A tu per tu con il Cav. Pietro Randi

Alla riunione della Giuria dei Letterati per la selezione del Campiello 2005, ospite l’11 giugno 2005 di Unindustria Padova, sono presenti i più bei nomi del gotha culturale. E Pietro Randi, davanti a me nell’Aula Magna dell’Università, conferma a mezza voce: ”Finalmente una giornata di vera cultura a Padova”. Sento subito l’esigenza di approfondire il senso di questa affermazione con l’erede e, per una ventina d’anni, titolare della Libreria Draghi aperta dal 1850 a Padova e gestita dalla famiglia Randi dal 1920. Storico, interessante osservatorio dell’anima della città.

E più volte colloquio brevemente con lui dei miei libri in versi, ma sempre rimando a un’occasione altra il discorso che pur mi preme.

Il giorno però che vedo le serrande su via Cavour decisamente abbassate, mi prende un sentimento indicibile, come un turbamento per un bene perduto che non si può riafferrare più. E mi smarrisco tra voci e volti lontani. “Vado da Draghi per il Bignami…” – “Mi fermo da Draghi per l’ultimo romanzo della Ginzburg…” si diceva ai genitori tranquillizzati dal nome autorevole e garante: un lasciapassare sicuro per le nostre sortite da casa, dallo studio, per un’ora di libertà. E invero ci si ritrovava spesso, noi studenti, nella libreria luogo sacro per i testi scolastici, nostra banca dati virtuale. Il tempo per due chiacchiere davanti al bancone delle novità letterarie, per un acquisto e un saluto con l’insegnante lì di passaggio. Poi quattro passi ovvero il rito delle “vasche” sul percorso-vita di via Cavour con sosta davanti alla Draghi: momento ancora per rivedere amici, nemici e l’aspirante “moroso”. Appuntamenti giovani all’ora vesperale. Spazi limitati illimitati, ora del nostro immaginario.

Ma subito rientro nel reale e in Via Santa Lucia scopro il mistero e la novità. E avverto più intensa l’urgenza di conoscere da Pietro Randi le diverse pulsazioni della cultura a Padova, così come le ha registrate dal suo primo vitale osservatorio piantato nel cuore della città.

Finalmente mi intrattengo a lungo con lui.

Mi racconti di lei della sua vita in Libreria andando a ritroso nel tempo.

Con piacere. Ho acquisito la mia formazione culturale e morale frequentando le prime classi della scuola (oggi scuola media), nel collegio benedettino di Ascona (Svizzera) dipendente dal più grande centro benedettino di Einsiedeln, quando in Italia anche nel campo dell’istruzione dominava il consenso al fascismo. Ho proseguito successivamente i miei studi al Liceo Tito Livio di Padova con gli indimenticabili docenti: Lino Lazzarini, Andrea Moschetti, Giuseppe Rossi ed altri; preside Attilio Dal Zotto. Mi sono iscritto poi all’università che presto ho abbandonato. Il mio gene mi conduceva più verso il mondo del libro che verso quello del professionismo. D’altra parte ero figlio unico.

A questo punto si è dedicato subito alla Libreria?

Prima di iniziare la mia attività nella libreria di famiglia, acquistata nel 1920 dal nonno paterno Giovanni Battista e condotta poi da mio padre Giuseppe, ho peregrinato per l’Europa e successivamente ho raggiunto New York, avvicinando colleghi librai e anche editori. In particolare ho sostato a Parigi, allora unica ed incontrastata capitale della cultura e della editoria nell’immediato dopoguerra, dove ho ottenuto un brevetto di lingua francese alla Sorbona. Questo fu il mio passaporto per avere, nel corso di quasi sessant’anni della mia vita di libreria, un orizzonte ben più aperto di quello costituito solo dal commercio del libro.

Un’esperienza unica la sua costruttiva per il dopo. Può allargare il discorso?

In effetti ho accumulato un patrimonio culturale e professionale che mi ha consentito di beneficiare di quell’osservatorio della vita cittadina, e non solo libraria, quale era la Libreria Draghi in Via Cavour, nel cuore di Padova. E questa centralità e privilegio la caratterizzano, per me, ancora, pur dopo le importanti trasformazioni imposte da nuovi stili di vita che nel giro di pochi anni hanno turbato, e non di rado stravolto, il panorama della società padovana e non meno le sue tradizioni.

A proposito di queste tradizioni patavine tradite, ha particolari ricordi dello stile con cui la Padova culturale viveva la sua Libreria? Quali le prime immagini che rivede nel tempo lontano?

Ecco di stili e tradizioni ormai superati rimangono alla Draghi memorie e ricordi, anche dediche e consensi scritti in un quaderno da me gelosamente conservato. Dal 1952 in esso annotavano le loro testimonianze amici, docenti, autori, poeti, artisti, locali o di passaggio, che dopo l’Università, dopo il Pedrocchi scaduto, ahimè, nella sua funzione culturale, trovavano alla Draghi un punto di riferimento sempre aperto, fidato e disponibile a incontri convenuti o occasionali, sempre motivo per momenti di “festa della cultura”.

E quali momenti vorrebbe rievocare e quali nomi ricordare di questa continua festa culturale alla Draghi ?

Troppo lungo sarebbe elencare i nomi illustri che alla Draghi lasciarono il loro segno. Citerò l’artista Fiorenzo Tomea che l’11 febbraio 1952 inaugurava la felice stagione alla nostra galleria d’arte “La Chiocciola”e altri come Mario Disertori, Tono Zancanaro, Paolo De Poli e Zigaina, Zuccheri, Antonio Fasan, Virgilio Guidi, Pio Semeghini, Dalla Zorza, Saetti, Amleto Sartori, Nino Springolo, Emilio Greco, Seibezzi, Nino Maccari e tanti altri ancora che esponevano a “La Chiocciola”.

E i frequentatori e i visitatori di questo tempio della cultura e anche dell’arte erano pure illustri?

I visitatori erano personaggi quali Goffredo Parise, Diego Valeri, Stanislao Ceschi, Umberto Campagnolo, Giorgio Peri, Ettore Lo Gatto, Arturo Cronia, Cesare Crescente, Peggy Guggenheim, Salvator Gotta, Giovanni Comisso, Aldo Palazzeschi e tra i più recenti Indro Montanelli, Livio Caputo, Saverio Strati e molti altri. Da non dimenticare Giovanni Spadolini che, trovandosi a Padova non trascurava la visita alla Draghi “all’ombra di Manara Valgimigli”, come lasciò testimonianza nel prezioso quaderno il primo dicembre 1990. Tutti questi erano visitatori attratti dalla galleria “La Chiocciola” e frequentatori della storica Libreria punto di riferimento nella cultura di Padova.

E un episodio a lei caro di questa atmosfera così accesa, oggi quasi impensabile?

Un giorno di fine gennaio 1978 telefonai al prof. Ezio Franceschini invitandolo in libreria per il primo febbraio successivo, una ricorrenza anche a lui cara, che desideravo proprio con lui onorare. Franceschini accettò con grande disponibilità e nel quaderno delle testimonianze così scrisse: “Nel giorno centenario della nascita del mio maestro Concetto Marchesi, 1 Febbraio 1978”. Documento questo della grande stima esistente tra due personalità diametralmente opposte nella ideologia politica, ma vicine sempre nella lotta di liberazione dal fascismo, unite dalla comune fede nella cultura e dal rigoroso studio della civiltà classica.

“All’ombra di Manara Valgimigli” scriveva Spadolini nel 1990 nel famoso quaderno alludendo alla Draghi. Allora può raccontarci di Valgimigli quale suo assiduo frequentatore?

Di Manara Valgimigli, ospite quotidiano della Libreria, conservo la bellissima dedica nel suo “Uomini e scrittori del mio tempo”, Sansoni, 1965: “All’amico giovane Pietro il più vecchio amico Manara 17 giugno 1965”. Non potevo desiderare di più dal grande Maestro, erede ideale del Carducci, che mi onorava della sua continua presenza. Quando la pesantezza del passo non gli permetteva di salire al primo piano della libreria a confidarsi con la Lea, sedeva su una poltrona a fianco del mio tavolo di lavoro al piano terra e conversava a lungo con me. Quanti ricordi, purtroppo non affidati allo scritto!

E tra gli scaffali densi di libri chi incontrava ancora Valgimigli?

Frequenti erano gli incontri in Libreria tra il Maestro e Marino Moretti, testimonianza anche questa di un’amicizia antica rinsaldata durante il soggiorno ravennate di Valgimigli alla direzione della Biblioteca Classense di cui era già stato illustre responsabile il suo maestro Giosuè Carducci. E qui alla Draghi lo stesso Valgimigli incontrava Bacchelli. Un giorno, quest’ultimo era in ritardo all’appuntamento concordato per il tardo pomeriggio: stavano per suonare le venti, la libreria era già chiusa e Valgimigli attendeva l’ospite nella sua consueta poltrona. Quando la possente figura di Bacchelli apparve sullo sfondo della strada già buia e si presentò bussando violentemente al di là della porta di cristallo, Valgimigli esplose in un fragoroso “Bacchellone…!” giocando scherzosamente sulla robusta taglia dell’ospite. E fu ancora una volta grande festa per l’amicizia.

Lei rivisita momenti veramente unici vissuti nel suo bel salotto culturale tra amici e libri, quasi una casa comune per chi credeva negli stessi valori. Mi pare ci sia una testimonianza di Concetto Marchesi su questo luogo di incontri felici e discreti.

È vero: a tempi più lontani (era il 1950) risalgono le parole scritte da Concetto Marchesi a testimoniare i cento anni di vita della Draghi. “…Da 26 anni conosco e frequento quel luogo (la Libreria Draghi) più di un quarto di secolo: grande spazio dell’esistenza mortale. Ma nei miei ritorni a Padova – la città diletta – dove non ho più la mia vecchia casa né la mia vecchia scuola, ho una cosa che è ancora mia e non invecchia: è quella bottega di libraio dove la mia vita di studioso, di maestro, di amico continua come sempre”. Roma 20 dicembre 1949.

E di tempi più vicini quali persone ed episodi desidera ricordare?

I maestri più recenti, quelli della mia scuola superiore: Lino Lazzarini, Andrea Moschetti. Con quest’ultimo ho continuato, fino alla sua scomparsa, a colloquiare su filosofia e musica nei nostri occasionali incontri nella Galleria attigua alla Libreria. In particolare ricordo un simpatico episodio di cui fu protagonista Andrea Moschetti. Nell’ora di filosofia al Tito Livio, il professore mi pose un quesito che mi mise in difficoltà. Per togliermi d’imbarazzo, sollecitando il mio impegno nella musica, girò così la domanda “Il largo di Veracini (guarda caso era sul mio leggìo) di che cosa è composto?” Ovvia la mia risposta: “Di note”. E di idee era formato il complesso pensiero del filosofo in questione.

E di Diego Valeri uomo e poeta ha qualche particolare da raccontare?

Anche Diego Valeri , che non era stato mio docente, entrava spesso da noi, conversava con amici e clienti con quella sua cordialità e umanità di cui era prodigo. Mio rammarico è che i suoi testi, tutti presenti alla Draghi durante la sua vita, ora siano scomparsi anche dai cataloghi editoriali. Sic transit gloria mundi.

E Mario Richter che ricopre la cattedra di Diego Valeri e tra l’altro è prefatore di due mie raccolte, frequenta la Draghi?

Mario Richter, nome molto conosciuto nell’ambiente accademico padovano come continuatore del culto della letteratura francese sulla scia di Diego Valeri, frequenta la Libreria come tanti altri colleghi universitari.

Pensa che sia possibile ricostruire ora lo stile di vita da lei vissuto nel suo osservatorio culturale?

No. Questa età non può ritornare né per me nè per quanti sono al tramonto della vita, se non altro per il ritmo frenetico d’oggi che crea rapporti rapidi e superficiali. E per altri motivi che lascio individuare agli esperti.

La società è ormai troppo mutata: in meglio o in peggio?

Ai posteri il giudizio. Io spero in meglio per i miei figli e ancor più per i nipoti ormai numerosi che appartengono ad un mondo che non è più mio.

E di altri più vicini a noi, forse non poeti ma maestri di sapienza, incontrati nel mio percorso universitario quali Folena, Sartori, Sambin, Seneca, Branca, Ferrarino, Cronia ha qualche annotazione nel suo prezioso quaderno?

Lei mi rammenta grandi nomi di un mondo scomparso. Le loro personalità però continuano ancora a vivere nella mia memoria e attraverso le loro opere presenti negli scaffali della Libreria, anche se ormai in numero sempre più esiguo.

Con alcuni, in particolare con Franco Sartori, c’è stato qualcosa di più. Il colloquio infatti era frequente, sfiorava vari temi non solo della cultura e della bibliografia, ma anche familiari. Su mia richiesta accettò di tenere una relazione sull’importanza del libro nell’antichità in occasione di un convegno internazionale di librai da me organizzato a Padova nel 1967.

Intense erano anche le conversazioni su problemi di famiglia tra noi accomunati dall’età che avanzava. Fu lui a propormi il passaggio dal “lei” reverenziale al confidenziale “tu”: fu l’inizio di un parlare più sciolto.

Di Vittore Branca ricordo che organizzò alla Cini un convegno sul libro, presieduto da Giovanni Spadolini. Io ne fui relatore su mandato del presidente dell’Associazione Nazionale Librai e ricevetti segni di stima da parte del Presidente Spadolini e dello stesso Branca.

Di Arturo Cronia possiedo una bella fotografia con dedica a mio padre, testimonianza affettiva della sua frequentazione alla Draghi. E questa foto è, insieme a tante altre, documento anche visivo di quel tempo nel mio attuale “pensatoio” al terzo piano su Via Cavour. Degli altri docenti da lei nominati con affetto, rimane costante l’ombra del passaggio alla Draghi anche se non testimoniato nello scritto.

Aggiungo io un pensiero su Giuseppe Fiocco per le sue frequenti visite alla libreria e alla “saletta degli incontri” nell’ interrato dove si svolsero per lunghi anni conferenze e presentazioni. Qui Fiocco coinvolgeva e affascinava i presenti con la sua parola di studioso e critico d’arte e con argute e scintillanti affermazioni che cadevano sugli astanti come “sassi nel pollaio”.

E per quanto riguarda l’oggi quali categorie di persone frequentano la Libreria Draghi?

Come in qualsiasi attività anche alla Draghi il frequentatore è diventato ormai anonimo. Non ci sono più barriere tra le varie categorie: si acquista il libro e via. Si salva, se mi è concesso il termine, una percentuale esigua di frequentatori con i quali si instaura un colloquio per la richiesta di un libro particolare o di difficile reperimento, con relativa individuazione nella bibliografia imbrigliata ormai nei dati informatici e la promessa di una ricerca più minuziosa nella bibliografia cartacea. Operazione quest’ultima troppo spesso infruttuosa per la sempre più scarsa attenzione degli editori alle esigenze della cultura.

E i programmi in questo rinnovato ambiente di Via Santa Lucia così caldo e morbido?

Il mondo si sta rapidamente rinnovando, non ho ancora capito se nel bene o nel male come ho già precedentemente sottolineato. Anche i segnali che riceviamo sono estremamente contrastanti: basta aprire un quotidiano. Di questo clima risente anche la Libreria: nuovo ambiente, nuovo look, nuova luce, anche nuova conduzione interamente affidata ai miei figli. Al tutto danno garanzia la continuità dell’insegna, la Draghi, e la proprietà esclusiva alla famiglia dei Randi. Considerazioni per me rassicuranti nel momento in cui dalla scena della città scompaiono volti, insegne, attività che costituivano il più ricco patrimonio della tradizione urbana, via via sostituite dall’anonimato dilagante per opera di grandi imprese che stanno aggredendo Padova con l’unico obiettivo del profitto.

Comprendo ora, alla fine del nostro incontro, il senso di quella sua affermazione: “Finalmente una giornata di vera cultura a Padova”. Lì nell’Aula Magna per alcune ore ha respirato un po’ di quell’aria culturale in cui viveva abitualmente nella sua libreria-osservatorio da cui ha percepito, per più di sessant’anni, i battiti culturali patavini. E capisco quindi la motivazione per cui a lei è stato recentemente conferito il Sigillo della città.

Non voglio intrattenerla oltre, ma come conclusione mi può offrire qualche particolare su quel suo libro scritto a quattro mani con Cristiano Amedei dal titolo “Cinque secoli di libri, tipografi, editori, librai a Padova dal Quattrocento al Novecento” Padova, Libreria Draghi, 2001?

Il tema proposto dall’Amedei, libraio in Padova, fu accolto con entusiasmo da noi tutti. Ne nacque una simpatica collaborazione che diede il suo risultato costruttivo creando un tassello nella storia libraria padovana.

Grazie per questo tempo che mi ha gentilmente dedicato, e per quest’ultimo tassello che rende più prezioso il nostro colloquio. Colloquio davvero illuminante sulla vitalità culturale della Libreria Draghi così cara al nostro vissuto ed indimenticabile per i momenti da lei evocati. Grazie.

Padova 2006

Ora che le serrande si sono abbassate per sempre anche in Via Santa Lucia, la Libreria Draghi appartiene alla memoria della nostra città fissata in un contesto socio culturale altro, e di questa Pietro Randi rimane sacro custode. Così rinnoviamo la nostra gratitudine per l’intervista allora concessa, palpitante di avvenimenti e persone, serbando vivo ricordo dell’atmosfera rara per affabilità ed eleganza, respirata sempre in quel suo spazio-osservatorio di umanità e cultura.