Fernando Bandini – Dietro i cancelli e altrove
Incontro floreale con Fernando Bandini
Nel mio primordiale disordine ho ritrovato solo recentemente “Dietro i cancelli e altrove” di Fernando Bandini e subito il ricordo è divenuto immagine nitida del mio incontro con il poeta vicentino all’Accademia Olimpica per la presentazione appunto di tale libro. In quell’occasione gli ho regalato il mio “Fragmenta” e ho avvertito un comportamento un po’ scontroso mentre mi dedicava il suo libro da me acquistato. D’altra parte chi abita l’isola della poesia, ho pensato, non vuole che altri lì possa approdare perché lui ne è l’unico possessore. Forse da questo il suo approccio scabro con me.
Ma ora che percorro questa silloge, dopo la conversazione di Daniele e gli interventi di Richter, insieme nell’amicale tensione di tener vivo il collega, poeta, mi accosto in altro modo a Bandini cercando la sua anima, la sua vicinanza alla mia e veramente mi incontro con lui nella sua attenzione, forse amore, per i fiori, gli stessi che amo anch’io. E subito mi addentro nei versi raccogliendo la sua anima vegetale. Ritrovo l’alchechengi, frequentato da vicino da Bandini, perché ne tratta la sua verità in forma e sostanza. Campeggia questo festone arancione accanto ad un mappamondo in un bel quadro di natura morta “Natura morta con mappamondo” in cui esprime tutta la sua vicinanza psicologica a questa lanternina colorata: Sì, anch’io sono stato nel mio secolo / una gracile lanternina appesa / a un picciòlo del tempo che mi nutriva ed era / il mio nodo scorsoio, ….
Un uomo anche lui come questi alchechengi lontano dalla storia rappresentata sul grande mappamondo con riferimenti alla Pace di Vestfalia (1648) ma più vicino fraternamente a questi umani alchechengi: … e sento / molto a me più fraterni quei festoni / di alchechengi con una bacca di cuore, / vissuti in qualche oscuro sottobosco / delle Fiandre… luogo teatro della guerra che si concluderà con la sovra citata pace da cui avrà inizio il concetto attuale della sovranità nazionale: al riparo dal vento / che facevano stormire le orifiamme / delle nazioni. Una poesia di cultura storica in cui la natura diventa importante rifugio di pace e di vitalità del poeta. Notiamo che gli alchechengi, sparsi sul suo scrittoio, quasi ridono della storia stessa nel suo procedere sempre scompigliato,forse anch’essi provenienti da un remoto Seicento.
Natura morta con mappamondo
Sì, anch’io sono stato nel mio secolo
una gracile lanternina appesa
a un picciòlo del tempo che mi nutriva ed era
il mio nodo scorsoio,
come furono questi
alchechengi arancione che ridono dal fondo
di un Seicento remoto, sparsi sullo scrittoio
dove campeggia un grande mappamondo:
un globo con oceani verdini
e terre emerse colorate in ocra,
con scritti, sopra
le regioni del nostro continente,
nomi di antiche patrie i cui confini
avrebbe scompigliato la pace di Vestfalia.
Ma non mi riconosco
in storie umane e sento
molto a me più fraterni quei festoni
di alchechengi con una bacca in cuore,
vissuti in qualche oscuro sottobosco
delle Fiandre
al riparo dal vento
che faceva stormire le orifiamme
delle nazioni.
[“Dietro i cancelli e altrove”, ed. Garzanti, 2007]
Altro fiore in cui mi ritrovo complice con Bandini è la miosotide che i poeti chiamano non-ti-scordar-di-me scivolata via da un vecchio libro di preghiere della madre ormai lontana dalla terra. Il fiore diviene luogo mitico dell’infanzia, del tempo perduto, della felicità accanto alla madre che in “Il ramo d’oro”, ricorda in un intenso e struggente monologo. E risente la voce, negli anni ormai tardi, di lei che usa espressioni affettuose, bambine chiamandolo “scricciolo”, “o mia stella” rivedendo davanti a sé sempre il figlio, coi capelli ormai bianchi, ancora bambino dimenticandosi di come fugga il tempo. Situazioni esistenziali e affettive che ci coinvolgono tutti in questa dolce smemoratezza che non vuole accettare la realtà delle cose.
Riporterò solo alcune espressioni del suo parlare interiore a lungo: … Il sole è meno luminoso da quando / la tua cara pietà ci ha detto addio. / Non sapevo che senza di te sarebbe stata / così mesta la vita. … quasi solo adesso comprendendo quanto importante fosse stata la sua presenza nella sua esistenza ma seguendone le tracce ora con lo stesso suo passo. Avverte infatti di esserle nel tempo ora sempre più vicino prendendo coscienza della morte e le chiede di aprirgli le braccia nell’atto estremo come quando tenero infante … correndo barcollante verso te finché cadeva nel tuo grembo… Umanissimo e misurato sentimento d’amore per lei che, come il fiore ormai sbiadito, ancora riportava la stagione di un’antica / primavera e i cieli che il tempo portò via / con sé mentre fuggiva e in questi fiori risente tutte le passioni materne verso le cose semplici che ora anche lui ritrova in una dimensione diversa del vivere.
Ma la miosotide è qualcosa di più: è simbolo di quella bellezza della natura che nessuno vede lungo i cigli delle strade, simile a quella santa quotidianità, spiega la madre nel giorno dei Santi, di tante persone a tutti sconosciute ma non a Dio che le accoglie fra i santi e le cinge di un’alta luce. Solo … Lui sa perché il fiore della miosotide / che nessuno vede mostri la sua bellezza / in terre desolate fino al giorno / in cui morirà». E la voce della madre così lo accompagna nella sua ricerca del ramo d’oro,chiave per entrare nel regno dei Beati. Quindi in questo fiore tanto amato è racchiusa la vita stessa della madre e l’infanzia del poeta come luogo della felicità e della speranza.
Il ramo d’oro
Io ero un uomo adulto e tu ormai alla fine
dei tuoi tardi anni, e spesso tuttavia
m’imponevi affettuosi nomignoli come
fossi ancora un bambino
e continuavi a chiamarmi «scricciolo»
o «mia stella», vedendo sempre davanti a te
quello ch’era lontano e dimenticandoti
di come fugga il tempo.
Ma bianchi i nostri capelli, percorso
il più del cammino della vita; non era
da tutti e due lontana ormai la meta
dell’ultimo sonno.
Il sole è meno luminoso da quando
la tua cara pietà ci ha detto addio.
Non sapevo che senza di te sarebbe stata
così mesta la vita.
Mesto trascorro questo resto di giorni
seguo le tracce che dietro te hai lasciato
allontanandoti: il mio passo è lo stesso
del tuo di allora, madre,
e come te dirigo verso le mute ombre.
Forse da arcane rive, pio fantasma,
hai scorto il figlio che si fa vicino
e là nei regni
della perpetua pace è inquieto il tuo cuore.
Forse lo osservi trepidando come
quando tenero infante cominciava a tentare
i primi brevi passi
correndo barcollante verso te
finché cadeva nel tuo grembo. Madre,
come allora anche adesso all’adulto che arriva
le braccia apri!
Sebbene mi sia ignoto se tu vuoi
che a te mi ricongiunga o se desideri
(consentendo il destino) che ancora a lungo goda
della luce del sole.
[“Dietro i cancelli e altrove”, ed. Garzanti, 2007]
Altra immagine di fiori ritrovo ne “La ballata di due sabati”: i miei amati topinambur, qui come espressione di un qualcosa che manca sempre per essere felici e nello stesso tempo come un altro da sé in cui rifugiarsi e confortarsi quale promessa di una maggiore gioia: ci amammo sulla sabbia, ma non fu come amarsi / tra i fiori gialli dei topinambur… . Fiore quindi anche del desiderio di un’emozione non completamente vissuta, del sogno di una completa felicità.
Ci incontriamo così, Bandini ed io, attraverso i fiori, luogo d’anima, della realtà e del sogno, testimoni del tempo quotidiano e collettivo, espressione delle emozioni provate e attese, e insieme nostalgia del tempo perduto di cui Bandini avverte tutto il Nostos che attraversa queste pagine. Un poeta bambino filosofo, un eterno sognatore, che si rifugia nel passato di cui ha una profonda nostalgia accettando con fatica il suo presente come appare anche nella sua lirica Nostos, in cui afferma con parole di cui ha bisogno per trovare conferma alle sue stesse parole, di vivere in una città, Aznèciv, che non gli appartiene più … Vivo dietro i cancelli di una piccola / città che a poco a poco si trasforma, … che sta cambiando sempre, sta mutando, sta diventando altra e vive nella ricerca continua di un altrove ignoto verso cui si muove … Così verso un Altrove ignoto spesso / si dirigono inquieti i miei pensieri… . E sogna il mare, delle ali bianche in volo, forse luogo della sua infanzia, un’antica patria che non ha più … Mi punge d’improvviso quest’acuto / rimpianto del paese che non so, … anche se lui è eternamente legato in fondo a queste sue radici e nel tempo che passa si nutre della sua stessa nostalgia … Io come una farfalla contro un vetro / chiuso le ali sbatto // della mia nostalgia scorgendo dietro / la chiara lastra i cieli del mio mito. …
Forse il sentimento di Bandini è un po’ anche il mio per una Padova altra che è quella della mia infanzia conosciuta, percorsa attraverso gli occhi e le mani di mia madre e mio padre che per quelle amate vie porticate mi conducevano nell’armonia. Ma c’è sempre un altrove, oltre i cancelli che mi dà un nuovo senso di appartenenza, l’energia vitale di una nuova dimensione umana. Così, calato il sipario sui pregiudizi maturati da una prima epidermica impressione, chiudo quest’incontro floreale che ci avvicina, ci distingue, in un abbraccio, più che un intrico di topinambur.
Il tutto è reso dal poeta con linguaggio accattivante, colloquiale, un po’ alla Sereni, con immagini che suonano voci pascoliane e intensa nostalgia gozzaniana. Prezioso è l’uso del latino nel poemetto Il ramo d’oro dedicato alla madre, perché è la lingua della verità ed eternità delle cose.
Nota di Mario Richter:
… ho letto con piacere le tue considerazioni sui “fiori” che in parte ti accomunano a Bandini. Mi pare che tu abbia trovato una buona strada per superare l’iniziale non favorevole impressione dell’uomo Bandini. Grazie…