Tito Cauchi – Fragmenta

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Pomezia Notizie nr. 7/2007

Fragmenta della Daniele Toffanin è raccolta di 89 poesie, divisa in due sezioni: Archetipi e Attesa; la prima ulteriormente tripartita (Negli occhi del cuore, [n stanza della vita, Nel vento del mito). Abbiamo alcune parole latine, o regionali (venete), od anche francesi, o semplicemente rare, un lessico forbito che svela la formazione culturale della docente padovana. Si alternano poesie di immediata comprensione ed altre che lo sono di meno, che fanno sognare, ma che nel contempo (è la mia prima impressione), aumentano ancora di più il senso di cripticismo che si percepisce: forse è un dire e un non dire. Forse è l’espressione risultante dal riconoscere quanto fragili siano i mezzi per il raggiungimento della salvezza umana. La voce poetante ha un ‘io’ e un ‘tu’ appena avvertibili. L’opera si ispira al recupero del senso di umanità, poiché sempre più questa assomiglia ad un muro sgretolato. Al centro la figura femminile (soprattutto della madre), nelle profondità della memoria, che si modula in un sentire del tutto personale. Farò qualche forzatura nel sintetizzare la mia esposizione, su due direttrici.

In parte mi sembra poesia del pensiero. Avverto rammarico, nostalgia in quelle “parole non dette a volti amati dal vento sfianati,” (p. 11). La Daniele Toffanin cerca e trova ascolto nella madre, tornando fanciulla, oppure trovando “l’ansa di una pausa” nella zia: “E fu il presagio. | L’isola della solitudine | si è farla arcipelago.” (12). La donna (o Maria Luisa) è frammento di: sole, alba, gioia. pudore. affetti; ma è anche l’idea dì un fiore “che lento si sfoglia”, o come un’onda che “muore sulla battigia”; la donna reclama il suo diritto di essere donna; ma non trovando un giusto sostegno, rimane senza risposta. “un morire di speranza”.

In parte mi sembra poesia sensitiva. Mani e dita sembrano muoversi sotto i nostri occhi, ci toccano: “io smarrita | nei sentieri della mia storia”. Ancora si trova nell’abbraccio della madre o della Madonna del Giotto; o madre lei stessa: “corolla d’affetti… | il senso d’esserci”, mani di luce, mani umili. Ricorda Emma che ha gli occhi della poetessa: “e l’amore è così giovane: e mai sa aspettare.” Mani che scavano ad Halaesa; Albamarina. Venezia, la ninfa Aretusa. Pan e il suo flauto; o Accardo e il violino. Ma “Più non s’ode, madre, quel tuo canto” (70) La Daniele volge un pensiero a Giovanni Paolo II, ai poveri del mondo; e attende che passi: “Il pianto soffocato di voci reduci, tu lo zio Nino Guelfi ed altri” (118). Viviamo uno stato di attesa che, tuttavia, snuove lo spirito, fa rivivere le feste religiose, fa sognare.