Luisa di San Bonifacio Scimemi – Fragmenta
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Padova e il suo territorio nr. 132/2008
Fragmenta. Titolo davvero suggestivo, eco viva e vibrante di una tradizione arcaica, di un linguaggio classico mai dimenticato, scarno nella sua essenzialità, che rinvia all’intero di una vita ricca e infinitamente varia, che la poesia elabora e riproduce in immagini liriche toccanti, dal fascino sottile. L’ultima raccolta di versi di Maria Luisa Daniele Toffanin, edito nella pregevole Collana Elleffe diretta da Cesare Ruffato per i tipi della Marsilio, è tante cose insieme, cristalli colorati di un caleidoscopio che nella lettura si ricompongono in una molteplicità di momenti, di luoghi, di eventi nell’ampio respiro di una prospettiva corale.
È innanzi tutto poeta-vestale, a custodia del tempio della vita, di quel mutevole spazio-tempo che scorre tra le persone, e non via da esse o trascinandole via: la sua poesia, i suoi versi teneri, i suoi aggettivi fatti di allitterazioni complesse – i suoimultipli tautografismi (..“si riforma ricanta ricolma” p. 111) – formanti spesso un unico verso, fanno barriera. Frattali poetici che riproducono i mille colori, le forme infinite del creato e implodono (“E all’occhio distratto | scompare nel nulla il creato” p. 89) in un panteismo domestico, nelle immagini mutuate da una natura – madre, viva di presenze antropomorfe e vissuta, anche nel dolore, con una intrepida, e quieta, serenità, con garbato riserbo, con generosa sensibilità.
Libro ovidiano delle metamorfosi private, dalla prosodia straniante e dal lessico ricco e provocante: impeccabile negli endecasillabi che evocano la sonora modulazione degli accordi e le tonalità foscoliane: “Forse per questa imago da plasmare…” p. 100; o nei titoli dalla cadenza montaliana: “Non rapitemi i sogni (p.115), gli occhi bendati d’immortalità”, Fragmenta si legge come il messale di una liturgia di redenzione che inizia con una lirica “Introibo” dove l’autrice annuncia il caos degli “archetipi” (categorie pure dell’anima poetica) di una cosmogonia originaria ormai in frantumi, sommersa dall’onda nefasta di un non-senso della storia, che troverà riscatto solo nella natura, “calamita consolante” “che a noi commisurata affabula magìa-prodigi-energia, alfine magistra per rinati germogli di tensione-vigore” ridarà vita e senso a “l’infinita nostra attesa”. Ed è il poeta che compirà il miracolo (119), anzi la donna che – Immobile quasi il respiro del tempo | ed ogni quesito sopito – p. 68 – nei suoi versi canta e riflette l’eterno femminino, in comunione con la vita, con il Creato intero.
Fragmenta: titolo davvero suggestivo, eco viva, vibrante, di una tradizione classica, di un linguaggio arcaico mai dimenticato, scarno nella sua essenzialità; voce che rinvia all’intero di una vita ricca e infinitamente varia e che la poesia elabora e riproduce in immagini liriche toccanti, dal fascino pervasivo e sottile. L’ultima raccolta di versi di Maria Luisa Daniele Toffanin, edito nella pregevole Collana Elleffè diretta da Cesare Ruffato per i tipi della Marsilio, è tante cose insieme: 89 composizioni, orientate tra l’essere (Archetipi) e il divenire (Attese), lungo l’asse di una esplicita fenomenologia esistenziale: tessere poetiche,”segmenti d’anima”, cristalli colorati del caleidoscopio di una molteplicità soggettiva di momenti, di luoghi, di eventi che, nella scrittura, si ricompongono all’infinito secondo una melqdiosa prospettiva corale. E consistente e meritata la messe di riconoscimenti autorevoli che questa silloge ha raccolto sul territorio nazionale, tra Primi premi (il S. Maria in Castello a Vecchiano (Pisa), I’llistonium a Vasto (Chieti) e il S. Margherita di Arcola-Lerici), Secondi (Gran Premio Città di Pompei) e Terzi (Premio Il Portone, di Pisa; Iniziative Letterarie di Milano, Premio Maestrale S. Marco a Sestri Levante e Premio L’Aquilaia ad Arcidosso Amiata), oltre a numerose segnalazioni (a Verona, Firenze, Pontinia, ecc.) con motivazioni lusinghiere e significative: “Il suo dire, di un panismo simbolico, è sempre analitico-allegorico. Grande è anche la capacità della Toffanin.. di fare del mito un significativo momento di attualizzazione di vicissitudini esistenziali”; “Una poesia alta e intensa che sa scavare negli interrogativi più profondi dell’animo umano con un linguaggio colto e nello stesso tempo affabulante.” O ancora: il mondo poetico racchiuso nella raccolta Fragmenta cerca nell’ideale perle:ione del mito e del bello a chiave di una possibile interpretazione della coniplessita .forse senza senso della storia, per riscattare, con energia morale che sempre si rinnova, il valore della propria identità di donna e di persona”.
Figura femminile esemplare nella sua dimensione familiare, Maria Luisa Daniele Toffanin è anche, ed essenzialmente, donna di lettere, intellettuale impegnata con concreta, pacata ostinazione, nell’ambito della “Fondazione Levi-Montalcini”. E, coerentemente, a noi qui si rivela poeta-vestale a custodia del tempio della vita: di quel mutevole spazio-tempo che scorre tra le persone, e non via da esse o, inesorabile, trascinandole via. La sua poesia, i suoi teneri versi, gli aggettivi costruiti su allitterazioni complesse – i suoi multipli tautografismi (..”si riformo ricanta ricolma” p. 111) – formanti spesso un unico verso, fanno barriera: sono il tempio, il recinto sacro, protetto, di una logica amabilmente fenmiinile. Frattali poetici, riproducono i mille colori, le forme infinite del creato e implodono (“E all’occhio distratto | scompare nel nulla il creato” p. 89) in un panteismo domestico, nelle immagini mutuate da una natura-madre viva di presenze antropomorfe e vissuta, anche nel dolore, con un’intrepida, e quieta, serenità, con garbato riserbo, con trasparente sensibilità.
Libro ovidiano delle metamorfosi private, dalla prosodia straniante e dal lessico ricco e provocatorio, impeccabile negli endecasillabi che evocano la sonora modulazione foscoliana dei toni: “Forse per questa | mago da plasmare..” (p.100), o nei titoli dalla cadenza montaliana: “Non rapitemi i sogni (p.115), gli occhi bendati d’inmmortalità”, Fragmenta si legge come il messale di una liturgia di redenzione. Ha inizio con la lirica “Introibo”. che annuncia il caos degli “archetipi” di una cosmogonia originaria in frantumi, sommersa dall’onda nefasta di un non-senso della storia, che troverà riscatto solo nella natura, la quale, “calamita consolante…che a noi commisurata affabula rnagìa-prodigi-energia, alfine magistra per rinati germogli di tensione-vigore”, ridarà vita e senso a “l’infinita nostra attesa”. Ed è il poeta che compirà il miracolo (p.119); anzi, la donna che – immobile quasi il respiro del tempo | ed ogni quesito sopito (p. 68) – nei suoi versi canta e riflette l’eterno femminino, in comunione feconda con la vita, con il Creato intero.