Luciano Nanni – Dell’azzurro ed altro
Dell’azzurro ed altro (1995-1998)
Nota critica di Luciano Nanni
I
Non accade spesso di incontrare nella poesia contemporanea un’attenzione anche alla parte tecnica come in questa raccolta dove versificazione e contenuto si compenetrano. Un esempio: “Bioccola il pioppo | nel limpido vento | su cascate di glicini”; tre versi per aumentazione, i primi due con ritmo dattilico che si capovolge in anapestico nel terzo, così la leggerezza dell’immagine iniziale si trasforma per rendere la molle corposità delle “cascate di glicini”: un eccellente uso del significante metrico.
II
Le quattro parti dell’opera contengono testi riuniti per carattere o affinità. La I (Acquerelli) già introduce nello stile dell’autrice. Si tratta di composizioni i cui colori sono in genere attinti dalla natura, dal paesaggio in senso lato, con sfumature e accostamenti inediti: ” – bianca grigia dolomie | al diluirsi di luce – ” (Azzurro di roccia); qui predomina una tonalità chiaroscurale, mentre maggiore vivezza icastica la troviamo in Guizzo: “Canta l’oro | delle ginestre”. Ne L’ora dei gabbiani si realizza un suggestivo contrasto: “Ali bianche grigie | accese d’argento | nell’oro che muore”; si osservi in “grigie” l’eliminazione della i diacritica che meglio definisce la purezza linguistica del passo. Né manca l’univerbazione di materiali di per sé fortemente cromatici: “smeraldo-corallo” (Nell’aria leggera).
La II parte (Le stagioni dell’azzurro) tende ad allargare l’aspetto formale senza escludere il dato metrico: “Frementi le membra | al ritmo del lancio, | risate di gola” (Ancora quel gioco); una serie di doppi trisillabi fa risaltare la sincronia del gesto. S’infiltrano intanto i segnali umbratili di una coscienza che è nelle cose: “riflesso nell’antico lago” (Ha camminato il tempo), scorcio quasi onirico e specchio della profondità interiore. Il canto si distende in versi più ampi, con invenzioni creative di prim’ordine, come questa unità sintagmatica di aggettivo|sostantivo: “accenderà d’echi ardenti-ali d’iride” (Lungo la rena).
Nella III parte (Assonanze) coesistono gli elementi stilistici precedenti, quali il costrutto per inversione (anastrofe): “Struggente è la marina | quando acqua e cielo | d’indaco i guizzi | si scambiano tardivi”, oppure la vivida pittura che abbaglia: “Camminare nel sole | su smalti accesi | di verde splendore”; nel contempo per il lessico sembra orientarsi verso una più marcata interiorizzazione: “spazi di sé rimasti nell’ombra” (Trama di pensiero), indice di un principio ideale che risiede tra le pieghe della parola, fino a divenire ricerca religiosa: “E questo Dio | mio mistero” (Nell’ora che), in un rapporto a volte arduo, ma sempre animato da uno slancio sincero: E “mi voto a te | mio Dio antico” quel “voto” inteso come completa offerta dell’umano al divino ben esprime un anelito di elevata spiritualità.
La IV parte conclude organicamente la raccolta. In Presagio, ad esempio, ritmo e rima seguono il “suono dell’onda”; tuttavia in quest’ultima sezione si addensano alcune ombre: “mio vuoto cupo si spande” (Madre) e “nel cerchio | del tempo ferreo” (Nel cielo dei ricordi), e affiora anche l’immagine violenta, testimonianza di una drammatica esperienza: “crisalidi di sangue | sui reticoli del morire” (Amaro incantesimo). Ma l’ispirazione della Daniele Toffanin alla fine si protende verso la luce, segno di una volontà positiva che “pur memore degli oscuri confini della materia” tocca punte di alta bellezza figurale: “Ora che sento |l’umile splendore | delle note pure” (Per filosofo antico); credo che i versi testé citati possano rappresentare la cifra peculiare di una poesia stilisticamente nuova, ma portatrice di sentimenti e valori immutabili.
Luglio 1998