Tito Cauchi – Per colli e cieli insieme, mia euganea terra

Pubblicata su:
Pomezia Notizie nr. 7/2009

Maria Luisa Daniele Toffanin, docente di Lettere presso Istituti Superiori, di Padova, è promotrice di iniziative culturali, ha ricevuto premi e riconoscimenti; non meno il patrocinio della presente raccolta, da parte del comune di residenza Selvazzano e della città di Abano Terme. Mario Richter nel presentare Per colli e cieli insieme mia euganea terra, coglie, in trasparenza, un certo dolore, sì da eternare ciò che può essere inteso effimero; mentre Luciano Nanni, nella nota tecnica, osserva l’interessante connessione tra il lessico e l’uso delle forme letterarie, segno di “competenza formale ragguardevole”. Aggiungerei che la Poetessa è riuscita a tenere a bada il suo dolore, anzi ad addomesticarlo, poiché riesce a farne una “lode alla vita”, un “convito di vitalità”e, in un certo senso, a manifestarsi nella sua identità.

Si tratta di 32 testi senza titolo, ma recanti numero ordinale, così delineando un itinerario intimo ove la “fusione di sentimenti” e di ritmo, crea l’armonia coinvolgente il lettore, in una sorta di travaso di emozioni. Fin dall’inizio quello che può sembrare un innocuo avverbio (insieme) si carica di una forza prorompete, lirica, che si fa un grande abbraccio da contenere l’universo (un noi tutti). Inoltre i disegni di copertina e all’interno, tutti a colori, sono della stessa Autrice, che fonde ‘insieme’ immagini e parole con l’invito di guardare all’oltre.

Mi pare di assistere all’armonia della nascita dell’universo, e quella del primo essere umano, o a quella di Maria Luisa, meravigliosa visione di luce e cielo; i lontani monti diventano “vicini profili tersi” (I), comunicano serenità, fanno godere dei tramonti, tutt’intorno si sprigiona una energia vivificante che dà gioia e stupore. Si è rapiti dalla visione e fusi nella bellezza che a sua volta si fa preghiera, adorazione; l’Io diventa Loro; segno della visione di sé e di beatitudine. Nella contemplazione della natura, riceve in dono “minuti sogni umani | nell’infinito” (IV), Nel cielo volteggiano creature aeree, mentre noi ne siamo impediti, pur con la fantasia, presi “d’umano soffrire”.

Ammiriamo, quasi con invidia, la semplicità anche del fiore, di salvie, corbezzoli. Si sprigiona in noi la vitalità selvaggia, genuina; questa consapevolezza ci riempie il cuore, crea una specie di complicità con la natura, con la quale ci sentiamo ‘insieme’. E nella metamorfosi torniamo indietro nel tempo: “E ti guardo | bambino ancora” (VII); ove ancora moltiplica il tempo; senza fame una connotazione malinconica o negativa. Una sorta di preghiera si recita all’altare rappresentato dalla natura dei campi, dei colli e cieli che racchiudono il cosmo entro cui ci riscopriamo tra “confuse trame umane,” (XV), ove il silenzio diventa come un’ostia.

La Daniele Toffanin evoca nella casasfera il ciclo evolutivo e il ritorno alla madre-terra, della quale siamo tutti figli; così il Tu si fa Me: “Tu sai di essere il mio canto d’amore.”(XII), per diventare Noi: “Noi, foglie-idee tenere” (XIV) e ancora “Noi ramate reliquie” religiose. Rivela o scopre che il cuore del Poeta è “grembo d’arcani miti” (XXIX), egli, o in questo caso, la Nostra, ce ne svela il mistero, sta a noi coglierne l’essenza.