Sandro Angelucci – L’innato desiderio di coesistenza tra pulsioni paniche e del verso

L’innato desiderio di coesistenza tra pulsioni paniche e del verso
in Maria Luisa Daniele Toffanin

La poesia di Maria Luisa Daniele Toffanin, almeno per quanto ci è stato possibile evincere dalla lettura di due delle sue più recenti opere: Per colli e cieli insieme mia euganea terra (2002) e Iter ligure (2006), può dirsi fondata sulla sostanza di quegli elementi naturali che ne costituiscono l’innato campo d’applicazione. Il concetto, messo in evidenza anche dall’interpretazione di Andrea Zanzotto che, in quarta di copertina della prima silloge, così si esprime: “Piace in questa raccolta di versi, così fortemente motivati, il senso quasi di consustanzialità nei confronti dei Colli Euganei…”, sembra davvero essere la cifra di questa scrittura.

In questi testi, in effetti, il respiro è l’aria di cieli limpidi, l’ossigeno liberato dagli alberi, e la carne è la terra e il mare il sangue. Una convincente, scambievole penetrazione tra le pulsioni paniche e quelle dell’uomo sembra attraversarli: “Noi foglie-idee tenere | a lento | dal profondo lievitate | . . . . || Minuta energia di sole vibrante | respiro odore innocenza di bosco e | sorriso di ramo e tronco sapiente | del sogno infinito…

|. . . . || Noi ramate reliquie | a nuovo vestite | rinate al mistero | che dentro ci smuove guizzo immortale | e incanto diviene… (XIV: Per colli e cieli insieme…) e, più avanti, nella reciprocità di cui si diceva: “Verde cintura al mattino | corona al capo d’ulivo | e arditi calzari di pampini | questi colli d’argento vivi. || Respiro, all’inerte giorno, | di zolla dai coltivi |. . . . || Sussurri di fronde richiami ai nidi.. ‘(XXXI: Ibidem).

La parola poetica che, essenzialmente, di questo retroterra è figlia, si rivela originale ma non stravagante, espositiva ma non descrittivistica in virtù del rapporto autentico e privilegiato con la natura e le sue manifestazioni.

Mario Richter, nella sua prefazione, sostiene che “Le cose non sono mai descritte. Non sono mai lasciate nella loro inerte separatezza, nella loro fredda e distaccata oggettività, nel loro essere altro…” attribuendo il successo dell’azione ad un gesto d’amore, “di primordiale fiducia nel creato e nel suo senso”. Ecco, questo bisogno profondo dell’Autrice d’abbeverarsi alla fonte universale della vita, questa sua totale necessità d’adesione al mondo, all’ambiente che la circonda consente l’incontro, il congiungimento. Ha ragione il Prefatore a parlare d’amore perché quando così alto, così impellente si fa il desiderio di coesistenza, di partecipazione, altro non può trattarsi che del sentimento per eccellenza. E, aggiungiamo noi, quando la coesione è così forte da investire tutto il nostro essere, sempre più labile si fa il confine tra spirito e materia.

Intendiamo, in proposito, riferirci ad una ulteriore osservazione di Richter, il quale ritiene di scorgere un “duplice possibile significato” nel termine “insieme” del titolo della raccolta del 2002 considerandolo contemporaneamente come complemento d’unione dei colli e dei
cieli e di compagnia, cioè unitamente a qualcuno, ad altre persone, lungo l’itinerario indicato. Bene, ci sia concesso ampliare ancora l’orizzonte con una terza suggestiva ipotesi: si potrebbe pensare ad una nuova accezione dell’avverbio, vale a dire reputarlo sempre di compagnia rapportandolo però, questa volta e simbolicamente, alle parole conclusive del titolo, “mia euganea terra “, alle quali verrebbe in tal modo assegnato un valore evidentemente vocativo.

E’ proponibile l’eventualità testè descritta? Noi crediamo onestamente di sì; e ciò per due validi motivi: il primo, propriamente poetico, che ha a che fare con i polisensi di questo tipo di comunicazione; il secondo, più specifico ed individuale, che concerne l’amore sincero, viscerale che la Toffanin riversa sulla terra natia. Questi due elementi, a nostro avviso, amplificano la voce della sua poesia facendocela apprezzare nelle connotazioni, vive e profonde, che la abitano e la distinguono.

Lo ripetiamo: l’intensa energia del legame d’amore con colei (la terra) che comunque, da sempre, ci ha generati, può annullare decisamente le distanze. Allora tutto diventa possibile: nonostante la sua apparente staticità, la si vede camminare a fianco della Poetessa sotto i “cieli” che la sovrastano, lungo i suoi stessi “colli “.

Ci siamo fermati prolungatamente sulla prima raccolta ma non meno interessanti sono stati gli spunti che ha saputo offrirci Iter ligure. C’è una grande continuità con il precedente lavoro, e questo non solo, come è ovvio, per il carattere itinerante dell’opera ma anche e
soprattutto per il perdurare di quei temi, di quella sostanza poetica. La descrizione paesaggistica si trasferisce con immutata efficacia dall’ambiente terrestre a quello marino: “E reti miti intorno rosseggiano | sulla raggiera di ginestre d’oro | sui muretti ondulati a secco
|| nel profumo salmastro | che sale i carruggi, | steso su reti altre ad asciugare.” (“Case e reti intorno”) e porta con sé, ugualmente intatto, quell’incoercibile desiderio di congiunzione: “Sono una ninfea salmastra | che fragile si apre al mattino | e galleggia sul senso del suo giorno…|| Sono l’onda che insegue il mare | aspra tutta schiumata d’ansia…” (“Sono”).

Le novità, sarebbe meglio però parlare di consequenziali rivelazioni, vanno rintracciate in una successiva trasposizione: il trasferimento “sulla pagina” – come dice Pardini – di quell'”entourage”, “come  coscienza dell’essere e dell’esistere” e nel sentimento nostalgico
dell’infanzia, pressoché costante in queste poesie, che tanto s’amalgama all’esigenza creativa della vita dell’anima. Si, è “anima” la parola chiave del testo che stiamo considerando; un’anima disposta ad “(azzurrarsi e smemorarsi) nella magìa dell’ora”, “… ad alare in bianche piume” per “… carpire ai voli ai nidi | vivi i segreti del cielo” ed essere consapevole, entrare a far parte, del “… fremito… | dell’universa materia”. Come torna calzante, anche per questa prova, l’affermazione, riportata nella bandella di quarta, di Gerardo Vacana a proposito della silloge “euganea”: “…in questo libro … c’è tutto il ricco, multiforme, corredo del mito orfico”.

In Iter ligure, secondo noi, l’orfismo è particolarmente manifesto negli esiti poetici che hanno per oggetto il ricordo e, con esso, l’ineludibile perdita della primitiva innocenza. Ma, lo sappiamo, lo spirito non si nutre soltanto del presente, anzi, dal passato, e da quel passato, trae la linfa necessaria alla conservazione del proprio verde.

Così, ciò che, purtroppo, non può rinnovarsi, che scatena il “languore” per cui “non c ‘è azzurro acceso (che possa saziare) l’anima “, dà luogo, sulla pagina, allo slancio, alla fuga del volo più alto. E il cuore “d ‘improvviso (rimbalza) || . . . . | d’un fiato tutta l’infanzia (percorre)” e “…smemorata l’ora | . . . . || senza più sosta al pensiero | a perquisire nel dubbio il domani,” prova l’impareggiabile felicità della rinascita, “come al primo fuoco acceso nel mondo”.

Non vogliamo, però, concludere il nostro commento senza dare il giusto spazio ad una nota di natura stilistica: in questo senso, la raccolta del 2006 fornisce una sicura testimonianza di maturità. L’accortezza nell’elaborazione del verso, nella stessa sua costruzione (frequenti le
modifiche dell’ordine sintattico) si sommano all’uso sapiente delle figure retoriche: tutto nell’assoluto rispetto della musicalità di un linguaggio che rispecchi fedelmente il pensiero. E rechi gli “echi del miracolo d’amore”.