Giuseppina Luongo Bartolini – Dell-amicizia – My red hair
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Sìlarus nr. 241/2005
Il percorso poetico che si avvale della scrittura di Maria Luisa Daniele Toffanin, nel cui sottotitolo si rivela in chiaro corsivo quel “my red hair” (che vale una rossa criniera), segno di libertà spirituale ed afflato senza confini, nel suo manifestarsi emblematicamente selvaggio, inizia con la promessa mantenuta di andare, in questo suo progetto, “al luogo delle ombre| e con loro loquire a cuore aperto”. E consentire che affiori, dalle “orme ormai morte” la “parola-memoria”, a convalidare e. quasi ad eternare la grande amica scomparsa.
Nella “Praefatio”, rappresentativa dell’incipit del discorso che si snoda nelle cinquantasette pagine, a gloria dell’amica che ritorna spesso nelle frequenti espressioni della luminosità, della gaiezza, dell’operosità. prima che un destino crudele ne determini la fine in un “non giusto morire”,infatti l’autrice espone l’intento di questo suo “spartito”, cheè quello di evocare, nei suoi versi, quelle “note lucenti” che hanno contrassegnato il loro incontro di vita.
E nelle due parti, definite come “Il nostro tenero tempo” ed “Il nostro tempo maturo”, elabora la trama di un vissuto d’eccezione, al quale la giovane compagna di lavoro, la ragazza privilegiata nel segno della confidenza, della forza morale, nella comunità semplice degli operatori scolastici, dei vicini di casa, nella condivisione della problematica quotidiana, appartiene di diritto, quasi esclusiva protagonista, nella centralità del suo essere attiva e partecipe degli avvenimenti, nel ricordo e nella memoria del passato che aggrega e contempla le ragioni dell’intelligenza e del sentimento.
Tutto questo nel fluire del tempo e nel rinnovarsi delle stagioni, delle occasioni e delle connotazioni nel quadro della realtà contingente, ha consegnato al testo in parola, quel nitore formale che diventa il leit-motiv, poi, di tutta la raccolta. Ed appare evidente che c’è tutto un passato da rievocare, nei punti massimi della sua rappresentazione, in una regione d’Italia fertile d’attività lavorativa, in una cornice agreste, come può ben essere quella altre volte rievocata nelle stesse opere della Daniele Toffanin, “l’euganea terra”, forse la più atta a favorire il colloquio umano, a contatto coi giovani e le loro esigenze, ove una scuola” faceva famiglia”, “nell’aula alveare”, con riferimento alla “classe beata dell’inglese in pasta e fagioli”.
L’autrice fa riferimento ad una cultura contadina e preindustriale che ha caratterizzato alcune regioni della nostra penisola ed ancora le riflette in gran parte con i suoi valori, la sua cultura, le sue capacità economiche in cui”si cresceva in eguale sentire” ove poteva ancora fiorire un “eloquio gentile”. Si tratta dell’immagine che ritorna coi più vivaci colori, di una esistenza che fu giovane, capace di prodigarsi per gli altri, gioiosamente, con quella pietà che lega l’uomo all’uomo e ne motiva i giorni e l’essenza.
C’è un riscontro che ritorna, in entrambe leparti di questo libro il quale attinge una sua luce propria, che valica la speranza e guarda al destino dei viventi con la saggezza popolare d’ogni tempo, e che è sempre destino di vita e di morte. Senza appello naturalmente.
E’ in quel ritornare, quasi pagina dopo pagina, del verso “E lavava lavava…” ripetuto con assoluta convinzione, nelle poesie legate da un unico filo conduttore che va oltre il sentimento amicale, oltre le benemerite occasioni di aiuto reciproco, oltre lo stesso “bulino di dolore”. E rimane ad indicare un’attività insonne capace di illimpidire un quotidiano spesso affannoso ed opaco, nelle piccole e grandi cose, oltre il privato personale, ove il male e il bene si confrontano spesso senza neppure scontrarsi e, tuttavia, permangono nelloro ruolo insuperabile.
E’ quel “lavare” che si spinge nei fatti della spiritualità, sulle superfici delle cose, rendendole linde, all’interno della coscienza ed anche sul piano dell’ispirazione poetica e letteraria dell’autrice. Di qui certamente la verifica della nobiltà, dote di uno spirito alto, capace di purificare l’ambiente, i rapporti, gli affetti della gente tra cui si vive, per caso, per scelta, destinazione.
Il tono dell’autrice è commosso, attento, mentre bilancia i temi della sua preghiera laica, che non può essere dimessa e scivola lieve su una realtà che continua ad esistere, ad avere consistenza e movimento, dopo e oltre la morte.
La musicalità diffusa da luogo, a tratti, ad un lirismo tanto più vivace quanto più si cala nel minimo della realtà, giorno dopo giorno, in un canto che, ad un certo punto, nell’afflato della memoria si estende ad ogni futuro, poiché “…al tepore del ricordo | Lei mi rivivrà ogni momento | come un’infinita primavera… profumo benedetto ancora sempre…”, laddove il pianto fatto parola si stempera negli accenti e nei ritmi di una poesia intimistica e crepuscolare.