di grande resa lirica, di effettiva
efficacia poematica, in cui la parola si scorcia o si allunga, si smorza
o si rattiene, per seguire l’impeto di un fiume che romperebbe gli
argini se non fosse sorretto da un robusto stilema. E anche se la
Toffanin riesce ad allungare sguardi verso eteree ed edeniche soglie di
fede, lo fa sempre partendo dalla coscienza della ristrettezza del
vivere; dalla visionaria verità di una vita bruciata: Ormai il vero
scopre se stesso / Lo sento, mi urla impietoso che / La vita intera è
infine bruciata. / Resta solo un fascio minuto / D’esili raggi di sole.
// E si leva un vento mesto / Un lieve piangere di foglie / Un’ala
grigia di presagio
.
Ed è la natura a farsi interprete prima nelle vicende della Nostra. Una
natura che prende per mano l’Autrice e l’accompagna in un autunno che
tanto sa di redderationem, di ultimazione, dove «Struggente è il vano
nutrirti / d’amare illusioni, vuoto / scavato dentro da non saziare
più».
Un poema alla madre i cui versi si intersecano in agili e apodittici
costrutti, per agguantare gli abbrivi emotivi che ne fanno una voce di
ontologica plurivocità. Un poièin estremamente suggestivo e
carico di motivazioni umane, di affondi naturistici contaminati per
cromie e simbologia esistenziale. Un poema il cui titolo – Sottovoce
a te madre
– fa da prodromico ingresso ad una storia verticale e
orizzontale per la sua polivalenza. Uno spartito di polisemica
significanza dove ogni elemento che lo compone fa parte di un tutto
organico e circolare: vita morte vita. Sì, proprio vita! La sua
irripetibile casualità, la sua unicità e bellezza dominano in questa
vicenda umana illuminata da squarci di cielo, voci di mare, gridi
d’amore: Passero triste / nelle ore lunghe di grigi tramonti. /
Aquila audace / felice a sconfinare nuovi orizzonti. // Così rimarrai
negli occhi del cuore.


 

 

 

Questo l’inizio della plaquette che già
tiene in sé un climax ascensionale, un abbraccio alla terra e alle sue
storie, per trasferirle là dove Lui tutto contiene «in un eterno celeste
presente». Come a contraddire il potere della morte, come a sconfiggere
la tracotanza del tempo che tutto travolge e tutto fagocita in un
inarrestabile ritmo disumano. Un Lui salvatore e riparatore delle
sottrazioni a cui il terreno ci sottopone; quelle sottrazioni che ci
procurano dolori indicibili dacché tali mancanze vorremmo che non
arrivassero mai, fino al punto di pensarle e di vederle eterne: hai
tali e tante età / da non avere età. / Mater mea / senza tempo / ami la
vita
.
Sta qui la grandezza di questa silloge, in una simbiotica fusione di
cielo e terra, di Thanatos e Eros, di vita e morte; di quiete e dolore
in questa dualità fra luce ed ombra, in questa scalata verso la
luminosità del Cielo che, come preghiera, annulla ogni spigolo
dell’umano vivere: E il tuo albicocco in umana forma / vive rivive
anche in una favola / in volo verso il divino schermo / ché tu la legga
nei cenacoli del cielo / come meraviglia rifiorita sulla terra
…
Poesia di catarsi, di rugiadosi petali, di armonie: Così allora che
tu ti spegnesti / catarsi e armonia mi infuse il verso / e mi colmò il
vuoto dell’assenza / di rugiadosi petali./ Con la parola ti rievocavo /
e mi apparivi viva accanto / in queste pagine che Sottovoce ti allego /
da leggere in comunione con altri / che abitano con te il cielo…
Poesia che dice di momenti di grande resa lirica, di effettiva
efficacia poematica, in cui la parola si scorcia o si allunga, si smorza
o si rattiene, per seguire l’impeto di un fiume che romperebbe gli
argini se non fosse sorretto da un robusto stilema. E anche se la
Toffanin riesce ad allungare sguardi verso eteree ed edeniche soglie di
fede, lo fa sempre partendo dalla coscienza della ristrettezza del
vivere; dalla visionaria verità di una vita bruciata: Ormai il vero
scopre se stesso / Lo sento, mi urla impietoso che / La vita intera è
infine bruciata. / Resta solo un fascio minuto / D’esili raggi di sole.
// E si leva un vento mesto / Un lieve piangere di foglie / Un’ala
grigia di presagio
.
Ed è la natura a farsi interprete prima nelle vicende della Nostra. Una
natura che prende per mano l’Autrice e l’accompagna in un autunno che
tanto sa di redderationem, di ultimazione, dove «Struggente è il vano
nutrirti / d’amare illusioni, vuoto / scavato dentro da non saziare
più».
Un poema alla madre i cui versi si intersecano in agili e apodittici
costrutti, per agguantare gli abbrivi emotivi che ne fanno una voce di
ontologica plurivocità. Un poièin estremamente suggestivo e
carico di motivazioni umane, di affondi naturistici contaminati per
cromie e simbologia esistenziale. Un poema il cui titolo – Sottovoce
a te madre
– fa da prodromico ingresso ad una storia verticale e
orizzontale per la sua polivalenza. Uno spartito di polisemica
significanza dove ogni elemento che lo compone fa parte di un tutto
organico e circolare: vita morte vita. Sì, proprio vita! La sua
irripetibile casualità, la sua unicità e bellezza dominano in questa
vicenda umana illuminata da squarci di cielo, voci di mare, gridi
d’amore: Passero triste / nelle ore lunghe di grigi tramonti. /
Aquila audace / felice a sconfinare nuovi orizzonti. // Così rimarrai
negli occhi del cuore.

Questo l’inizio della plaquette che già
tiene in sé un climax ascensionale, un abbraccio alla terra e alle sue
storie, per trasferirle là dove Lui tutto contiene «in un eterno celeste
presente». Come a contraddire il potere della morte, come a sconfiggere
la tracotanza del tempo che tutto travolge e tutto fagocita in un
inarrestabile ritmo disumano. Un Lui salvatore e riparatore delle
sottrazioni a cui il terreno ci sottopone; quelle sottrazioni che ci
procurano dolori indicibili dacché tali mancanze vorremmo che non
arrivassero mai, fino al punto di pensarle e di vederle eterne: hai
tali e tante età / da non avere età. / Mater mea / senza tempo / ami la
vita
.
Sta qui la grandezza di questa silloge, in una simbiotica fusione di
cielo e terra, di Thanatos e Eros, di vita e morte; di quiete e dolore
in questa dualità fra luce ed ombra, in questa scalata verso la
luminosità del Cielo che, come preghiera, annulla ogni spigolo
dell’umano vivere: E il tuo albicocco in umana forma / vive rivive
anche in una favola / in volo verso il divino schermo / ché tu la legga
nei cenacoli del cielo / come meraviglia rifiorita sulla terra
…
Poesia di catarsi, di rugiadosi petali, di armonie: Così allora che
tu ti spegnesti / catarsi e armonia mi infuse il verso / e mi colmò il
vuoto dell’assenza / di rugiadosi petali./ Con la parola ti rievocavo /
e mi apparivi viva accanto / in queste pagine che Sottovoce ti allego /
da leggere in comunione con altri / che abitano con te il cielo…
Poesia che dice di momenti di grande resa lirica, di effettiva
efficacia poematica, in cui la parola si scorcia o si allunga, si smorza
o si rattiene, per seguire l’impeto di un fiume che romperebbe gli
argini se non fosse sorretto da un robusto stilema. E anche se la
Toffanin riesce ad allungare sguardi verso eteree ed edeniche soglie di
fede, lo fa sempre partendo dalla coscienza della ristrettezza del
vivere; dalla visionaria verità di una vita bruciata: Ormai il vero
scopre se stesso / Lo sento, mi urla impietoso che / La vita intera è
infine bruciata. / Resta solo un fascio minuto / D’esili raggi di sole.
// E si leva un vento mesto / Un lieve piangere di foglie / Un’ala
grigia di presagio
.
Ed è la natura a farsi interprete prima nelle vicende della Nostra. Una
natura che prende per mano l’Autrice e l’accompagna in un autunno che
tanto sa di redderationem, di ultimazione, dove «Struggente è il vano
nutrirti / d’amare illusioni, vuoto / scavato dentro da non saziare
più».
Un poema alla madre i cui versi si intersecano in agili e apodittici
costrutti, per agguantare gli abbrivi emotivi che ne fanno una voce di
ontologica plurivocità. Un poièin estremamente suggestivo e
carico di motivazioni umane, di affondi naturistici contaminati per
cromie e simbologia esistenziale. Un poema il cui titolo – Sottovoce
a te madre
– fa da prodromico ingresso ad una storia verticale e
orizzontale per la sua polivalenza. Uno spartito di polisemica
significanza dove ogni elemento che lo compone fa parte di un tutto
organico e circolare: vita morte vita. Sì, proprio vita! La sua
irripetibile casualità, la sua unicità e bellezza dominano in questa
vicenda umana illuminata da squarci di cielo, voci di mare, gridi
d’amore: Passero triste / nelle ore lunghe di grigi tramonti. /
Aquila audace / felice a sconfinare nuovi orizzonti. // Così rimarrai
negli occhi del cuore.