Giuseppe Manitta – prefazione a Florilegi femminili controvento

Florilegi femminili controvento, opera giunta finalista al premio ‘Pietro Carrera’, è il titolo della silloge di Maria Luisa Daniele Toffanin, che sin da una prima considerazione deduttiva presuppone due concetti di estrema importanza da vagliare in una visione critica: i ‘florilegi femminili’, al plurale e conseguentemente ‘passi scelti’ di un discorso legato alla donna nelle sue varie sfaccettature, nonché l’aggettivo controvento, a significazione di un contrasto ben determinato, che dovrebbe emergere all’interno del corpus oppure, più in generale, da una visione dialettica tra i florilegi autoriali e il giudizio collettivo. Come si accennava, questa valutazione preliminare nasce da un procedimento deduttivo che va confermato, induttivamente, dalla lettura. Questa si divincola nelle sezioni in cui è articolata l’opera: Dediche, Piccole donne, Donne di casa mia, Incontri, Florilegi d’amore e memoria.

Il dato ‘femmineo’ viene direttamente richiamato, com’è evidente, nei titoli di due sezioni, a conferma della centralità del tema che, a sua volta, trova una più salda constatazione se applichiamo una lettura occorrenziale del lemma ‘donna’, con ben 50 occorrenze, cui si aggiungono dei dati ulteriormente interessanti: 147 occorrenze dell’aggettivo ‘femminile’ e 36 di ‘madre’. Un tale approccio, quello concordanziale intendo, se all’apparenza potrebbe mostrare una certa aridità critica, al contempo, massimamente se ci si occupa della produzione di un’autrice contemporanea, permette di individuare i termini guida di un determinato lessico poetico, conducendo (naturalmente e inevitabilmente) alla linea sotterranea delle tematiche proprie della nostra opera. Essa intende, per mutuare la lirica incipitaria della silloge, non solo mostrare la valigia esteriore dell’uomo, che sia di corpo o di argilla, ma soprattutto scorgere i segreti dello spirito, addentrandosi nel viaggio infinito dell’anima.

La prima sezione è costituita da Dediche che sono rivolte a donne conosciute o ammirate, le quali tramite la poesia si rendono percepibili, ma al contempo si fornisce una lettura ispirata che si collega ad una meditazione sul valore generale dell’esistenza. Si perpetua, dunque, il concetto dell’immortalità dell’anima e, per via indiretta, della parola che ad essa s’ispira: «Tu sai / non muore l’uomo / se fra le mani lascia desideri / per puntare ancora gli occhi alle stelle. / Muta solo forma» (Un migrar d’amore, a Nerina). La silloge si segnala per il suo valore conativo, ovvero per la sua capacità ‘vocale’, propria dello stile epistolare, sia esso ispirato alle epistulae della latinità oppure ai rari casi della poesia contemporanea. La contingenza della destinataria diventa l’occasione per oltrepassare il dato reale, commemorativo o semplicemente memoriale che sia, per approdare al ‘senso ultimo’, inteso come capacità di lettura universale. Questa peculiarità poetica si amplifica o contrae a seconda dei testi sino ad una apertura massima che riscontriamo in Penelope altra, dedicata universalmente alla donna, in cui le contingenze a fatti e personaggi ben specifici, ed individuabili dal lettore, si fanno più sfumate rispetto ad altri componimenti. L’esempio specifico citato fornisce l’occasione per sottolineare un ulteriore interesse della poesia di Maria Luisa Daniele Toffanin: l’impegno di una lettura sociale che si fa meditazione sulla natura dell’uomo. Nella poesia testé citata, difatti, la lettura antropologica della violenza subita da Penelope da parte dei Proci viene attualizzata, in modo speculare direi, alla violenza contemporanea. Ma non si tratta, come banalmente potrebbe apparire, di un semplice parallelismo retorico, ma della constatazione di una ‘mala natura’ che è insita nell’essere. Il rapporto tra la donna-Toffanin e le sue donne, più o meno intime, ricordate nelle varie parti, diventa osmotico, compartecipe di una stessa essenza e di una medesima finalità.

S’instaura, come viene riconfermato dalla seconda sezione dal titolo Piccole donne, una intimità esistenziale che mira alla libertà, al recupero dei valori, alla deliberazione di una ‘rinascita’, che significa progressione in positivo di una realtà vissuta. Il concetto della ‘rinascenza’ diventa importante connettivo tra i ricordi e il tempo attuale, di conseguenza tra quanto è accaduto, o si è visto, e quanto si può percepire. Il florilegio femminile diviene, così, l’occasione di una primavera nuova, di un oltrepassare il tempo cotidianus per concluderlo in una congiunzione tra tempi: «Andare oltre la soglia / del quotidiano giogo / in magico rito fanciullo // è scoprire uno stato di grazia / è sentirsi trasparenti a se stesse / in dimensione oltre l’umano» (In magico rito fanciullo); «E l’uomo / al calore solare / si sente rinato: / riprende a creare, / inventare la vita» (Giallo di primavera).

L’intimità procede secondo climax fino alla terza sezione: Donne di casa mia. In questo caso il recupero memoriale e la rinascenza che prima abbiamo notato assumono un legame ancora più corporeo. L’azione stessa di riportare alla memoria le persone care con cui si è condivisa parte dell’esistenza biologica significa in primo luogo ricordarle, ma in secondo luogo ‘riconoscerle’. Di conseguenza il processo poetico del florilegio si fa poietico gnoseologico, cioè riappropriazione di ciò che è stato e che attraverso la memoria diviene ‘ab-solutus’, in senso etimologico. Di conseguenza, quia absurdum, l’assenza diviene presenza e gli opposti coincidenti: «Ma nelle trame del cuore / scorre la tua linfa forte / legame primo dell’esistere / fuoco eterno di memoria. / E, madre, ti cerco / in questa grande assenza / non più da me protetta / in tardo tempo / come tu fossi figlia».

L’assenza e l’attesa divengono il nucleo dell’incontro (non a caso Incontri è il titolo della quarta sezione del libro). Non bisogna sottovalutare nella poesia di Maria Luisa Daniele Toffanin il valore dell’attesa e dello stare in limine, il quale sta a significare una continua ricezione di impulsi e di sentimenti che si riconducono ad una vitalità poetica e comunicativa indirizzata all’oltre, verso una maggiore coscienza (o superamento) di quanto acquisito o meditato. L’incontro, dunque, può avvenire sia attraverso quanto abbiamo già enucleato (memorie, visioni, affetti ecc.) ma anche attraverso l’osservazione e la fede. Il primo richiama l’ekphrasis della lirica ellenistica, cioè quel procedimento riconducibile, con le dovute originali variazioni attuate dall’autrice, alla descrizione di un’opera d’arte che nella sensibilità moderna diviene lettura di un determinato sentimento (esaltazione della purezza o della bellezza, contemplazione delle arti, riflessione sull’anima ecc.). Il secondo caso, la fede, si relaziona in più parti alla figura della Madonna e alle sue manifestazioni artistiche. Ma è necessaria, a nostro modo di vedere le cose, una considerazione più precisa. La rievocazione della madre di Cristo è un modo per sottolineare l’essenza della donna che, tra espressione terrestre e considerazione celeste, è costituita dalla maternità, ovvero dalla possibilità elettiva di creare vita. Non a caso, da un punto di vista occorrenziale e lemmatico, come già notato in precedenza, ritroviamo nella silloge ben 36 occorrenze del lemma ‘madre’ e rare attestazioni di ‘padre’, tra l’altro quest’ultime per lo più rivolte al ‘Padre celeste’. L’incontro avviene, dunque, sia ad un livello affettivo sia ad uno fideistico.

Florilegi assumono una struttura unitaria e potremmo azzardare l’ipotesi che si strutturano come poemetto composto da cantiche (quelle che abbiamo chiamato ‘sezioni’) e da canti (ovvero le singole ‘liriche’). Si tratta di un’idea che ci viene confermata dall’ultima parte del libro: Florilegi d’amore e memoria. Essa condivide e inspira il titolo dell’intera raccolta riferendo però al sentimento amoroso la specificazione del soggetto. A conferma di quanto già notato, quest’ultima sezione si apre con una dedica a Maria, la madre delle madri, simbolo per eccellenza della sofferenza della donna, condizione assoluta della dialettica insita nelle creature predilette da Dio. L’ossimoro dell’esistenza, lungi da essere una scorporazione o scissione, si mostra come saldo approdo poetico, perché il fine ultimo della ‘rinascenza’ è costantemente evocato. L’alchechengi o la peonia si rivelano simboli floreali nel passaggio dalla morte alla rinascita, cogliendo il sostrato archetipico della vita: «Solo un attimo / e la pioggia pure nella gioia / ti spetala l’effimera tua gloria / in giorni inattesi d’aprile. // E scomposta a terra tutta / giace armonia-bellezza umana» (Il ciclo di peonia, III). L’atterramento non è definitivo, il mito riverbera il suo potere salvifico, la conclusione di quest’ampio poema si concretizza in una salda concezione ‘futurale’: «…è l’ora che Eolo chiami a raccolta i venti / e l’azzurro si vesta di pioggia / ché sferzi la rinnovata vanità / della femminea vegetale materia spavalda // è l’ora del mito reiterato. Sempre» (Il ciclo di Peonia, V).

Un aspetto importante della silloge, che soggiace ad ogni scelta lemmatica e versificatoria, è la raffinatezza stilistica. Innanzitutto bisogna notare la mistione di un lessico quotidiano, della tradizione poetica e di un lessico colto con prelievi dalla lingua madre (latino) o con riproposizioni italianizzate di termini greci. Si tratta di un procedimento di rara intensità e bellezza e molto raro nel panorama della poesia contemporanea, che non è un semplice recupero linguistico finalizzato al ‘dottismo’, ma un approccio sentito e sperimentale, che non rende affatto la poesia incomprensibile, ma la munisce di un’istanza significativa ed etimologica che altrimenti sarebbe impossibile. La versificazione è sempre calibrata e veicolata all’argomentazione strofica, ora piana ora franta, capace di equilibrare la voluta sintattica alla struttura del verso.

La creazione poetica di Maria Luisa Daniele Toffanin è espressione dell’enigma della vita e dell’uomo contemporaneo, è una letteratura che va alla ricerca dei valori eterni, è un inno alla vita e alla sua complessità, al contempo si dimostra come cogenza interiore al fine di una riproposizione catartica. Non manca, difatti, la concezione del limite e della natura lapsa. Per questo motivo Florilegi femminili controvento è una silloge varia e intricata, una costruzione di sagome, specchi e ragnatele.