Nazario Pardini – E ci sono angeli

Siedi sul prato
bianco trapunto
di verde vestita.

Splendi
come turgida mela
su ramo d’azzurro.

Risucchio nettare di vita

E ci sono angeli: un canto “ossimorico” di dolore-gioia, una scalata di diacronica ascensione, che tocca il fondo dell’anima umana. La Toffanin, in questa plaquette, va oltre la natura, va oltre il mondo delle colline baciate dai venti, delle agavi tinte di cielo e di sole, dei tramonti che staccano la luce color pesca dalle cose a lei tanto vicine; va oltre per toccare le categorie dello spirito e della commozione, l’eticità dell’essere in quanto tale. E attraverso le tre scansioni dell’opera (Il volto dell’infanzia, E ci sono angeli, Di luna in luna), dimostra non solo (come già abbondantemente e magistralmente espletato nelle sue precedenti opere a me donate e per me patrimonio sacro d’amicizia e di poesia) di sapere liricizzare le minuzie e le grandezze nella loro essenza coloristico-affettiva; di saper trasferire se stessa in suoni, luci, scintille ed ombre di terre, mari, e paesaggi che ama; ma soprattutto, con uno scavo di grandissima sensibilità, di saper incastonare uno dei problemi più drammatici della nostra società in versi emotivamente coinvolgenti: bambini che muoiono, in “una ininterrotta strage d’innocenti”: “Si spegne pure / ogni angelica forma”; “E virgulti sortiti appena / senza slancio armonia vitale / questi altri tanti / per insaziata fame-sete”; “E bambini usati / il giorno la notte / in spazi senza vita…”; “Ci sono bambini-farfalle / nel volo bruciate / dal gas della follia”. Un’opera di profonda analisi psicologica, dove i fatti vertono a concretizzare l’indifferenza del nostro mondo, e non solo; un’opera che ci turba, e che prendendo l’anima per mano, la porta con sé a meditare, e a soffrire di far parte di tale indifferenza. E seppur facile cadere, in questi tipi di messaggi, nel retorico, o nell’eccessivo sentimentalismo, la Toffanin riesce, attraverso una desanctissiana simbiosi contenutistico-lessicale e fonica-verbale, a mantenere il livello del suo canto su una costante e robusta struttura stilistica: a fare, quindi, di un problema universale, un subbuglio soggettivo, ridandolo al foglio rinvigorito e rinnovato.

A concludere, l’illuminazione umano-divina di mamma-nonna che va al di là dell’esistere per toccare le vette dell’inarrivabile ne “la grandeur de la vie”. Ma è soprattutto qui che la Toffanin si riappropria del suo canto, contaminando con una simbiosi di sensibilità e cifra estetica, la voce schietta della poesia.

Può fiorire la rosa del deserto se l’accende la Tua pioggia di Luce.

Arena Metato 27/07/2011