Flavia Buldrini – E ci sono angeli
E ci sono angeli è un inno alla poesia dell’infanzia, alla grazia delicata di cui è soffusa questa stagione di delicata primavera, alla ridente trepidazione con cui si affaccia alla vita una tenera primizia. Nell’innocenza del bambino si può contemplare il pudore di Dio, nella sua meravigliosa effigie lo stupore dello splendore divino: questa creatura appena sbocciata all’esistenza, non ancora deturpata dal peccato, riverbera il sorriso del Creatore sulla terra, la maestà della Sua bontà e bellezza (“In veste pura, più vicina | al divino delle cose | dalla sua prima alba | risucchia il senso vero della gioia | quell’esserci insieme beati nell’oasi.”, Il senso della gioia).
Inaugurano la silloge (nella sezione Il volto dell’infanzia) deliziosi poemi dedicati all’infanzia che, nella sua piccolezza, è capace di concentrare tutta l’energia vitale del cosmo: “Ogni vagito | ha l’universa vita | racchiusa dentro.” Tutto l’incanto benefico di questa primigenia condizione umana rivive in queste parole: “Profuma di piume | il volto dell’infanzia | e ha labbra di rosa | dischiuse al mattino | in sorrisi di rugiada | fiori di lino | all’ombra delle ciglia | mutevoli a luce e stupore | e delicata lo delinea | questa cornice che perdura. | Profuma d’innocenza | e meraviglia | il volto d’ogni infanzia | profuma di poesia | epifania di bellezza | da eletti evocata | forza salvifica dell’umana gente.” (Il volto dell’infanzia). Si deliba tutto il sapore di freschezza di una vita neonata che abbraccia, ancora incerta, ma fiduciosa, la realtà che si offre ai suoi sguardi curiosi e giocondi: “Colloquio infinito indicibile | da quel primo suo vagito | in registri mutevoli | d’uguale vellutato miele. | E sguardi sorrisi mixati | e gorgheggi-virtuosismi di fringuello | e sillabe bisillabe d’arcane litanie. | Attimi tanto indefinibili | e nuovo sempre il fremito | quando si schiudono al cuore | inattesi cieli e gli astri suonano | sistri mai uditi prima. | Attesa verrà ora la parola | il fiore della vita | per sorbire fino in fondo | il calice-canto della gioia.” (Colloquio). L’infanzia è come un gancio teso al cielo, un avamposto di Paradiso,vicaria in terra dell’amorevolezza divina: “Si smemora il tuo tempo | in questa ora-azzurro mare | ove veleggi con bianca vela | ricucita con filo di nuova vita. | (…) Infanzia Infanzia | riflesso-premura-vincastro di Dio | per chi procede sulla terra.” (Nel suo presente). È stella cometa che traccia il sentiero, seguendo la sua scia luminosa di autenticità originaria: “Ora di luna in luna, un anno e più, un cielo tutte lune. | Sublime vi sfavilla diamantina stella | in noi sempre accesa all’ascolto, gemmata d’affetti | e altre premure alate fra le ore. | Così s’avvampa l’infanzia – scintilla su scintilla – in cammino a farsi identità unica.” (Urge un’etica stella). Un bimbo empie la casa della sua garrula gioia, le stanze risuonano dei suoi vivaci gorgheggi, tutto profuma della sua estatica innocenza: “T’invade la casa ormai spenta | irrompe nel suo tempo assorto | come la prima rondine | il primo ramo di pesco | nel cielo stupito. | E ti sperdi ti ritrovi | al suo riaprirsi ogni giorno | in nuova corolla | al suo lieto garrire al cielo | con l’ala piegata in carezza. | Fermare così l’ora | in questa innocenza ignara | sublimare la valenza | dell’infanzia-cucciola | in fiducioso abbandono | fra mani fiorite di rispetto | spazio-tempo resi più umani | nel giusto disegno della gran Madre.” (Fra mani fiorite di rispetto). È una “infanzia –cuna | ove la tenerezza di Dio | depone sogni di luce | per albe nuove sulla terra. | Mio canto alla vita.” (Infanzia-cuna).
L’autrice, in uno stile aulico e raffinato, raggiunge notevoli vertici di lirismo, nell’efficacia icastica delle immagini e nella soave melodia dei versi: “Devi chiamarlo dono | sublimato dalla parola | il suo stupore di petalo | sul palmo del giorno. | Devi chiamarlo dono | – epifania divina – | il suo sorriso corolla | sul dorso della sera.” (“Devi chiamarlo dono”).
Nella sezione E ci sono angeli, dalla poesia dell’infanzia si passa alla tragedia, quando essa è calpestata, violentata, profanata, snaturata, dai nuovi erodi (titolo della poesia) che continuano a perpetrare la strage degli innocenti, perseguendo in ogni creatura Gesù bambino: “E si va al primo tepore | a ripassare orli di prati | cimase, radure di luce | in riscoperta d’antico stupore | conforto all’anima | a ricorrenti segni | di agonia del mondo. | Già colchici brillano pei clivi | (…) Malvagi hanno violato | anche il sogno bambino | in rimbalzi pei rami pei prati. | E il canto non è sublime nel cielo | il cuore-fringuello | più non si libra in gorgheggi | segreto nel suo dolore-pudore. | Empie ombre scivolano infide | rubano ovunque sogni bambini | nuovi erodi uccidono l’innocenza | pure in stanze amicali. | L’ora è spenta d’ogni stupore. | Lacrima l’aria.” Ora è l’orrore dei bambini abusati: “Piangi cielo | l’infanzia ancora abusata | pur nella stanza affettiva prima | usata quale allodola da richiamo | per il mito bugiardo dell’immagine | riabusata in viscidi meandri-internet | o altri labirinti oscuri. | (…) Urgono questi Angeli-vincastro d’amore | nella strettoia di tale dolore | a lenire la pena del vivere | in oasi d’anime limpide | ove bimbi risucchiano | ancora purezza da sorgive di luce.” (Piangi cielo). Ogni bimbo che si affaccia tenero e indifeso alla vita ha in sé un seme divino di purezza e di sacra fragilità e oltraggiarlo è uno di quei delitti che gridano vendetta al cospetto di Dio, per cui Gesù tuonava “chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare” (18,6): “Ogni vagito dentro | ha radici di cielo e terra | albe di speranza prati di stelle | in sentieri d’ombra | echi d’affanni e letizia insieme | tutto serrato in scrigno-mistero | ma uguale diritto a slarghi d’azzurro | segni d’appartenenza all’umana vicenda. | Ogni infanzia è soffio d’anima | in un unico palpito vitale | tutti ci chiama e coinvolge | utopica bellezza ora del mondo | soffocata in un grido d’azzurro.” È poi lo strazio brutale della guerra che spezza i sogni dei fanciulli con il terrore della violenza: “E cerbiatti sorpresi soppressi | nel sogno inerme | dall’agguato del bosco crudele | e fiori straziati per sempre | psiche membra affetti | devastata la loro identità | dall’occhio cieco della follia. | Quale cherubino | restituirà la favola turchina | a lui brutalmente vivo | spento in silenzio-dolore-pudore | nella storia mai magistra? | Quale angelica giostra | lo farà volare fino alle stelle | sorgente di mille desideri | e raggi di luce propria, | sull’orlo della sua terra | ormai orfana di linfa? | Non piange il dolore bambino | murato nel suo pudore | si sgrana in rare parole grevi.” (E bambini nella guerra). È significativo che vengano riportati brani di bambini che hanno vissuto sulla propria pelle il dramma della guerra: “Caro mondo sono una bambina. Sono ancora viva e vorrei rimanere viva, ma le possibilità concessemi di vivere sono minime e insignificanti. | Io ho già provato tutta l’asprezza che ci offre la vita. | Sulle mie spalle hai caricato la pesante soma di uno spirito | disumano. È troppo pesante per me. “ (Edita Rogonja, ottava elementare, da “Bambini di guerra. Cento anni di fotografia”). Un grido di giustizia squarcia lo sterminato deserto di tanto orrore: “Urgono Angeli custodi | per sogni e voli | in cieli nuovi.” Vi è poi la terribile adulterazione dell’innocenza infantile personificata nell’immagine oscena e contronatura di un bambino che imbraccia il fucile: “E mani ancora fanciulle | appena aperte | a confidenza con le cose | costrette strette all’arma della morte | sbalzata con violenza l’età acerba | in veste impropria | una divisa da guerra. | Quale memoria di tempi bambini | non succhiati fino all’anima | inseguendo la gioia in giochi coetanei | all’astro della fantasia? | Si spegne dentro un cielo di stelle | a una terra ancora feroce. | Si spegne pure | ogni angelica orma.” (E bambini della guerra). Si declinano ad una ad una tutte le sofferenze che investono queste fragili vite che dovrebbero conoscere solo il calore e la tenerezza dell’affetto di chi li protegge, ma che tuttavia sono visitate dalla consolazione dagli angeli: E bambini della lebbra (“E fra gli arbusti della lebbra | occhi di pece | membra ormai offese acquattate | celate anche all’Angelo dei doni | bellezze bambine offuscate, relegate. | Per antica legge l’impuro | al confino deve vivere | e ogni dolore sulla terra | per atavico pudore | si rifiuta alo sguardo d’altri.”); E bambini della fame (“E virgulti sortiti appena | senza slancio armonia vitale | questi altri tanti | per insaziata fame-sete | sospesi a un filo d’aria | tanti strappati subito | come d’autunno | un vento di foglie infinite”); E meninos de rua (“E di altri turpi mercanti | che svendono smembrati | petali di fior di loto | sospesi sul filo di vita); E bambini di Anna (“I bambini di Terezin | vivono nei colori accesi dei disegni | in parole-sorgive di poesia | vivono d’amore disperato per la vita. | A Terezin | in punta di morte | brilla un’angelica stella | nel buio bambino. | (…) Urgono Angeli | con ali in preghiera | ché l’acqua del tempo | non dilavi la memoria”); E bambini mai nati (“Ci sono bambini | mai nati | crisalidi d’Angeli”); E bambini della malattia (Vi sono Angeli | là dove le ore volano lente | e piange il dolore bambino); E bambini offesi (“Sanguina l’offesa della vita | riaperta ancora.”) Su tutti questi soprusi contro la condizione infantile si leva la voce sommessa, ma potente, “capace di penetrare le nubi del cielo”, della preghiera, ponte tra il tenebroso abisso di questa terra e la luminosa chiarità del cielo: “E Tu a Betlemme vestita | la nostra fragile carne | e Tu con suasiva voce | – lasciate che i pargoli vengano a me – | Tu rivoluzionario dell’amore | salvala, di grazia, | questa tua nostra infanzia | predata ogni ora | l’innocenza dei suoi petali | in più velate o chiare forme | tradita la sua attesa | nell’incontro del cuore.” (Preghiera).
L’ultima sezione Di luna in luna (Se luce di gioia sorge | dal gorgo del dolore | è canto di vita | da sorbire tuttinsieme | al desco del sole”) è improntata all’ariosa vaghezza di un volto non più anonimo dell’infanzia, ma ben noto all’autrice, quale quello della sua nipotina, che rivive in queste pagine in tutta la grazia e l’armonia della sua aurorale esistenza: “Fra trucioli d’ombra | copioso di luce s’apre il mattino: | il cielo è tutto nei tuoi occhi | straripanti di sorriso | a tenere mie note antiche.” (A Giulia). Lo stupore ineffabile della vita nascente è tutto in questi versi: “Fu un mattino | nel vento delle rose ottobrine | il primo tuo vagito udito. | (…) O vita cornucopia di stupore | risucchiata nell’ora mortale | ricolmata inesauribile da aliti d’amore. | O mia cuna ritrovata | ora della tua infanzia rifiorita | profumo di Dio sulla Terra.” (Il primo tuo vagito). Nei tratti vezzosi della bimba si modula la sublime sinfonia dell’universo: “Limpida voce i tuoi occhi | globi di luce abitati | da fiordalisi | schegge di sole erba d’aprile. | (…) Ma tu così piccina | già tutto della vita | senti sveli | o è il mio sguardo trepido | che nel tuo legge oltre?” (Voce i tuoi occhi); “S’infila l’ora di perline | petali di margheritine | e brillanti risi – i tuoi dentini – | nel sorriso dei mattini. | E suona in te armonia | d’antiche litanie | sillabe le più segrete | dal sillabario dei primordi” (Risveglio); “Ho incontrato ieri i tuoi occhi | – profondo lago verdoro – | in un messaggio di luce | da inviolate sorgive, | annunciava parole intense | mai prima udite.” (Pensiero). Ogni evento è contemplato con lo sguardo di stupore della creatura, come di intatta aurora che si affaccia all’orizzonte: “Come s’accende l’aria | al primo inatteso trillo | nunzio di sole nuovo | di suoni colori rinati | e insieme speranza di viole | così s’accende il cuore | al tuo primo gorgheggio | (…) Ed è primavera la stanza intera | al tuo frullo sonoro | primavera dell’anima della vita.” (Nel secondo complimese). Del Natale si vive tutto il fascinoso incantesimo attraverso i suoi occhi trasparenti: “Neve brillante | in radure di cielo | bianchi cristalli. | Trillo inatteso | in candido silenzio | stupore d’ala. | Benedetta Giulia | discesa sulla terra | primo Natale.” (Dedicati a te).
L’infanzia è come una corrente fresca che cavalca i cieli e inebria chi la circonda di felicità suprema: “Pertugi di poesia | i tuoi sguardi gesti sorrisi | mutevoli sempre in assonanza con noi | attimi attimi d’un presente | smemorante trappole d’oro future. | Non colse allora l’anima | l’incanto della rosa | nel suo mattino pura, | piegata in equilibrio | sulla corda del giorno | nella filiale infanzia.” (La tua infanzia); “Così sia per l’universa infanzia | – germoglio di Dio sulla terra – | sempre armonia in parole e gesti.” (Alla settima luna).
Questa suggestiva galleria di ritratti infantili si conclude con un auspicio, che si realizzi il sogno di Martin Luther King, nella visione di “bambini del mondo stretti | in un girotondo di gioia”, in una danza di colori e di speranze giocate sulla scommessa della vita: “i bambini del mondo | con uguale particula | d’azzurro nell’anima | colore-premessa-promessa | di un vivere felice | in simili ludi e studi | gli occhi dei desideri | puntati alle stesse stelle. | Può fiorire la rosa del deserto | se l’accende la Tua pioggia di Luce.” (E sarà vita).