Sandro Angelucci – Fragmenta

Maria Luisa Daniele Toffanin ha dato alle stampe, per Marsilio, nella collana Elleffe diretta da Cesare Ruffato, una nuova, interessante ed alta silloge poetica dal titolo quanto mai significativo Fragmenta, come potremo constatare in seguito. Si legge, nella bandella di prima: “Fragmenta è il risultato di una ricerca poetica durata almeno un decennio (dal 1995 al 2005)”. Abbiamo avuto modo e piacere, in precedenza, di occuparci della sua poesia ed è anche nostra la convinzione che questa prova rappresenti il summit di un’indagine, la conclusione – ma ogni esito è sempre un avvio – di un discorso che ha scelto di crescere nella continuità dei temi e nella coerenza. C’è, in effetti, si respira, qui come e più di altrove, l’incontenibile pulsione ad unirsi al coro, alle voci del creato “in quel `particolare rapporto col mondo… capace di rivelare insieme la realtà complessa dell’anima e quella della natura” (Richter).

Desideriamo sviluppare questo concetto con l’esegesi, nella persuasione che nell’attinenza, di cui parla Richter, risiedono le ragioni di questa poetica: le sue radici si spingono in profondità, scavano nella terra nutrendosene, amalgamandosi alla creta; i suoi rami s’intrecciano, salendo al cielo s’assottigliano, s’aggrappano, come tante mani, alla volta dell’empireo.

Specialmente nella prima delle due sezioni principali in cui è suddivisa l’opera, ed in particolare all’interno del gruppo di liriche riunite sotto l’intestazione “Negli occhi del cuore”, sono gli archetipi a dare la misura di questo protendere, di questa brama infinita dell’animo di raggiungere, riconoscere e amare le proprie scaturigini, che altro non sono, poi, che le sorgenti spirituali dell’esistenza, le albe originarie del nostro essere uomini sulla Terra. Del nostro essere poeti, se “D’agave, …. è il nostro giorno | radicato così allo scoglio irto | nel delirio mai finito d’azzurro…” e l’immedesimazione è tale da ritrovarsi a “(respirare) il mare”, a “(succhiare) linfa dura di roccia “, ad “(oscillare) … nel sole | … || fino ad aprirsi in candelabro | …. | fino a chiudersi nel respiro estremo.”, con la certezza e le “braccia magre di fatica” di sentirsi vita “a perpetuarsi nel ciclo eterno.”.

In questa, chiamiamola sottosezione, che si apre con i versi ipermetri di “Celesti rispondenze “, quasi a distendersi, fin dall’inizio, nella vastità universale con quella “tenera malinconia” che “…si sprigiona dentro e ti consola”, che ti fa percepire “intero il cosmo brillare soffrire uguale all’umano”, e si chiude nella “luce-speranza” di un arcobaleno divenuto preghiera, ogni cosa obbedisce al richiamo del mistero insito nella “panica armonia”, un “arcano” per il quale “essere felici è quasi morire”: gioia e dolore senza più confini, accomunati, aspetti differenti e simili dell’unica legge naturale in cui 1′ “anima scarlatta” si riflette, “passero triste” ed “aquila audace” agli “occhi del cuore”.

Ma l’eco del mistero non si affievolirà: così, sarà distintamente udibile per tutto l’arco delle composizioni e, dunque, anche in quelle raccolte nella seconda parte di “Archetipi “. Comincia però, qui, ad affiancarsi alla sua voce un’ulteriore riflessione che incorpora nel medesimo sentimento dell’inesplicabile un elemento che non esitiamo neppure un secondo ad accogliere come la sua stessa essenza; stiamo parlando della figura femminile, vista alla luce della sua peculiarità maggiore: essere depositaria della vita. “E donna vidi su un lembo di sabbia | il corpo raccolto in offerta | due mani minute strette al suo seno | …. | Momento beato d’anima |sola nell’isola lontana ove a lei | si disvela divino l’istinto | nel giusto disegno della gran Madre.” (da “Maternità”). La “gran Madre”, madre di tutte le madri, che nutre di sé i suoi figli come la mamma il bambino; 1′ “Antiqua mater” che “in stanze della vita” genera “Primizie-tenerezze” consegnate alle mani “acerbe” di chi “in sacri riti cari al Cielo” si fa custode del suo “dono-mistero”.

Tuttavia, nonostante il riconoscimento, 1′ “Antiqua mater” – “io “, scrive la Toffanin, usando la prima persona – “tesso nel tempio i fili | della tua incompiuta tela… || raccolgo il tuo, voce di sfida | …. | e stretto al cuore lo offro | all’Uomo del dolore” perché le riveli il senso del suo “lungo andare piegata | col figlio fra le braccia, morto.”. Traspare da questi versi la necessità di un chiarimento, l’impossibilità – tutta umana – di soggiacere totalmente alle ragioni dell’occulto, del quale, nondimeno, si ammirano la bellezza e il mito come “betulle” nello “stupore d’albe respirate in fondo | fino al profumo degli angeli”. Ma, dentro, nel cuore, non cessa di vibrare quel tremore “che l’oro si spenga | si sfili e l’ora felice s ‘incrini | …. | che non perduri l’incanto | di altri cieli | raccolti in reliquia d’oro e cristallo.”.

Ed eccoli, allora, i frammenti, gli sparsi cristalli che proiettano luci e colori sull’ombra: sono nel passato, nel presente e persino nel futuro; sono qui e in ogni altro luogo per testimoniare, con la loro presenza, in favore della vita, questa vita vilipesa e oltraggiata dai rapitori di sogni, ghermita dai loro lunghi artigli. Eccoli i frammenti che fanno crescere l’aspettativa di un avvenire di rinascita, primaverile, con la consapevolezza che “non è doglia l’attesa del germoglio | …. | se tramuta in dolce cura-linfa | a esili fili d’altre radici | là nell ‘aula alveare di vita…”, per svelare al figlio il “segreto bagliore” di un’ora in cui ci si sente “vestale” dell’immenso prodigio, “del fermento di Cieli e terra” che freme nel grembo e nell’aria.

E se “s ‘è ormai scordata l’arpa del vivere”, se “frastuono è ovunque” e “altre attese sono anfore di canti | svuotate straziate strappate”, si può attendere con fiducia che Dio “(ci) risusciti dalle (nostre stesse) ceneri”.

Per concludere, una nota sullo stile: maturo, personale, attento al ritmo, alla fonetica ed in particolare alle allitterazioni (ne abbiamo un esempio in quel “svuotate straziate strappate” appena citato) ma, soprattutto, ispirato, fedele al “miracolo” che vuole infinita l’attesa del poeta.