Ivan Fedeli – Armonie d’attese
Speciale Premio Renato Giorgi – Sasso Marconi (Bo), SEGNALAZIONE
Ne La stanza bassa di Maria Luisa Daniele Toffanin colpisce il ritmo dolce – e allo stesso tempo cadenzato – che l’autrice, abile scalpellina del verso, riesce a infondere a componimenti di lunghezza variabile, spesso di notevole estensione e dal tono leggermente cantilenante, grazie alle frequenti ripetizioni e alle anafore che arricchiscono il tessuto del testo con richiamai e parole piane, pensate proprio per essere cantate.
La raccolta, una sorta di poemetto diviso in quattro sezioni strettamente legate tra loro, presenta unità strutturale e di contenuto: il tema trattato, l’attesa, ben si presta alla dilatazione della dimensione temporale che sembra annullarsi in un eterno presente che aspira all’Evento – simbolicamente una nascita o una rinascita – mediante la sospensione dei luoghi, imprecisati o comunque riconducibili a qualche veneto mitico, leggermente nebbioso, quasi si trattasse di un non luogo dal sapore fiabesco. È qui che avviene il fatto poetico, in una stanza bassa (forse l’interiorità) da cui il titolo, utero del mondo e ricettacolo della sospensione dell’Essere. In un eterno attendere. Da un punto di vista simbolico, Toffanin fa riferimento a figure fortemente evocative, quali la madre – magistra – regista, che tutto regola e tutto sa, o a sfumati ricordi di presepi e statuine viventi in processione, come a regolare un mondo altro, nato per necessità di poesia.
Piace dei testi l’aspetto formale, calibrato nelle pause e nei respiri, necessariamente armonico per governare una materia in divenire, l’universo emozionale di cui la stessa autrice parla in uno dei componimenti più riusciti, e nell’intera prima sezione, la più matura per scelte stilistiche e tono vibrante.
Da segnalare inoltre la voce narrante, spesso indeterminata, un Io che tende alla con-fusione con un Noi che ascolta, per assuefazione di vissuto e complementarietà emotiva.
Una silloge riuscita, dunque. Capace di creare un filo diretto, comunicare. Cosa che spesso la poesia rinuncia a fare, per dolorosa scelta o per esaurimento di se stessa. Qui no. L’emozione c’è, tutta. E viene da pensare a Turoldo. Alla grazia del linguaggio. Al rispetto di chi legge. (Fedeli)