Postfazione di Mario Richter a Magia di attese
In questa nuova raccolta poetica Maria Luisa Daniele Toffanin impegna le migliori risorse della sua sensibilità e perizia artistica per richiamare in vita e illuminare tutto un mondo di sentimenti e di affetti che traggono le loro più segrete e sottili emozioni dall’interno delle pareti domestiche e dai più delicati e trepidi rapporti famigliari. Il punto di vista adottato, quello dell’attesa nei suoi diversi aspetti temporali, conferisce al processo rimemorativo il suo significato profondo, una ricchezza di immagini e prospettive che si fa via via privilegiata sorgente di “magie”, dall’infanzia all’età adulta, per infine aprirsi, nella penultima sezione (Nel nome della Gran Madre), a più larghi e a più alti orizzonti. Il filo conduttore è quello amorosamente materno, che si esprime, sempre uguale e sempre diverso, nel succedersi delle generazioni. La natura illusoria delle rievocazioni ha nell’immagine del teatrino il suo centro irradiatore, capace di trasformarsi, nel ricordo, in valori autentici e durevoli (“infanzia remota / ancora in me raccolta”). Rivissuta sul piano domestico, la situazione non sembra a tratti nemmeno estranea a un memorabile testo baudelairiano, Le Rêve d’un curieux, che ha proprio nel bambino, nel teatro e nell’attesa le componenti tematiche di una riflessione altamente drammatica. Nell’Attesa bambina (primo tempo), la madre diventa la “burattinaia d’una compagnia” che poi si rigenera nel tempo: “Così mutata insegna / in uno spazio medesimo / si ravviva rinnova s’eterna / in noi voi ed altri / nella girandola del tempo / lo stupore dell’attesa”. Anche le parole tendono a farsi, suggestivamente, espressione d’infantile incanto teatrale, sono appunto “parole burattini / con lacrime e sorrisi umani”. La loro funzione è interamente orientata a “fermare / il senso d’ogni attimo” con la consapevolezza e la ferma convinzione dell’autrice che è necessario “al riparo del ricordo / elevare altari di poesia / sull’orlo del naufragio dei giorni”. C’è nella Toffanin una speciale capacità di evocare, come ancora sapeva Baudelaire, i minuti felici (“Je sais l’art d’évoquer les minutes heureuses”), e lo fa con uno slargo elegiaco di non comune respiro: “Era d’aprile al vento di glicine e viole”