Nota dell’autrice – La stanza alta

La stanza alta dell’attesa tra mito e storia
        Cenacolo di Poesia 13.02.2020

NOTA DELL’AUTRICE

Il libro nasce come continuazione, ripresa de La grande storia in minute lettere che certamente ha sollecitato la fuoriuscita di un mondo, stratificato dentro, di memorie, di emozioni che un po’ alla volta sono emerse, hanno preso corpo, sostanza e forma. Certamente sono stati determinanti l’invito di Paola Lucarini e i suggerimenti di mio figlio che sempre mi consigliava di parlare della mia/nostra famiglia. La realtà è che ne è uscita una biografia, come dice Lugaresi, di memorie, testimonianze sulla vita nostra e della stessa Padova, in particolare dell’intimo reticolato di via Gabelli, Agnus Dei, Santa Sofia. Scrivendo ho ripensato anche al motivo per cui in me sia nato tanto amore per la cultura e la bellezza e ne ho trovato in qualche modo la risposta proprio nelle mie frequentazioni bambine di via Gabelli, ma anche delle persone strette alla mia famiglia in una rete di amicizie nel periodo in particolare del faticoso ritorno del padre alla vita civile dopo l’internamento. Invero rivedendo quei luoghi e riascoltandone le voci ho avvertito l’innocenza di quel tempo quasi purificato dal dolore della guerra, desideroso di ripresa confidando nel reciproco aiuto, in questa solidarietà che si era solidificata proprio in rapporti umani intimi e profondi. Di tutto questo ha certamente risentito positivamente mio padre reduce con un vissuto non letto allora con onestà storica (ci vorrà del tempo perché questo avvenga). In realtà il supporto di amici come Mengoli, le Facco, Guelfi, lo zio Leone, la famiglia intera in senso lato, indubbiamente ha costituito per lui una terapia di grande valore. Ora il libro che è mio, non è più mio ma è di tutti i lettori che possono condividere le mie emozioni, scoprire insieme le proprie: questo è un ritrovarsi, riconoscersi persone diverse, uguali, appartenenti alla città, alla storia, proprio nella verità della parola.

E ora qui piace rievocare insieme il coraggio di tanti giovani che, allora al vento di guerra, decidevano di sposarsi per assumersi un reciproco impegno d’amore oltre le barriere dell’ignoto. E dalla fotografia, ricuperata tra le reliquie di casa, rivedo i miei genitori riuniti per il rinfresco con parenti e amici, nella terrazza di via Gabelli 13. Vi sono giunti dopo le nozze consacrate da monsignor Pierobon nella nostra cara Santa Sofia, a piedi in un elegante corteo. Vi spiccano le divise grigio verdi di mio padre, dello zio Leone testimone e di altri amici, i cappelli delle signore a larga tesa e gli abiti alla moda. Uno stile raffinato, rispettoso della cerimonia, in un fluido procedere quasi ieratico. Percorsa via Santa Sofia li immagino in via Gabelli con i suoi portici affettuosi. E poi su per le scale al numero 13, per raggiungere il felice luogo della festa, osservati da tanti occhi fiduciosi ancora nel vivere, dalle vicine terrazze sopra l’opificio di Sordina. L’atmosfera è serena, profumata di glicine che corona gli invitati riuniti per la foto intorno a mio padre, mia madre, alla nonna Elvira, ai nonni Costante e Giuseppina. Davanti una siepe di fiori bianchi, si respira un’aria di innocenza, di attesa, di amore per la vita. Fra mio padre e mia madre avverto nei loro sguardi, nei loro atteggiamenti quell’intesa, quella devozione, sostanza del loro vissuto sempre.

Così la nostra memoria consacra gli affetti.