Andrea Zanzotto – ” L’innocenza del creato” – poesie :Villanova e Ligonàs – “Il convivio” n.86 – “L’innocenza del paesaggio in Villanova e Ligonàs – “Il porticciolo” n.2
L’INNOCENZA DEL CREATO
Quaderno di Praglia n. 24 (10.11.2011)
Le due poesie di Andrea Zanzotto da me avvicinate, appartengono a periodi diversi: la prima Villanova fa parte delle composizioni giovanili (1938-1942), la seconda Ligonàs è del 1990-2000, età più matura del poeta. Eppure presentano elementi comuni: i luoghi, i paesaggi invernali, la presenza umana, la vita con le sue luci e ombre, certamente trasferiti nei versi con modalità poetiche diverse. In Villanova piace l’atmosfera luminosa del paesaggio collinare in una giornata invernale, accesa dal sole e dal candore nivale, abitata dalla gioia giovane di chi vive il fremito dell’attesa della danza nelle sale animate di giovani, fanciulle in corsa verso la festa per stordirsi nel ballo. Un’età felice ignara della realtà: ci saranno poi le nuvole non ancora vedute, ci sarà il gelo perché la gioia umana è apparentemente pura: si cammina nel sole insieme al poeta e si avverte che sotto i piedi corre l’ombra; si avverte la fragilità della gioia e il dolore come presenza nella condizione umana. Tutto questo sente il lettore nella scena nitida, presa da vicino nel suo presente, resa con linguaggio immediato, scena che sempre più si interiorizza striandosi di ombre. E chi è in disparte, nella sera leopardiana, vede oltre il paesaggio solare che già muta nella malinconia vesperale. Pur in disparte, in un tempo giovane, il poeta appartiene al paesaggio stesso.
Nella seconda, Ligonàs, protagonista è ancora il paesaggio invernale delle colline innevate sullo sfondo e dei Palù avvolti nel mistero, visione scrutata dagli occhi-finestra di una casa-trattoria di campagna, appunto Ligonàs, abbandonata poi ricostruita. Luoghi, paesaggi oltraggiati dal degrado ambientale, qui rivisitati in una magica atmosfera memoriale, quella di C’era una volta, quindi di lontananza, suscitano in me il senso di un mondo perduto, rievocato dal poeta nel suo segreto splendore, nel suo incantesimo, proprio da questa casa con gli oblò quasi casa d’acqua sospesa sugli acquitrini dei Palù. Da qui vivo l’incanto di uno spazio tempo purificato dalla neve che con la sua psicologia appiana colma sana,decisa a tutto sopportare per esistere qui e rifigurare, adeguare,/ verde e polveri e voci di altre ragioni; neve insieme al sole che, con la sua timidezza dovuta al gelo, è pur sempre purissimo e implora di rimanere ancora. Neve e sole, che hanno dentro l’anima del poeta, penetrano così nella vita umana creando legami che si dilatano nel tempo, nei luoghi per dita e fiati e fiati e baci e baci, nel ricordo di un’età innocente che riacquista la dolcezza di un procedere umano naturale in cui anche le più avverse potenze nel destino comune/si fanno carezze:/ e nozze illimiti titillii/fanno corona di gioia-lutto- iddii. L’uomo qui non è rappresentato come in Villanova, ma rievocato nei suoi gesti, nei suoi riti purificati da questo paesaggio invernale che delinea il giorno, la vita intera, la storia stessa in cui gli anni si ritmano, si contano in relazione ai megainverni. Unica presenza reale sono i bambini sugli slittini, bambini di ieri, di oggi anche, cioè l’innocenza dell’infanzia l’unica che possa coesistere con la purezza della natura. E il pomeriggio bambino già con le prime ombre si tinge nel tramonto invernale di indaco e turchino e prepara le nottate gelide che si ripetono all’infinito nel tempo e nello spazio nottate/che si danno la voce di campo in campo, di annate in annate.
La lettura di quest’ultimo testo suscita in me un senso di stupore e devozione per questa magica rappresentazione della natura che si muove nella sua eternità segnando il tempo umano con la sua potenza, avvolgendo nel suo manto di neve, espressione quasi musicale di armonia ed energia benefica e purificatrice, le vicende dell’uomo ricuperate solo in tracce leggere del suo effimero passare. E pure mi sorprende questo inno all’innocenza del creato nel suo solenne andare così dai primordi in uno spazio illimitato, innocenza che appunto solo nei bambini Zanzotto intravede nel suo desiderio di purezza universale. Mi coinvolge il tutto reso da un linguaggio fatato, incantato, tenero proprio di chi riguarda da lontano la bellezza perduta e colma, ricolma il suo rimpianto, la malinconia sottesa per la terra amata offesa, proprio nella ricreazione di essa in questa storia, leggenda d’inverno.
Due poesie appartenenti a fasi vitali differenti, con elementi comuni visti da prospettive psicologiche diverse, con altra resa poetica proprio per questa distanza emozionale da cui le scene sono rivissute. Un linguaggio quindi immediato realistico in Villanova che diviene in Ligonàs favoloso, fantastico, musicale, trascinante, talora bambino. Mi sento, in umiltà, molto vicina a Zanzotto e al suo sentire: in questa armonia ed energia del creato ritrovo tutta la tensione della mia pur modesta ricerca e della mia scrittura.
VILLANOVA
Torna il sole dopo la neve.
Nel piano è fulgore e luce.
L’azzurro ardente sui colli
candidi splende.
Sotto i piedi corre l’ombra
noi camminiamo nel sole.
Per noi vivi nell’ora del sole
non è dolore.
Pura è la nostra gioia
nata a dileguare al sole
come la neve.
Scenderemo in corsa alle sale aperte
al ballo: dalle finestre
vedremo fanciulle scendere
a chi le attese.
In quel tempo, in disparte, la sera
vedrò, non vedute le nuvole.
Sarà il gelo e nelle danze acute
lo stordimento.
Andrea Zanzotto, Le poesie e prose scelte, I Meridiani, 1999
LIGONàS
Quell’intimo splendore
di “c’era una volta” e che
da dirupati anni mi resta diviso
………………………………..
Stillicidi in colline stradine e giardini
e anche là nel mistero che s’addensa ai Palù
che dagli oblò di Ligonàs s’indovinano –
ed è, tutto, colmo calice di nivale dolcezza
di nivale attitudine ad appianare, sanare,
è-in-sé-e-per-sé di neve involata, di soli involati –
Sole, ma timido per geli, ma quasi supplicante
tregue almeno di poche ore, deh!
ore pur sempre d’etra purissimo, ah!
e neve augurata, ma solo di tocco in tocco,
tatti, contatti, feste, agguati placati –
appena sopravvivente
ma ben decisa a tutto
sopportare per esistere qui e figurare, adeguare,
verde e polveri e voci di altre ragioni…
E ogni sole e neve, punto di sole o neve
va per beatamente allacciare gli estremi di foco-luce e
di gelo negato-negante, li allaccia per solo un dito
e poi per dita e fiati e fiati e baci e baci
E anche le più avverse potenze nel destino comune
si fanno carezze e nozze e illimiti titillii
fanno corona di gioia-lutto-iddii:
qui il dirupo del ’29, del ’54, del ’63 megainverni
ed altri dirupi di neve-sole di sommi-inverni
si colmano, si ritrovano in seconda fila;
e i bambini in slittino
si lasciano andare appunto di dirupo in dirupo
da dirupi alti tre dita o alti tre millenni
e tutto è bambino in tintinno con loro, indenni
tra gloriuscole-ombra già al primo pomeriggio…
Fatate dimenticanze già tentano e ritentano,
magici sottozero
decine di sottozero, terribili eppure
dolcemente ridenti, irrisivi fino all’indaco al turchino
preparano le irte, irsute d’addiacci, nottate
che ridanno la voce di campo in campo, di annate in annate.
Andrea Zanzotto, Sovrimpressioni, Mondadori, 2001