abate Norberto Villa  – Come una goccia di rugiada. Piccolo salterio del Duemila

Diverse sono le componenti che sostanziano questo nuovo Salterio del 2000 di Norberto Villa, Abate di Praglia, già intuibili dal titolo stesso Come una goccia di rugiada e dalla copertina cromaticamente accesa: dal libro di Giobbe 38,28b “Chi mette al mondo le gocce di rugiada?” citato nella nota iniziale dell’autore, al viaggio dell’abate in Bangladesh (alla minuta casa dipendente dall’Abbazia di Praglia) in un paesaggio grondante di colori, e all’incontro con Shishir, “Goccia di rugiada”, nome bengalese di uno dei tre monaci benedettini.

Nome, ad una rilettura degli eventi, che acquista un preciso significato, risponde a un disegno prima incompreso: nome che in sé quasi raccoglie il progetto divino in una goccia di speranza là nell’immensità naturale della palude, nell’armonia della storia umana e religiosa, qui per noi nell’attesa dell’incontro con l’altro sempre manifestazione di speranza e di prodigio. E pure il viaggio rivela una sua valenza come riconferma della presenza del regno di Dio sulla terra nella realtà inusuale dei tre monaci riuniti in evangelica offerta di sé nel lontano Bangladesh. Viaggio, regno di Dio sulla terra, vita dei tre monaci, vita nell’Abbazia di Praglia, la nostra stessa esistenza illuminati sempre “da un’immagine simbolica scaturita dal paesaggio tropicale: una goccia di rugiada gravida di tre stille scintillanti che cade nella palude, segno di Grazia e di benedizione che attraversa tutto il creato portando per ogni dove la pace del regno di Dio e il vangelo della salvezza”. E la goccia brilla d’energia spirituale nella copertina su uno sfondo squillante di colori, altra riscoperta riportata dal viaggio: colori come canto di vita, come bellezza del creato voluta dal suo creatore. E nel libro il messaggio cromatico è espresso in pitture a tutta pagina che accompagnano i salmi-poesie dilatandone il loro significato in una tensione mistica ed estetica più profonda e completa nell’esaltazione del grande mistero della Santissima Trinità che attraverso la goccia così diviene realtà cromatica e poetica. Ecco quindi che le diverse componenti, già annunciate all’inizio, si avvertono pienamente quale filo rosso di tutte le pagine del Salterio.

Elementi biblici e teologici, l’esperienza del viaggio nella riscoperta di un progetto umano e divino, nella rivalutazione del creato come colore-bellezza-vita si fondono, si confondono in un colloquio intimo, incessante del poeta con Dio, uno e trino, gridato o sussurrato, sofferto o gioioso registrato nello schema aperto dei salmi già sperimentato nel precedente Salterio. E sono sempre presenti nell’anima dell’autore, uomo-monaco-poeta e tutta l’umanità della sofferenza, della disperazione d’oggi, ritratta in uno sfondo di terra e di cosmo, e la pienezza della fede che colma l’angoscia e dà luce alle tenebre in un orizzonte di attesa. Un libro quindi di meditazione, provocazione, di preghiera e invocazione acceso da continue folgorazioni cromatiche e poetiche, nato a Praglia dal suo vigile osservatorio-chiostro del pensiero attento al mondo, nutrito dal suo viaggio in Oriente, approfondito dal suo rapporto sempre sincero con uomini e cose. Un libro realizzato con quel linguaggio eterogeneo proiezione del vissuto stesso dell’abate, derivato quindi dalla sua formazione umana e dai suoi studi economici, dalla sua esperienza lavorativa, dal mondo teologico biblico della vocazione, dal contatto con la tragica realtà dei nostri giorni e con l’innocenza della natura, dall’abbazia di Praglia rivissuta nella sua architettura, e infine dalla conoscenza tecnologica più avanzata. Il tutto acceso dal fuoco della fede, dal suo pensiero creativo reso con tonalità mutevoli dal colloquiale al meditativo, dal contemplativo al provocatorio.

Una scrittura quindi composita nell’uso di strumenti espressivi a tutto campo che creano un mixage di stupori e suggestioni, di riflessioni e rapimenti, qui riprodotto nel tentativo personale di unire alcune parole poetiche raccolte da vari salmi. Un mixage dove nel cielo vetroresina segnato da una colata di cementoarmato | sospesa da feritoie alogene il firmamento è multicolore e il sole dall’alto sorge e sommerge l’azzurro fondendo con il suo calore il cuore del salmista in una goccia d’acqua nel calice dell’eucarestia; dove le sfumature del tramonto, il fiorire dell’alba sono rese sempre nuove da Dio e si susseguono con un senso d’infinito e d’ immenso propri di tutto il creato; dove nel deserto-nonsenso della vita sfavilla una stella portatrice di grazia di fronte al potere disumanante l’umana fisionomia; dove il notturno ha parole in fraseggi sublimi fra le rovine silenziose delle nostre torri-illusioni e proietta il firmamento delle stelle, immensità lampeggiante di galassie, spazio di incontro divino e preghiera. Dove il telepass autostradale di Padova ovest segna il caotico errare dell’uomo, senza più meta interiore, in labirinti di percorsi anonimi di un’economia che aliena ogni sociale relazione, di un sistema che crea sofferenza etica con le iniquità di strutture malefiche, capaci di realizzare pace e giustizia solo con logiche belliche e patti leonini, nell’attesa-promessa di una casa sulla roccia alla luce della grazia. Dove l’abbazia è la mente, l’anima del vivere con le volte a vela e a crociera trasfigurate in bianche cocolle gonfie di liturgie, con la cella clinica di rianimazione dal peccato redento dal sangue dell’Agnello. E il pozzo del chiostro pensile è il dove si adagia la goccia di rugiada garanzia di stabilità nelle liturgie benedettine delle ore perché nel suo colonnato e nella volta dell’universo ci sono orme dei passi di Dio che assimila nel suo lampoinfinito come pulviscolo, ogni suo imitatore, nostro limite e gloria, la cui fedeltà è fondata nei cieli. Dove Dio è profumo che sale, attraverso eteree parole, gradini sempre più densi di essenze sino a rapirci con la sua dolcezza, è bellezza-colore della rosa con le vene della linfa odorose, gioia e letizia alla contemplazione umana. E’ dove l’amore-crocefisso-risorto sboccia nel calice di una tomba vuota, epifania della gioia eucaristica, mistero-speranza della Pasqua per noi ancora bambini nella fede. Un insieme miracoloso generato dalla Grazia creativa della parola poetica, confermato da squilli abissi di colori figurativi, attraversato dalla parola di Dio uno e trino che consola, conforta, illumina con la sua goccia il percorso di ogni uomo e della storia. Un linguaggio eterogeneo che crea un tessuto-amalgama come una koiné propria dell’abbazia crogiuolo di esperienze creative e di preghiera, forza centripeta, attraverso i secoli, di culture diverse portate dai chierici vaganti, provenienti da luoghi limitrofi, Padova, Arquà, Vicenza, ora da spazi lontani come il Bangladesh. Questa è la vera Casa dove abita la sapienza dilatata dal chiostro pensile all’universa famiglia umana.

Andare per questi versi-parole-immagini è perdersi nell’infinito della poesia, nell’immensità dell’universo e insieme ritrovarsi sempre nel progetto divino del mondo in cui converge quello di ogni uomo, voluto da Dio Padre, supportato dall’amore del Figlio, innervato di energia vivifica dallo Spirito Santo.