Silvana Serafin – La poesia di M.L. D.T. tra passione e razionalità
Silvana Serafin
Nell’ambito della poesia contemporanea italiana, Maria Luisa Daniele Toffanin offre un contributo originale e di sicuro interesse. Originale non esclusivamente nel senso romantico del termine, ma di ‘origine’, in quanto essa trae la propria specificità dall’interno di sé, dalla particolare percezione pittorico-musicale della natura, dalla lingua, dall’educazione, dalle letture… in poche parole dalla ‘paideia’ individuale. Originale, infine, perché rompe il silenzio, fa sentire la voce dell’anima, prendendo contatto con la realtà che la circonda ed operando, attraverso la parola, un processo di differenziazione, d’identificazione, di comunione, di realizzazione del soggetto.
Tre sono i volumi di poesie sinora pubblicati: Dell’azzurro e altro (1998), A Tindari (2000), Per colli e cieli insieme mia euganea terra (2002), preziosi anche per il corredo di disegni,
a china e a colori, eleganti ed essenziali nell’immediatezza espressiva, opera di Marco Toffanin, i quali instaurano un dialogo aperto e continuo tra espressione e comunicazione grafica. L’intera produzione poetica testimonia l’evoluzione di una passione in grado di trasformare l’esperienza in linguaggio, di manifestare, attraverso i simboli, i segni dell’anima che, rimettendo un’esistenza-assenza, sono riconoscibili da ognuno come propri.
Nel tempo ambivalente dell’arte, la poetessa padovana destruttura le coordinate spazio-temporali percorrendo, tramite il viaggio semiotico, contemporaneamente sentieri diversi che confluiscono nei contorni ontologici di un essere in situazione, il quale si trova e si ritrova attraverso la propria opera. Un essere che, per usare le parole di Ricoeur, è costantemente ‘compromesso’, cioè promesso insieme all’altro a tessere le fila del suo essere-nel-mondo. Da qui la ricerca di una chiave universale, in grado di prire continuamente nuovi sentieri alla conoscenza e all’immaginazione, instaurando un rapporto poietico dell’uomo con la natura.
Attraverso i paesaggi della storia (Tindari, i Colli Euganei) essa riporta in auge le memorie del passato “per accendere limpido il presente” (A Tindari, p. 16). Nell’altrove lontano nello spazio e nel tempo, ma ravvivato dal ricordo, trovano consistenza archetipi rassicuranti come le antiche tradizioni, la natura le cose semplici che danno significato all’esistenza. La coscienza sociale, in accordo col mondo reale, sottomette a sé tensioni individualistiche garantendo armonia tra individuo e comunità, tra uomo e natura. Miti e leggende di terre culturalmente lontane o più familiari, tradizioni, usi e costumi di collettività intere legate dalla magia ancestrale dei riti del lavoro, dall’esperienza di vita, sono evocati con metafore dotte e non per questo meno dirette.
Il ricorso ai miti classici, la raffinata costruzione formale che non lascia nulla al caso, la sperimentazione tecnica, frutto di una sedimentazione stilistica rielaborata dal proprio sentire ed espressa nell’uso sapiente del significato metrico, confermano l’attività interpretativa dell’esperienza estetica, mai pura contemplazione passiva dell’oggetto, proprio
perché implicita è la ri-creazione. Un’elaborazione linguistico-stilistica, che lontana dall’essere esclusivamente puro tecnicismo, si fonda sull’abilità poetica in grado di amalgamare valori sensibili, modalità etiche ed invenzioni fantastiche.
La razionalità, pertanto, non prevale sul piacere, sull’emozione, sulla passione che si coglie, soprattutto nel viaggio all’interno della natura. In un tripudio di luci, di colori, di musicalità, scoppiettano metafore gioiose, metonimie pittoriche che evidenziano il lirismo della vita. In
fondo già Benedetto Croce, nel trasportare il termine lirica dalla classificazione empirica alla sintesi estetica, coglie il motivo da cui sorge la poesia, la passionalità, il sentimento, la personalità che si trovano in ogni arte. Il connubio felice tra immaginazione e realtà è rafforzato, dunque, dalla linea metaforica che procede verso il teorico e l’astratto, e da quella
metonimica che affonda maggiormente nel pragmatico e nell’esperienza.
Tramite le cose, Maria Luisa Daniele Toffanin, muove, infine, alla ricerca della conoscenza di sé, in un viaggio interiore dove sogni, ricordi, sensazioni, dubbi esistenziali, rimettono a una supposta potenza che sembra governare il mondo (“ove un Disegno | a noi si svela in graffiti di luce”, Per colli e cieli insieme mia euganea terra, p. 27). Sia la divinità sconosciuta (“E questo Dio | mio mistero”, Dell’azzurro e altro, p. 54) cui la poetessa si affida fiduciosa (“Mi voto a te | mio dio antico”, ivi), sia la forza ignota (“Ma quale ignota forza sei | che accendi | il
sempreverde | il graffio della luna | i nostri pensieri | inerti alla sera | i nostri sospiri | dal profondo limite dell’immanenza?”, Per colli e cieli insieme mia euganea terra, p. 51) comunque, essa regola l’azione umana, orientandola a soddisfare un fine incomprensibile che obbliga il soggetto ad essere se stesso e il contrario di sé.
Il processo di momorizzazione diviene sempre più libero ed indipendente, determinando l’interferenza di piani temporali lontani, ma anche più attuali, poiché la poetessa si basa su di un legame associativo tra passato e presente in un visibile percorso a spirale della narrazione, suscettibile a un tempo di espansioni e di ritorni o di approfondimenti su se stessa, secondo una struttura polifonica che intreccia ad un io lirico un io narrativo, immerso nel flusso temporale dell’esperienza. Ciò è reso possibile proprio da quello che Bachtin definisce cronotopo, ovvero dall’interconnesione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali.
Nella coscienza non esiste linearità, in quanto nessuno vive il presente in modo stabile (“E ancora presente | è il tempo di ieri iterato | che già s’infutura”, ivi, p. 42), proprio per l’insieme di aspettative e di ricordi confusi, per la ricerca di un qualcosa di appagante che ha come punto di riferimento l’infanzia. È un po’ come accade per le opere di Proust in cui
l’incursione nel passato è concepita come un sondaggio nella profondità della coscienza, una mise en abîme che ha sì una funzione regressiva, nel senso che fa riflettere, ma ugualmente è protesa in avanti, in quanto rimanda la propria immagine modificata nel futuro.
Un futuro volutamente luminoso (“in assenza di tenebre, ivi, p. 53), per dare significato alla vita: la poetessa/Ulisse può affrontare il viaggio oltre il limite della conoscenza umana e salire con il suo Virgilio, l’amato compagno di una vita, “la scala del tempo” (ivi, p. 30), sorda persino al nóstos, perché la casa-cuna è ora la casa-sfera un microcosmo d’amore e d’attesa che vaga in un altrove di luce e di speranza.
La poesia e in senso lato l’arte, introducendo nella vita quella libertà che viene meno quando le idee si concretizzano nella realtà, proietta l’individuo verso il futuro, verso ciò che deve ancora accadere… In poesie successive, capaci di rompere “il silenzio di nebbia” (ivi, p.
36). Da qui il valore salvifico assegnato al potere della parola, “al canto d’oro dei sogni” (Dell’azzurro e altro, p. 44), al poeta (“Voce dal dio ispirata”, Per colli e cieli insieme mia euganea terra, p. 55), il quale, penetrando quei congegni, delicati e sottili, che sono il cuore e la mente degli uomini dove si celano i segreti dell’esistenza, rende meno cupo “il buio di chi
vive” (Dell’azzurro e altro, p. 43). Il mondo esterno rivissuto, pertanto, nell’interiorità della coscienza, assume l’aspetto proteiforme del simbolo, quale modello ermeneutico della vita.