Pasquale Matrone – Lo scrigno favoloso della stanza bassa nel cuore e nel canto di Maria Luisa Daniele Toffanin
Nata a Padova, Maria Luisa Daniele Toffanin vive a Selvazzano. Ha pubblicato le raccolte: Dell’azzurro ed altro; A Tindari; Per collie cieli insieme mia euganea terra; Dell’amicizia, my red hair; Iter ligure; Fragmenta.
In collaborazione con l’Associazione “Levi-Montalcini” per l’orientamento scolastico, ha promosso incontri con autori e critici rappresentativi del panorama letterario contemporaneo; tra gli altri: Ferdinando Camon, Cesare Ruffato, Andrea Zanzotto, Mario Richter, Silvio Ramat, Stefano Valentini, Paolo Ruffili … Organizza, nelle scuole, “Laboratori di poesia” e letture di versi mirate ad avvicinare i giovani alla letteratura mediante la sperimentazione diretta delle suggestioni generate dal connubio della parola con la musica. Collabora con numerose riviste ed è presente con le sue liriche in miscellanee realizzate dall’Università di Udine, su progetto di Silvana Serafin.
Socia del Pen Club Italiano, segue anche l’attività dell’Associazione Dante Alighieri, sia nella sede di Padova, presieduta da Luisa Scimemi di San Bonifacio che in quella di Rovigo diretta da Maria Grazia Previati.
Nel marzo 2009, a Vicenza, nelle Gallerie di Palazzo Montanari, ha partecipato all’incontro di poesia e musica “Insieme nell’umano e nel divino”, nel corso del quale, oltre alla sua raccolta Per colli e cieli insieme mia euganea terra, è stata presentata anche quella dell’Abate di Praglia, il poeta Norberto Villa, intitolata La mia barca è una conchiglia. A introdurre i lavori è stato Renzo Pegoraro, docente di Bioetica presso la Facoltà teologica del Triveneto. È vicepresidente del `Centro studi onorevole Sebastiano Sclúavori’ di Selvazzano.
Maria Luisa Daniele Toffanin è poetessa di necessità e non di statuto. Scrive, infatti, solo perché ha dentro cose che chiedono di farsi musica, di diventare canto vero, benefico, salutare… Delle parole, ella fa un uso attento e parsimonioso. La padronanza, mai ostentata, di strumenti stilistici e retorici raffinati la spinge a procedere per continue sottrazioni, limature, rielaborazioni, tese a scoprire o a inventare il termine più adatto a esprimere la sia pur piccola sfumatura del pensiero. Quando le si chiede di parlare della tecnica con cui costruisce, risponde che neppure ci pensa, mentre scrive, a metafore, sinestesie, enjambements, allitterazioni: perché ogni pensiero ha, dentro la sua stessa natura, il lessico e il ritmo adatto alla sua rappresentazione…
La chiacchierata telefonica fatta con Maria Luisa Daniele Toffanin è valsa molto di più di una comune intervista. Riportarla tutta richiederebbe un saggio. Ho scelto perciò solo alcuni dei momenti più rappresentativi della conversazione…
Ogni poeta possiede uno scrigno segreto in cui conserva con cura i semi destinati a trasformarsi in poesia. Qual è il contenuto racchiuso nel suo?
Il mio scrigno, al riparo dalle ferite del tempo, è ben nascosto nella stanza bassa, il luogo favoloso e magico dove, da bambina, trascorrevo momenti indimenticabili con mia madre. Era una maestra, mia madre. Lo era nel senso più autentico e nobile. Di pomeriggio, continuava a incontrarsi con la sua scolaresca e anche con ex allievi. Gli schiudeva gli orizzonti della recitazione, della musica, della poesia: li educava alla bellezza, alla scoperta della sacralità e del mistero dello sconfinato universo. lo osservavo: mi lasciavo coinvolgere, avida di quel mondo a cui sentivo di appartenere. Da allora, cominciai a conservare, nello scrigno della memoria, le cose preziose che, di giorno in giorno, scoprivo: il teatro, i burattini, la poesia, gli artisti; la geometria fiabesca della stanza bassa; le potenzialità della fantasia… Lo scrigno, in verità, già lo possedevo, sin da quando avevo cinque anni e rimanevo a bocca aperta ad ascoltare la voce dello zio Leone, un latinista, docente e intellettuale coltissimo e fine, capace di raccontare cose grandi con linguaggio semplice, limpido, accattivante. Dentro lo scrigno ci sono i miti della mia adolescenza: lo zio, la maestra di pianoforte… (cara maestra, andai a cercarla, quandomorì mia madre: avevo bisogno di ritrovare almeno un frammento di ciò che la vita mi aveva strappato). Qualche anno più tardi, ho aggiunto al tesoro i libri di Giannina Facco, una scrittrice grande, solare, umile, profonda. Ma la cosa più preziosa del mio scrigno è il dolore causato dagli scossoni tremendi subiti da me e dalla mia famiglia nel corso di un’esistenza non sempre facile…
Ritorna con insistenza, nelle sue poesie, il tema del fluire del tempo, del fiorire e sfiorire delle cose, del rapido appassire del presente. Perché?
Più passano gli anni, più sento la necessità di riflettere sul senso della precarietà della nostra presenza nel mondo e nella storia. La brevità della vita e dell’ora, per chi come me ha avuto il privilegio di percorrere un bel pezzo di strada, rappresenta il punto di riferimento per proseguire nella giusta direzione. Nelle sue Confessioni, S. Agostino scrive: ‘il tempo null’altro è che un’estensione, ma di qual cosa sia estensione, non lo so; però sarebbe strano se non fosse un’estensione dell’anima stessa.’ Ed è proprio così. Il passato non c’è più; il futuro non c’è ancora; e il presente, un attimo prima, era futuro; e, subito dopo, diventa passato. Solo la presa d’atto di questa verità genera la tensione a dare un senso all’attimo, a essere presenti e vigili in esso, a farne uso per dilatare la propria anima, per aprirla all’Infinito e all’Eterno. E ciò risulta possibile solo con l’Amore …
Quali sono, a suo avviso, i limiti e le prospettive della poesia contemporanea?
C’è confusione, oggi, in merito alla linea di confine che separa la poesia dalla non poesia. Molti identificano la poesia con la cronaca, con il fatto immediato, con il dettaglio minimalista di una quotidianità scialba, insignificante. Poesia, invece, è ciò che sa cogliere l’universale nel particolare; ciò che sa calarsi nella realtà, non per rimanervi intrappolato, bensì per trasfigurarla, farne simbolo, metafora, canto… Il futuro della poesia dipende molto da questa presa d’atto e, di conseguenza, da un ripensamento del rapporto tra etica ed estetica.
In che senso?
La poesia ha ragione di esistere se ha la capacità di farsi stimolo alla ricerca del bello, dell’armonia presente nell’intero universo. Se riesce a generare negli uomini il desiderio e la passione per la bellezza, la poesia, oltre a valere sul piano estetico, diventa veicolo fecondo per una metamorfosi dell’anima, per un recupero della dignità della persona nella storia e nei suoi esaltanti orizzonti metastorici …
Quali progetti ha per il futuro?
Ho avuto il privilegio di incontrare persone che mi hanno dato molto e con generosità (tra i tanti, Bino Rebellato, poeta ed editore che ha creduto in me e mi ha incoraggiato a scrivere). Ho il dovere, ora, di restituire, sia pure in modo inadeguato, parte di quanto ho ricevuto. È per questo che dedico molto tempo a portare la poesia tra la gente, soprattutto tra i giovani. Un progetto che mi entusiasma, mi infonde energia, mi riempie di gioia e di luce.
«Ho tra le mani l’ultimo numero de “La Nuova Tribuna Letteraria” e voglio esprimere l’auspicio che la rivista, nonstante la dolorosa scomparsa di Giacomo Luzzagni, continui ad entrare nelle nostre case come Lui avrebbe voluto. Solo così sarà ancora fra noi Giacomo, che di essa aveva fatto il grande investimento della sua vita fino all’ultimo, riversando in quelle pagine tutto il suo impegno-passione per la cultura, la sua fede nei grandi valori su cui poggiava la sua esistenza e dovrebbe poggiare e vivere l’intera società.»