Insieme nell’umano e nel divino intorno alle prime silloge poetiche

Abbazia di S. Maria in Pratalea “Insieme nell’umano e nel divino” Incontri di poesia

Promossi da: Norberto Villa, Abate di Praglia, Maria Luisa Daniele Toffanin, poetessa
XXVIII incontro – Praglia, 29 marzo 2012

Incontro con la poesia dell’amica M. Luisa Daniele Toffanin

Testi poetici Testimonianze

A cura di Maria Luisa Daniele Toffanin Bruna Barbieri Perin PierMarina Benvegnù Valle

Foglio di Diario

Praglia. Pomeriggio. Spaziosa e quieta sala all’interno dell’abbazia. La luce ci viene da un’ampia finestra che lascia vedere le promesse dell’incipiente primavera su alberi, campi e teneri fiori. Ci siamo incontrati qui animati da una convinzione sincera: mantenere viva la fiamma antica della poesia. Non siamo più di dieci intorno a un grande tavolo. Atmosfera di amicizia. Voci pacate e assorte leggono aturno i più graditi versi di Maria Luisa Daniele Toffanin. Sono in maggioranza voci di donne distinte e sensibili (con amabile ironia il priore le chiama “diaconesse”). D’incanto la sala si fa cenacolo, eletto luogo di raccoglimento. Ci accarezza una dorata luce pomeridiana. Con gioia avverto le emozioni più autentiche della preghiera.

Mario Richter

Ebbrezza mistica

Angolo di luce

Quel raggio di sole
furtivo che accende di
azzurro il verde del melo
è già guizzo d’Eterno
segnato per sempre
nell’anima di cielo
dal grido di gioia
di un solo momento.
Istante felice
che rimane dentro.
Parola da lontano a noi
svelata in un angolo di luce.

Nel chiostro del silenzio

Fermati tempo là
ad ascoltare l’Eterno
nel chiostro del silenzio.

Voci mute di santi
oranti nelle nicchie
di tessere corrose
nell’oro e nel cobalto.

Rumori opachi di colori
camelie ancora acerbe
a maturare lente
nel fuoco del risveglio.

Parole caste d’acqua
celate da stormire
lieve di fronde,
d’antichi riti sciolte
nel fluire d’emozioni.
Catarsi puro dono.

Fermati tempo là
a sentire me viva dentro
nel chiostro del mio silenzio.

Dell’azzurro e altro

È possibile commentare la Poesia schiodando le parole dallo spazio e dal tempo della vita, che le ha partorite nel silenzio e nello stupore di un’anima sospesa e sorpresa dall’incontro con il mistero dell’Altro, velato e svelato nella creazione-convocazione-invocazione continua ? Non è forse solo l’ascolto la via di accesso al sentiero segreto tracciato dalle parole, che tendono ad attingere e a tradurre la realtà già riflessa nel cuore dalla luce primordiale di un’assenza-presenza da riconoscere e da colmare ? Sono interrogativi che affiorano come i labbri di una ferita profonda quando incrocio la Poesia con l’iniziale maiuscola di Maria Luisa Daniele Toffanin. Le due composizioni scelte dalla silloge “Dell’azzurro ed altro” coinvolgono nella crisi di un discernimento esegetico ed ermeneutico che palesa la distanza pressoché incolmabile del mio ri-conoscere e ri-dire la Parola poetica gravida di realtà e colma di Spirito. Una distrazione liturgica mi suggerisce come la quadratura del cerchio vada scoperta e trovata in un passaggio criptico del dialogo evangelico tra Gesù e Nicodemo. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito. (Gv 3,7-8) In questa ebbrezza mistica effusa dalla Poesia di Maria Luisa Daniele Toffanin trovo la chiave di accesso alla realtà, penetrata trasversalmente dalle parole che intessono ogni suo frammento nell’immensità dell’universo, nella trama della storia e nella via della vita.Devo ri-nascere dall’alto per abbandonarmi al vento della Poesia che solleva e trasporta le parole nel cuore, aprendomi alle risonanze infinite della realtà e coinvolgendomi nel vortice di una creazione continua.Le immagini uniche incise da poche parole assolute appaiono come pietre preziose di una realtà trasfigurata nell’istante felice della poesia.Quel raggio di sole…è già guizzo d’EternoNell’Angolo di luce vedo concentrato il senso di una vita immersa nel tempo dell’Eterno e pienamente avvalorata nel rigoglio della natura, nell’esperienza fusionale dei colori che dipingono i sentimenti e della parola remota svelata in un angolo di luce. Nel chiostro del silenzio, l’oggi perenne della grazia emerge come un mosaico immerso nell’oro e nel cobalto dall’inclusione fra ascoltare l’Eterno e sentire me viva dentro/ nel chiostro del mio silenzio.

P. Abate Norberto Villa

Il potere evocativo della poesia

Quando questa mattina ho cercato tra le poesie di Maria Luisa quella da leggere insieme, il mio sguardo si è posato su Praefatio, la prima della silloge Dell’amicizia e una fitta mi ha preso al cuore. Perché i suoi versi hanno fatto affiorare sul lago della memoria la cara immagine d’un amico, d’un antico compagno di collegio che, proprio ieri, ho saputo essere morto all’improvviso. E a questa struggente sequenza di parole sono rimasto abbarbicato tutto il giorno. Così questa sera non posso che ripeterla.

Evocate al bulino del dolore
dirò amica di ore nostre glissate
tra sabbia di clessidra
note lucenti d’amicizia
alla risacca memorante emerse
vive per questo mio spartito
ché in ogni rigo di noi insieme
si sente il suono della gioia,
quella umana hic et nunc
canto di confine con l’affanno,
e di chiari accordi d’acqua
dal mare dei tuoi gesti
dal profondo tuo inquisire
segni d’un nobile lavare
che ancora dà nitore
ai tuoi diletti spazi
al tuo sentire di cristallo.
Conforto a te
da chi nel mistero permane.

Praefatio non è la solita introduzione di maniera o l’invito compiacente al lettore o ancora la chiave interpretativa di un percorso iniziatico. È invece il motivo generatore, l’occhio del vortice, il centro della spirale da cui trae origine ogni altro verso. La metafora del bulino del dolore che apre la sequenza musicale rappresenta il correlativo oggettivo del processo mnemonico, di quel movimento ondulatorio in cui le immagini del passato si presentano a noi grondanti di sentimenti. Il ricordo infatti si raccoglie e consolida attorno ad un sentimento che nel presente recupera il passato, attraverso il moto ondoso della memoria. Il processo memorante risulta un percorso sentimentale in cui il dolore per il distacco della persona cara incide nella carne e nello spirito di chi ricorda, ma ad un tempo lo raffina, lo nobilita, lo impreziosisce perché dà un significato compiuto al suo passato. È il tempo ritrovato attraverso l’evocazione poetica. Il tempo vissuto al presente tende a scorrere senza che vi si faccia caso, quasi negletto, trascurato, glissato, come sabbia che scorre tra dita che non stringono e non prendono. Sono gli attimi vissuti insieme di un’amicizia leggera e profonda, attimi spensierati e impegnati, vissuti con la foga della vita che trascorre rapida. Ma ora che sono depositati nel fondo dell’animo e si sono sedimentati nel passato, la risacca della memoria li può far risalire alla superficie e depositare sulla spiaggia del conscio. Non come relitti inutili, come ossi di seppia, come i resti informi d’un naufragio-cadaveri senza identità. Attraverso la parola poetica quanto è trapassato in un’altra dimensione, in maniera apparentemente casuale, acquista identità, forma, significato.Le ore trascorse insieme affiorano nell’aria dapprima come suoni indistinti, ma i suoni si trasformano in note, le note in canto monodico, il canto in armonia di accordi. Perché la poesia, collocando il suono indistinto sul suo spartito, conferisce al rumore l’altezza e la durata della nota musicale, determina la successione ritmica, inserisce la sequenza melodica in un’armonia corale.Così la poesia sul limitare della vita possiede la potente capacità di farci afferrare e comprendere quanto abbiamo vissuto, raccogliendo e stabilendo una relazione di significato tra i frammenti sparsi della nostra ed altrui esistenza. Così la poesia, sull’esile confine che separa la vita e la morte, riesce ad ordinare il guazzabuglio del passato individuale e relazionale, in un unico complesso mosaico. È la dimensione del Commiato, la poesia che conclude la raccolta poetica. Poiché la vita e la morte possiedono un significato, in punta di vita (non in punto di morte) si può stabilire un colloquio tra chi in vita romane e chi ha sciolto l’enigma del mistero. Tra chi, attraverso la parola, esprime l’affetto impastato al dolore e chi, oltre il confine, risponde attraverso il fremito della natura e la bellezza dei fiori che crescono sulla terra in cui riposa. Se questo è lo sfondo concettuale su cui si muove l’opera di Maria Luisa, la sua efficacia evocativa e dunque poetica consiste, a mio avviso, nella vastità della risonanza semantica che accompagna il ritmo del verso. Perché i termini/parole/suoni che compongono la poesia si collocano in due semplici, essenziali campi semantici. Il primo è quello acquatico: sabbia, risacca, emergere, acqua, mare, lavare, lucenti, cristallo. L’altro è aereo/sonoro: evocare, note, spartito, rigo, suono, canto, accordi. Come se il meccanismo della memoria poetica fosse un processo primordiale che dallo scorrere del primo elemento vitale (arché della fisis) divenisse aria/suono/anima (pneuma).In questo mi pare consista l’autentica poesia. Nel riuscire ad evocare attraverso il suono/parola una scala di significati che uniscono l’altezza dello spirito con la profondità dell’archetipo naturale che in ogni essere umano si conserva.

Giovanni Ponchio

Esperienza unica

Incontro d’arte e creato: Abbazia di Praglia

Figura sfumata vagante
nell’aria più spessa più rara
o corallo ardente nel sole
Praglia è mistero splendore d’energia
da secoli esplosa in nobile argilla.

Su erosi gradini il Tempo cammina
spalanca parete di luce accesa
da intarsi d’antica trachite,
abbraccia i colli da millenni
immobili, sopito l’arcano ardore.

Miei colli
desiato rifugio a poesia:
ancora pei sentieri Jacopo
invano a Teresa recita amore.
Echi lontani, vivi a svanire mai.

E dalla Parola vinto s’arresta
il Tempo e si condensa nel silenzio
di mani accordate
sulle vigne e sui codici miniati
di voci oranti chiuse
nell’armonia del sacro canto
di madonne e angeli sospesi
in tenui pastelli a volute.

E noi tutti presi da un’onda mite
d’ulivi e cipressi e di germogli lieta,
nell’incanto-incontro d’arte e creato
rinasciamo immacolati come la prima alba.

Per colli e cieli insieme mia euganea terra

All’abbazia di Praglia c’è tutto: storia, arte, fede, laboriosità ed armonia tra cielo e terra. Mi sono sempre recata in questo luogo sacro convinta di trovare un po’ di bene per me e per le persone a me vicine. Desideravo ciò anche per i miei alunni e li accompagnavo perché la visita ad essa era culturalmente importante ed allo stesso tempo occasione di esperienza di serenità interiore. L’incanto – incontro d’arte e creato è ben esposto dall’autrice con il suo sentire poetico nel testo che ho scelto, considerata anche la nostra presenza in questo luogo. Si coglie nella prima strofa la solennità dell’abbazia da secoli presente in questa zona dei Colli dove l’atmosfera con l’aria più o meno rarefatta la rende mistero per tutto il bene spirituale e storico che rappresenta. Gradini erosi e intarsi d’antica trachite accompagnano il trascorrere del tempo mentre i Colli sono immobili, messo a tacere l’ardore antico della natura. Veloce e intensa è la strofa che richiama la frequentazione di questi luoghi da parte di poeti, il Foscolo in particolare, la cui eco è ancora viva e continua con la poesia, anche con questa dell’autrice Toffanin. Mi piace come si svolge il racconto della presenza dei monaci nel lavoro e nella preghiera voci oranti accompagnate da figure divine. Ogni parola è appropriata, studiata come quell’idea dell’onda d’ulivi e cipressi e germogli ed è lieta, capace di trasformarci e di farci rinascere come la prima alba. Quale stupore! Com’ è stata la prima di tutte le albe? Mi piace pensare che si può rinascere vedendo con sguardo nuovo e libero ogni alba dei nostri giorni.

Bruna Barbieri Perin

L’ultimo sguardo della madre

Ti ho vegliata madre

Ti ho vegliata, madre
nella terrena ultima notte
sul cuore adagiata del mio uomo
là nella casa-eco ancora
acceso dal nostro vivere.
Ti ho vegliata
senza scialli di pianto
ma velata di tela di rosa
gioia per il tuo corpo vergine
dal crudo patire lento.
Ti ho vegliata
le mani fiorite di viole
umili grate all’Eterno
per il dono a te a noi
del tuo sfiorire sì dolce
lungo la siepe del giorno.
Madre, nell’estasi rapita
tu quasi alla vita rinata
il volto acerbo di perla
d’antica sapienza segnato
ma splendente di albe
serene di cielo discese.
E all’altra mia casa ho portato
spoglie le spalle di alata difesa
l’anima predata ormai di radici
e caldo il cuore, caldo dell’alba tua
bellezza giovane di Luce nuova.

Fragmenta

Tutta questa poesia è pervasa da un tocco di delicatezza e intrisa da un sentimento di dolcezza infinita.

“Ti ho vegliata, madre
nella terrena ultima notte”

Io so quanta trepidazione, quante attese, quanta dedizione, quanto amore ho dato per giungere ed essere presente a quest’ultimo momento di vita di mia madre. Ma so anche quanta consolazione mi è rimasta nel cuore per il ricordo di averle tenuto la mano e parlato dolcemente, mentre i suoi occhi, che volevano ancora dirmi qualcosa, si chiudevano piano nel sonno sereno della morte.         

“Lo sguardo silenzioso che mia madre ebbe nel morirmi”
                  H. Hesse
         “grate all’Eterno
         del tuo sfiorire sì dolce
         lungo la siepe del giorno”.
                  M.L.D.T.

Purtroppo la perdita della madre è la più grave perdita nella vita, perché significa smarrire il punto di riferimento principale, la stella polare dell’orientamento e la radice della propria esistenza. Questa perdita ci lascia         

“spoglie le spalle di alata difesa”

Però, come osserva Mario Richter, sensibilissimo e attento curatore dell’opera della poetessa Toffanin, “L’esperienza del dolore non prende in lei mai il sopravvento, è subito trasformata in immagini lievi, in colori delicati, in chiare e rassicuranti visioni”.     

“Ti ho vegliata
senza scialli di pianto
ma velata di tela di rosa

le mani fiorite di viole
umili, grate all’Eterno…”    

“Il dolore ad ogni sua apparizione, risulta sublimato, illuminato da una fondamentale riconfortante fiducia” che è certezza dell’inizio di una nuova luminosa vita in Dio.         

“Alba…di luce nuova”.

Vi è anche in questa poesia un richiamo ai ricordi dell’infanzia:         

“Là nella casa-eco ancora
 acceso del nostro vivere”.

È il ricordo della casa paterna che risuona ancora delle voci lontane. Questo richiamo all’infanzia ha un particolare significato rigeneratore perché funge da auto-terapia che porta a risolvere le situazioni critiche della vita in una consapevolezza risanatrice. Grazie, amica, per la tua poesia. Tu l’hai scritta e l’hai donata a tutti. Io l’ho letta e l’ho fatta mia. Come dice Pessoa:

Questo è il destino dei versi.
Li ho scritti e li devo mostrare a tutti…
Eccoli già lontani, come su una diligenza…
Contribuisco forse a ingrandire l’universo
perché colui che morendo ha lasciato scritto
un solo verso bello, ha reso i cieli
e la terra più ricchi
e più emotivamente misterioso
il fatto che esistano
e stelle e gente.”

Il ricordo  dell’amica mi rivivrà ogni momento

lavava ogni alito della mia musa
parola a lei diletta sempre
-da cifrare-tempo dell’anima-
diceva nell’incontro tra noi
più raro ma ancora vermiglio.
E su balaustre di giacinti
struggente ultimo dono augurale
posavamo in volo interiore
tremori speranze promesse
dal cuore-mia terra raccolte
perché al tepore del ricordo
Lei mi rivivrà ogni momento
come in un’infinita primavera
colore-odore di quei grappoli
pegno-impegno d’amicizia
profumo benedetto ancora sempre
che vola alto oltre il vento
della brughiera d’inverno
e non si sperde.

COMMIATO
Poter fermare
quell’attimo
in punta di vita
e ridirti, amica,
il mio bene
pur nell’ora più greve
e sentir spuntare
i fiori
in fremito-risposta.

Dell’amicizia

Il ricordo dell’amica

Come la poetessa M.L.Daniele Toffanin anch’io ho avuto la fortuna o “Dono divino” di vivere un’amicizia vera e profonda per quaranta anni: una vita! che non si chiude nemmeno con la morte, ma va oltre e rivive ora nel ricordo e nel dialogo che continua. L’amicizia è un incontro di anime che si comprendono e si donano:         

“Tempo dell’anima-
 diceva – nell’incontro tra noi”

Anche Marina Cvetàeva incontrando l’amico o l’amica a cui si legava di profonda amicizia diceva:         

“Ti accolgo negli spazi della mia anima”.

Nell’amicizia si condivide tutto: ”tremori, speranze, promesse”. E si è sempre pronti a correre in aiuto a un minimo cenno di difficoltà o richiamo.         

“E su balaustre di giacinti
 ultimo struggente dono augurale”

Mi ricordo il giorno del mio compleanno poco tempo prima della sua morte, quando con un filo di voce mi raggiunse con il telefonino dalla sua stanza d’ospedale per l’ultimo messaggio d’auguri. Proprio in quel giorno fioriva la sua pianta regalatami venti anni prima; cosa che si ripete puntualmente ogni anno.

“Lei mi rivivrà ogni momento
 come in un’infinita primavera

pegno-impegno d’amicizia
profumo benedetto ancora sempre
che vola alto oltre il vento

e non si sperde.”

In “Commiato” vengono ripresi e riassunti i temi già espressi prima, ma incastonati in una preziosa gemma: una poesia essenziale e perfetta che chiude anche tutta la raccolta.

Mie impressioni ed emozioni

Quando lessi per la prima volta alcune poesie della nostra poetessa, rimasi felicemente sorpresa per tanta fecondità e ricchezza espressiva, per l’originalità dello stile e la validità dei contenuti. Devo confessare che all’inizio la lettura non mi risultava facile: mi si apriva dinanzi un condensato di concetti e di immagini espressi in un linguaggio a me nuovo, a volte denso, irto, ardito, altre volte invece si placava in visioni più rasserenanti e luminose; ma in genere era sempre sotteso da un’urgenza del dire, da una tensione forte come nella poesia concisa di Marina Cvetàeva. Quando leggo un suo libro di poesie, è per me come scalare una montagna irta di picchi, vette, cime. Lungo il percorso si aprono squarci di luce abbagliante che accendono di colori più intensi il paesaggio attorno. Sovente mi sorprende lo stupore per visioni inaspettate, luminose e rasserenanti. Tuttavia la salita non è senza sforzo. Avverto una tensione interiore che è volta anche ad una ricerca personale, a un desiderio di elevazione verso l’alto, verso l’Assoluto. Mi vengono in mente “ Le elegie di Duino” di Rilche. Nello stesso tempo il suo sguardo si sofferma anche sul mondo per riscoprire il riflesso del divino nella natura e nelle nostre vite umane. Tutta la sua poesia è pervasa da un sentimento di leggera delicatezza e di stupore che fa intuire il pudico e sincero candore della sua anima che si libra dalla terra verso il cielo in uno slancio vitale, creativo e rigeneratore.

M. Elisabetta De Stefani

Fiori d’armonia

Lunaria

Non recidere Luisa, di grazia
quel fiore delicato insieme fucsia
darà frutto-icona per semi
lucente-argentea-iridescente

estiva memoria o lunaria
luminaria per dimore e
al cuore spento d’inverno.

Darà luce a trame fra noi amicali
all’ora nostra più tarda
alla notte impietosa del tempo
questa erborea creatura di luna

che al sole si immilla
alle stelle scintilla
-occhiale minuto papale-
ovale madreperla vegetale.

Bacca d’Alchechenghi

Sei succo vitale
in te bacca rossarancio
lucente rappreso

solerte a maturare
alla festa solare
alla foschia autunnale
in gioia-dolore è uguale.

Lontano al comune tatto
velato da arboree trame
quale tela paziente d’arachne

sei il pudore da serbare intatto
-esile quasi antico vetro-
che ti rende, o amica bacca,

gemma preziosa così celata
al facile desiderio, più fragile.

Florilegio femminile

La descrizione che M.Luisa fa della lunaria, volgarmente chiamata “lente del papa” e dell’alchechengi è quanto mai azzeccata! Infatti la lunaria è una pianta biennale, per cui se non la si riconosce, viene strappata come erbaccia. Ecco quindi giustificata l’esortazione fatta alla sua amica Luisa, di non strappare quella piantina dai fiori fucsia perché essi si trasformeranno in strutture traslucide, argentee e lucenti “che al sole si immilla”. Ci sarà di conforto” all’ora nostra più tarda alla notte impietosa del tempo”. D’altro canto l’alchechengi con le sue bacche rosse racchiuse in un involucro arancione simile ad una ragnatela a forma di lampione cinese è così particolare che desta stupore nel considerare la capacità della natura di creare forme così delicate e piacevoli da vedere. Quando i rami si seccano, assumono contorsioni tali da diventare opera d’arte, per chi assembla questi rami da soli o mescolati con la lunaria. Io ne godo particolarmente e per questo ho scelto queste due poesie, perché a mio avviso, M.Luisa ha saputo cogliere aspetti della natura e della vita trasformandoli in note armoniose.

Luisa Sarto

Trasfigurazione poetica

Del poemetto di Maria Luisa Toffanin Daniele Dell’Amicizia, celebrativo del sincero legame amicale che la legava alla insegnante capace, alla confidente discreta e premurosa, donna e madre con cui condividere le Trame del quotidiano ora tenere ora pesanti, leggo con piacere di un vivere insieme cortese. Frasi (pag. 18) descrittive di rituali domestici e di progettualità praticata dalla protagonista, sottolineata da iterati cenni alla di lei rossa capigliatura, ornamento – emblema distintivo ed esultante. Non si possono tralasciare i versi“…con calzari di vento/ amabile veniva alla scuola,/ la rossa criniera docente/ i sogni-nonsense di Alice/ la dolce follia di Ofelia/ ed entrava con passo di danza/ nella stanza della Corona/ col bel suono sulle labbra/…ai giovani/ diceva l’urgenza/ di un vivere insieme cortese/ alla voce di un’etica stella. Proprio questi versi appaiono in movimento e configurano una attrice magica nel suo apparire, nel suo mostrarsi ricco di fascino, quale personaggio da imitare, seguendone i consigli improntati a saggezza e sobrietà. Coerente nel distribuire pillole di etica col consumato approccio del Paese dell’-How do you do? -. Questa donna carismatica viene analizzata nel ricordo della sua recente scomparsa, presentandone abitudini, atti spontanei e parole giornaliere, vissute tra i cari affetti domestici. Per mantenerla viva nelle menti; per rinnovare il contatto con quella operosità vivace, per vincere la nostalgia della di lei presenza. In accordo con la tradizione ciceroniana classica, con la Tragedia shakespeariana, con le suggestioni racchiuse nei personaggi di L. Carrol, la Toffanin ne esalta la figura situandola sul piano delle creature sospese tra sogno e realtà, dei fatti indimenticabili e senza tempo.

Luciana Peretti

La magia della natura

Le poesie in Per colli e cieli insieme Mia Euganea terra di Marisa Toffanin descrivono la natura dei colli Euganei come stupore che attrae e ispira la poetessa che visualizza animali e piante che mutano colori con le stagioni, persone laboriose e religiose in una realtà lontana dai problemi del vicino mondo meccanizzato in cui l’autrice vive. Se devo scegliere una sola di queste liriche penso che quella che descrive meglio i colli sia la XXXI , dove sono descritte le case antiche di sasso i cui abitanti lavorano la terra tra alberi pieni di nidi, pungitopo e suoni di campane. Nella poesia II i colli Euganei vicini alla casa della poetessa sono pieni di verde, ma anche di sentieri umani, sono imponenti al tramonto e dolci al mattino. Sono ricchi di colori e ispirano sentimenti poetici. Sono creature divine e donano energia lasciando un senso di stupore a chi li osserva. Nella VII si parla degli animali dei colli, cioè della lepre che balza tra massi e erba, degli insetti come le farfalle che mutano e volano via dalle crisalidi come per mistero. Nell’VIII sono descritti i fiori come i gialli Topinambur, il viola della lavanda e le spighe ramate tra il verde, colori dell’autunno. Nella XIII la betulla dal tronco bianco sbuca tra alberi dalle foglie gialle autunnali. Nella XVII chiede al marito di portarla sui colli azzurri tra i sempreverdi per dimenticare i problemi del quotidiano e sentirsi parte della natura Nella XIX a Novembre sui colli c’è nebbia e i rami grigi sono privi di uccelli migrati da tempo. Nella XX si vedono uccelli partire da un filo elettrico, insieme ad ali spiegate verso terre più calde. Nella XXI si parla di capitelli, lungo un sentiero, che parlano d’eterno. Nella XXIII appare l’Abbazia di Praglia in cui nel silenzio i frati cantano, studiano e coltivano viti tra ulivi e cipressi. Qui i visitatori tornano innocenti.

Da Iter Ligure ho scelto altre poesie: Golfi di poesia in cui Marisa descrive il mare ligure circondato da colline verdi e reti messe ad asciugare da pescatori con i volti rigati dalla fatica, dal sale del mare e dal vento che spira sugli scogli e tra gli ulivi, mentre dal mare sembra appaia Venere ai poeti.

In Trame d’armonia case si specchiano con colori sbiaditi nel mare – acquario, mentre si ode il suono di aria e acqua in note mute di onde che s’infrangono sugli scogli. Tutto è azzurro: il cielo, il mare e l’anima, avvolta dalla magia del momento.

In Catarsi e scoperta sono descritti i fuochi d’artificio che colorano dal nulla terra, cielo e mare insieme come un’esplosione di petali colorati che brillano nel blu o come fontane che indorano i pesci.

In foresta di castagni gli alberi pieni di nidi e favi di miele donano ossigeno all’anima e ispirazione alla poesia di Marisa.

In Quel battere delle ore sono descritte le barche attraccate sotto la luna tra le onde salate del mare formanti una schiuma che subito svanisce nel mare profondo, dove sparisce il senso delle cose nel moto perpetuo delle onde.

Michela Mussato

L’eternità dei valori spirituali

Non solo immagine

Il corpo è valigia di carne
che il tempo limita e usura
senza più stanze ove muoversi
con antica positura

una valigia d’argilla inaridita
senza lucore di primavera
ma dentro, la valigia, cela
segreti dello spirito indicibili.

Fra stinte crepe bulinate
levita una levità azzurra
un polline profumato
un’acqua di sorgiva viva.

E l’anima che migra oltre il proprio stato
libera da corporale gabbia
sociale inquinamento
centro di benessere e commerciale.

Migra oltre eterei strati
pascoli di nuvole slarghi di sole
in un dove senza tempo-spazio

oasi d’innocenza riaffiorata
isola celeste di libertà
di chi sapiente al mistero delle cose
si rilibra alla sua origine prima

per succhiare sostanza-essenza
estinta sulla terra
da una fame d’immagine. Abusiva.

Rientra l’anima a sera
nella sua valigia d’argilla
da quell’estasi rifocillata
registra emozioni irripetibili.

Il corpo è valigia di carne ingombrante
ma l’anima che leggera migra
è il viaggio infinito.

8.12.2011

Una donna azzurro-candida
         a madre Teresa di Calcutta

Sfiora l’arida terra
un’ala minuta in canto in preghiera
un angelo, una donna azzurro-candida
sugli ultimi piegata

immensa ala d’amore al gelido patire
rapita da quel volto della Croce
inciso nei reietti
traditi ancora da Caino.

Tu, minuta ala vibrante al Verbo
che alita interiore energia
alla tua figura tenera,
tu sgrani in rosari

l’eterna sfida d’amore
rivoluzione alla storia
e nell’oblio di te rinasci
altra nell’altro, redento il dolore.

Ora d’umiltà vestita
t’azzurri nel volo di Dio
e nel coro dei beati canti
la gioia del vivere in offerta di sé.

settembre 1997
Florilegio femminile

Nella ricchezza della produzione poetica di M. L. D. T., ho scelto di proporre dei testi che si allontanano dai temi diletti dall’autrice, quali per esempio l’osservazione impressionistica della natura, gli affetti familiari e amicali, le memorie del passato, la tensione all’Eterno, lo scorrere del tempo, il dolore come prova rinvigoratrice, ecc.. Nella prima lirica Non solo immagine, infatti, è abbandonato il campo intimistico e viene proposto un altro genere di riflessione, originale e di grande attualità. Di primo acchito chi è abituato a leggere in M. L. D. T. altre tematiche può addirittura provare un sentimento di vivo stupore e quasi dissentire anche per l’uso nuovo e audace del linguaggio. Già nel primo verso il nostro corpo, la nostra fisicità viene paragonata ad una valigia di carne…che il tempo limita ed usura…senza lucore di primavera…senza più stanze ove muoversi / con antica positura. Questa sensazione, tuttavia, è comune a chi, non più giovane o ammalato seriamente, avverte forse per la prima volta nella sua esistenza una sensazione non momentanea di debolezza, di incertezza, di precarietà. Costoro non possono più fare affidamento sulle proprie forze fisiche, sulla loro prestanza e sulla propria bellezza vitale a cui erano abituati da sempre. Perciò devono accettare stinte crepe bulinate oppure, in questi tempi in cui l’immagine regna sovrana, affidarsi a qualche centro estetico alla ricerca dell’eterna giovinezza. Non considerata affatto questa possibilità dalla nostra poetessa, anzi deprecata, acquista ancora più significato, in acceso contrasto con la moderna “ideologia”, la consapevolezza della nostra interiorità intatta, come levità azzurra / un polline profumato / un’acqua di sorgiva viva. La nostra anima si libera della corporale gabbia per migrare in un dove senza tempo-spazio … alla sua origine divina / per succhiare sostanza-essenza. In questo sta la salvezza dell’uomo, in questo viaggio infinito, anche se rientra l’anima a sera / nella sua valigia d’argilla che ci condiziona e ci fa soffrire, ma da quell’estasi rifocillata / registra emozioni irripetibili. Ammetto che, all’inizio, sono stata sorpresa da questo testo, che, però, ho subito condiviso e apprezzato. Anche la scelta di un linguaggio forte, moderno, graffiante, che dà vita a immagini vive e stupefacenti, con bordate critiche alla società attuale, mi trova d’accordo. Per certi aspetti è un argomento antico, ossia la scissione tra anima e corpo, ma trattato modernamente e aggiornato alle mode imperanti e aberranti del nostro tempo, quando si indossa un’immagine abusiva che risponde alla domanda di eterna giovinezza fisica, di beltà puramente esteriore. C’è una severa e graffiante critica ad una società che cura in modo eccessivo l’immagine e trascura le infinite possibilità dello spirito. Nell’altro testo, invece, Una donna azzurro-candida, si conferma la capacità di M.L.D.T. di delineare ritratti di persone, dando vita a vivaci profili di parenti e amiche. In questa occasione si parla di un personaggio storico della nostra epoca, disegnato in modo delicato e leggero: con pochi tratti risulta rappresentata quella piccola donna vestita di bianco-azzurro che, così fragile e potente nello stesso tempo, si rivolgeva con disinvoltura ai “Grandi” della terra. È descritta come un’ala minuta…un angelo…immensa ala d’amore…minuta ala vibrante…figura tenera …d’umiltà vestita, cioè con una prevalenza di vocaboli che evocano un essere angelico mosso dall’amore e dall’umiltà. Ma, pur così fragile, è stata capace di incarnare una sfida al mondo: la sfida che fu di Cristo, che usò l’amore come arma della sua rivoluzione. La sua gioia di vivere era nell’offerta di sé, nel dimenticare se stessa nell’altro. In pochi versi è racchiusa in estrema sintesi l’essenza di Madre Teresa di Calcutta che appare viva e vitale nella sua fragile fisicità e nella potenza dei suoi ideali cristiani di vita vissuta in offerta di sé… nell’oblio di te, rinasci nell’altro.

PierMarina Benvegnù Valle

Trame di vita e storia

La grande attesa

Campo di Benjaminov n. 5437

Padre, dal campo di Benjaminov
di te ormai solo echi pallide sillabe
raccolte come reliquie
dalla casa-cuna franta per sempre.
Vi ausculta il mio tempo assorto in filiale devozione,
il battito del tuo non detto
per quel pudore-dignità-sudario
sull’ altare del dolore, per la difesa della madre.
Quanta vita, padre, si trascina
S’ innalza velata celata tra le righe
e tu, da numero segnato, ti riformi intero
persona anche allora in note pregne d’ umano
cerchi d interiore trasparenza
sempre più compiuti e chiari.

Straziante elegia la lontananza
nel cubo della notte invasa
da alienanti odori rumori
e confortante angelica presenza
l’immagine baluginante ad ogni ora
di sguardi sorrisi incisi nella cavità del cuore
richiamo che chiama richiama la vita
la casa-gomitolo di speranza infinita.

Logorante la trama del vissuto
incubo di giorni umiliati arresi nel vuoto smarrimento del proprio ego
alle fauci della fame del gelo
al raschio degli insetti
all’ alito di morte sui reticoli
ma lietante il fruscio del pacco dalle tue mani fraterne aperto
col pane benedetto dalla terra
dei tuoi padri
condiviso come una comunione.
Lietante il fruscio dell’ ago-filo
su mostrine ufficiali divise
cucito ricucito rispetto di sé
che salva gli IMI orlati di naufragio.

E consolante come una preghiera,
divino nutrimento all’ anima
tra voi, nella camerata a sera,
la linfa-logos dei Grandi che scorre
scavata da Paci il filosofo,
captivo d’ uguale destino,
voce-riaccensione di sé ed altri
in archetipi-comune appartenenza
all’ umano procedere sempre
oltre il limite delle baracche
oltre lo sguardo folle del presente.

Fragmenta

Tratta dalla silloge poetica “Fragmenta” della poetessa M.L.Daniele Toffanin ,questa lirica è il ricordo struggente di una figlia devota che, con grande sofferenza, rievoca la tragedia inflitta al suo amatissimo padre, catturato dai Tedeschi nel 1943 ed internato nel campo di Benjaminov. Nel ricordo del vissuto, esplicitato con grande pudore, per evitare ulteriore turbamento alla “ madre sola, si snoda tutta la trama del trascorso incubo dei giorni umiliati, “arresi alla fame, al gelo, al raschio degli insetti,,. Molto toccanti i silenzi del genitore che scelse e patì conservando a duro prezzo la sua dignità. Unica consolazione in mezzo a tanto strazio: il pane benedetto dalla terra dei padri condiviso come una comunione e la fraterna e consolante linfa –logos dei Grandi scavata dal filosofo Paci. Una poesia elevata, questa, delicata come delicati sono: l’ argomento ed il protagonista; una lirica che tocca le corde più intime dell’ animo di chi legge, e, che invita ad una religiosa attenzione-comprensione del tutto. Una lirica che induce alla condivisione di una verità assoluta: la libertà della persona è un bene inalienabile che nessun altro essere umano può e deve violare!

Mariella Taumaturgo Fogo

Amicizia: il senso della vita

Ove germogliò il seme dell’amicizia

E lavava lavava
Lavava nell’onda dei ricordi
Quel mite angolo agreste
Dimora d’umana cultura
Ove germogliò a settembre
Raro il seme dell’amicizia
Nel tempo diramata
In presenza una nell’altra.
Come la vigna là nel brolo
Radicata nel profondo
Allargata in un trionfo
Di grappoli d’oro,
che la memoria mai spreme
succo della vita
in verbale rugiada
ancora nutrimento all’anima

E furono vendemmie luminose

E lavava lavava
Lavava la scala di pietra
Spianava con garbo la pasta
E l’aspro delle cose
Contava,contava i fagioli
Come gemme piu’ rare
Poi volava sull’erba
La rossa criniera amorosa
Alla vigna del suo sposo
Per festosa raccolta
Noi loro insieme tutti bambini.
E furono vendemmie luminose
In tempo ancora tenero
E la casa era tranquilla
Non la fiutava il predatore

Per questo incontro dedicato alla poesia di Marisa ho scelto la raccolta “Dell’amicizia, my red hair” non solo per la bellezza delle sue liriche ma, per il profondo significato che questa esperienza di vita in essa delineata offre alla riflessione. È il valore dell’amicizia che emerge e domina, parla e intenerisce, illumina. L’amicizia è “il credo vitale” di Marisa su cui mi sono più volte soffermata, osservando la spontaneità e premura con cui apre le porte della propria casa; il suo generoso e sincero disporsi all’accoglienza. Ed ho sempre letto, in questa sua disposizione d’animo, proprio il segno di un credere convinto al valore delle relazioni umane; alla bellezza, ricchezza e preziosità dell’amicizia come dono reciproco. È il “filo rosso” che ho percepito scorrere tra Marisa e Valeria la sera in cui anch’io ho conosciuto “la Rossa Criniera”. Era la notte di “un capodanno”, forse nevicava. In ritardo ed un po’ affannata apparve Valeria, reggendo una pirofila del migliore “baccalà alla vicentina”; il marito la seguiva con il vino della sua amata vigna. E, subito l’atmosfera si accese: ricordo una Valeria chiacchierare gioiosa e scintillante ed una Marisa “rapita” e sorridente ad ascoltarla. Fu in quell’attimo che ho percepito tra loro un’intesa, un affetto sincero, un legame fraterno, ed ho pensato proprio ad un importante “vissuto insieme”, come la raccolta “Dell’Amicizia mi ha, a posteriori, confermato. Sono poesie-memoria di una quotidianità semplice, trascorsa nella stessa terra: un’esperienza fatta di contatti professionali a condividere la stessa passione, lo stesso amore per il proprio compito, per i propri studenti ma, fatta anche, di contatti personali e familiari a tessere e rinsaldare una profonda e indissolubile amicizia. Le due poesie che ho scelto mi sembrano ben connotare questa esperienza di vita densa di alti valori, pur nella sua brevità.

Graziella Righetti Framba

Corale

I monaci affabili, agili e lievi come le note sul pentagramma del grande libro dei Salmi, si muovono rapidi nella luce rosata dell’Abbazia di Praglia, tra gli orti, i cortili, le sale affrescate, i lunghi corridoi. Discepoli solidali in un condiviso peregrinare, noi saliamo le scale che annodano un chiostro al successivo, in una silenziosa vertigine di piani che sembrano procedere l’uno dall’altro, fino a traboccare negli azzurri templi del cielo che ci sovrasta. C’è una profonda armonia che si diffonde ovunque fra i muri di pietra lavati dal tempo e che ritroviamo luminosa nel sorriso gentile e ospitale dell’Abate: la sua parola serena e sapiente dà provvido conforto ai nostri dubbi, voce e singolarità poetica alla nostra comune ansia di bene. Maria Luisa traduce questa inquietudine, così umana, nella fragile bellezza dei versi di un florilegio “angelico” che si fa intercessione, preghiera ispirata e feconda, paradigma dell’universo femminile: Fiat voluntas tuaMagnificat anima mea Dominum… Con il suo canto dolcissimo, limpido e suggestivo, intorno al nostro Abate-Maestro, per noi tutti intona un coro in cui inconfondibili si riconoscono le voci di Marta, Cristiana, Michela, Luciana, PierMarina, Luisa, Bruna, Mariella, Maria Elisabetta, Graziella, Gianni, Mario… invocando:

…E in noi tutti
Vinti dalla furia della materia
Promuovi albe di volontà buona
Per quell’equilibrio tra uomo e cose,
vitale premessa d’un vivere ispirato
ai germogli dell’universa terra…
……….
Ci sono angeli……

Preghiera (pag. 57)
E ci sono angeli

Luisa Scimemi San Bonifacio