Introduzione dell’autrice
C’è una casa immensa in mezzo al prato, lungo il torrente Pettorina, ai piedi di una fitta abetaia, all’ombra del Sasso Bianco, stretta alla strada provinciale da un ponte di legno, opera del Checco cortese montanaro di Sottoguda. Una casa sorta là per gioco, quasi una favola uscita dalla bacchetta magica di una ninfa boschiva. Un gruppo di colleghi-amici, giovani sognatori, invia a vari comuni montani la richiesta d’acquisto di un lotto di terra per costruirvi un loro condominio. E Rocca Pietore, nell’agordino, è l’unico a rispondere, circa 45 anni fa.
E così comincia sul Pra’ del Toro quest’avventura in cui da decenni si intrecciano le storie di molte famiglie legate d’amicizia ormai da tre generazioni. Avventura che ancora resiste all’usura del vento e degli umani eventi, e nell’attesa pasquale e negli ozi estivi. Quella casa e quel prato, inseparabile insieme, sono per me osservatorio dei riti di vita confusi fra chiacchiere, pettegolezzi, pranzi, giochi dei figli, gite comunitarie e altro, parte dell’umano procedere. Le donne in particolare ne sono vestali impegnate, nell’età giovane, in confidenze prendendo il sole e contemporaneamente seguendo i giochi dei figli ancora bambini. Pericolosi quelli dei maschi in riva al torrente gelido, con casi di inattese immersioni, catturati dalle partite di pallone o da gare con pigne-sassi, veramente rischiose o inseriti nella vicina scuola di sci. Magici quelli delle bambine rapite in danze di fate, in ricami dipinti. Donne ora dedite a mondare i funghi, dopo raccolte rivali, erbette, lamponi, ribes magari del mio arbusto, per marmellate da farne dono. Un mutare di riti nel mutare delle stagioni della vita. Ma sempre insieme a imbandire tavole a ferragosto, vestite con costumi ladini, con premi di torte, opera loro o della pasticceria di Nello Nasello il gran pasticcere, mentre gli uomini, su loro femminile regia, gareggiano con il pastin e salsicce alle braci, premiate carni montane della macelleria di Rocca Pietore.
E poi balli fino a sera, grandi e piccoli insieme, organizzati dalle donne, regine del Pra’ del Toro. Donne disponibili sempre, pronte ad aiutare i mariti particolarmente nella ricostruzione del ponte antica opera del Checco, distrutto da un’alluvione nel novembre 2002. Lavoro ligneo di grande impegno per mesi che unisce adulti e giovani, padovani e veneziani, più recente acquisto del prato dietro più alto. Gli uomini tutti collaborano anche alla manutenzione del tetto, della staccionata, al taglio dell’erba, insomma a quello che serve per mantenere il decoro e l’armonia di una vita insieme. E con le donne, libere da altre occupazioni, seduti sull’erba leggono anche loro il volo delle aquile, il moto delle nuvole per decifrare il tempo o per trarre gli auspici ai primi amori dei figli, appena fioriti. Perché al fruscio del vento, rumore del torrente sempre uguale, nella visione del paesaggio eterno e immacolato, i nostri ragazzi in quel prato crescono insieme: superano gli esami di settembre, completano i loro studi e cominciano a crearsi le loro famiglie. E tutti sono presenti ai matrimoni, alle nascite in uno scambio di doni come sono vicini tra loro in altre occasioni meno liete.
Ora questi figli divenuti genitori fanno giocare le loro creature piccine in quello stesso prato, in un passaggio generazionale secondo i riti di Madre Natura. Noi nonne, nonni accudiamo i nipotini, le nipotine che giocano antichi giochi, si esibiscono in danze come le loro mamme, ignare di essere loro le nuove regine, testimoni di un costume di vita lì creato e di continuare così, nella storia infinita, la nostra storia cominciata più di quarant’anni fa nel prato in riva al torrente Pettorina, all’ombra del PizGuda. Certo tutto nel tempo è cambiato, ma uguale rimane la sostanza cioè quella condivisione, quell’atmosfera amicale con gli uomini e la natura che si respira ad ogni ritorno. Osservatorio quindi per me particolare di una vita insieme in uno sfondo di eventi-memorie storiche e individuali, di tradizioni e magie ladine; osservatorio anche del paesaggio nel mutare delle stagioni, in particolare nel disgelo primaverile, in un ascolto qui più intimo, in una visione più limpida di una verità come nuova.