Stefano Valentini – Fragmenta

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La Nuova Tribuna Letteraria, nr. 91/2008

Ripercorrere qui la produzione poetica dell’autrice appare superfluo considerate le numerosissime presentazioni in occasioni pubbliche e scuole, i riconoscimenti copiosi di giurie (nel solo 2007, per il libro di cui parliamo, tre vittorie al “Santa Maria in Castello” di Vecchiano, all”‘Histonium” di Vasto e al “Santa Margherita” di Lerici, un secondo posto, quattro terzi posti…) e di critici autorevoli, le recensioni sempre positive, un insieme di attestazioni facilmente riscontrabile anche attraverso internet. Basti quindi dire che di tutti i suoi cinque libri precedenti, apparsi dal 1998 in avanti, ci siamo occupati anche noi, convinti sin dall’inizio di trovarci di fronte ad un’autrice dal rilievo fuori dal comune, in almeno due casi parlando di opere-capolavori. Ebbene, con questi precedenti sembrerebbe difficile andare ancora oltre: invece questo Fragmenta lo fa, nonostante il titolo sembri suggerire un’idea (vera solo in parte) di frammentarietà e dispersione.

Non si tratta di un libro “più bello” degli altri, perché all’interno di una bibliografia come quella della Toffanin simili graduatorie hanno poco senso e si farebbe torto ai titoli già apparsi. Ma è un libro che in qualche modo riassume quanto fatto finora, ricomponendone gli elementi in una prospettiva d’insieme, rilanciando inoltre la sfida dal punto di vista espressivo, letterario, esistenziale. Si tratta infatti di un’opera al tempo stesso coerente con le precedenti e però diversa, maggiormente complessa, pluriforme, stratificata in termini tematici e temporali. Un libro che non assomiglia a nessun altro nel nostro panorama nazionale, così come avviene per lo stile stesso dell’autrice, e che può trovare solo alcune possibili contiguità (l’amato Zanzotto) ma non strette parentele. I fragmenta cui si allude nel titolo sono sì occasioni sparse, perché da esse (le più diverse, naturali e quotidiane) l’autrice capta sensibilmente spunti e intuizioni sui quali imbastire l’avvio delle proprie poesie: “occasioni”, dunque, in termini anche montaliani. Ma sono al tempo stesso “frammenti” intesi come schegge di un mondo e di un’identità frantumati: letti però non con il pessimismo desolato della Terra desolata eliotiana, ma nell’ottica positiva di un mondo e di un’identità che, attraverso tali occasioni/opportunità (che sono quindi anche dei “segni”, delle indicazioni direzionali), trovano una via maestra di ricomposizione e rigenerazione. Tale positività è una qualità fondativa di tutta la concezione dell’autrice e contribuisce a rendere, a nostro giudizio, la sua poesia così necessaria e apprezzata. Su tale orizzonte s’impiantano tutti gli altri elementi, tanti da poter riempire un intero saggio (magari un giorno lo scriveremo, o comunque qualcuno dovrà farlo) e che qui, invece, possiamo appena citare.

La figura della donna nelle sue età e attitudini, tanto persona reale che elemento archetipo, e in particolare della donna come madre (alla memoria della propria l’autrice dedica liriche memorabili) e quindi come identità generativa; la natura e il creato non come panorami più o meno liricheggiati, ma come fondamenta irrinunciabili del rapporto con l’esistenza; l’idea di un “nuovo umanesimo” in grado di riscoprire la bellezza dell’arte e della cultura come nutrimento dello spirito e valore etico; la dialettica vita/morte come archetipo di un ciclo di nascite e (appunto) di rigenerazioni tanto biologiche che spirituali; il fecondo rapporto tra il mito e il presente, il culto delle radici e l’attesa del futuro, l’inconoscibile e le possibili risposte; l’esistenza percepita come dono, sorpresa e meraviglia; l’intreccio di piani tra realtà vissuta e allegoria significante, nel quale la poesia trova nutrimento. Una varietà di motivi unificati in versi la cui musicalità non è melodica ma intimamente lessicale, retta da una ricchezza espressiva accuratissima e sapiente nutrita, a sua volta, da una rete di assonanze e consonanze. Si tratta inoltre di un libro pieno di persone, genitori e familiari e figli e amici e semplici incontri, in un’idea della vita come “gesto dell’altro” e “comune legge d’amore” fatta di “celesti rispondenze” perché tra le ragioni della poesia c’è per l’appunto quella di accomunare, non certo di dividere. Un’opera che, da fragmenta, si rivela così poema di inusitata densità e unitarietà tematica, in grado di avvolgere e coinvolgere chiunque vi si avvicini con animo e mente disponibili: accogliente e affettuoso nel dire “il mistero delle cose | in morbide umane forme”, un mistero che è dono “gemmato” (e ogni gemma è una nascita) per tutti noi, “acrobati felici d’infinito”.