Stefano Valentini – Sottovoce a te madre
Sottovoce a te madre
Due sillogi in contemporanea, brevi e distinte poiché di argomento diverso, ma ovviamente entrambe congrue nel percorso poetico di Maria Luisa Daniele Toffanin. La prima, di intensità straordinaria, è interamente centrata sulla memoria della madre: un vero e proprio poemetto che non si limita ad essere canto, omaggio, ricordo, ma è tessuto di vita che permane e prosegue, aspirazione ad un oltre che dalle radici si fa slancio al cielo. “Simbiotica fusione di cielo e terra”, la definisce Nazario Pardini, musicale preghiera che sboccia in un inno alla vita. “Tu viva con voce di gioia / fra noi rinati all’armonia dell’ora”, in “un suono intimo di famiglia / che si faceva universo”.
La figura non è mitizzata, ma colta nella sua capacità di sacrificio e nella sua forza “guerriera”: è un dialogo con l’ombra, ma luminoso, anche grazie alla “matta /sbrigliata fantasia a me donata / per trasformare il vivere in parola”. Un dialogo che si fa canto, trascolorando tra espressioni dolcissime che sono quasi litanie di grazia: “tenera piuma tremi a tenue brezza”, “epifania dell’infanzia del mondo”, ma sono due soli esempi tra i molti possibili. La madre rivive nelle poesia d’allora, quelle in vita e quelle seguite alla scomparsa, poiché la silloge riordina anche liriche scritte subito dopo il lutto (“catarsi e armonia mi infuse il verso”), una ventina di anni fa: se lo stile dell’autrice è oggi in parte mutato analoga è però la tempra, morale e poetica, che i versi trasmettono. Una ricapitolazione intrisa di bellezza, natura, anima, una nostalgia che si fa linfa vitale, dialogo perpetuo, meditazione su come da ogni virgulto nasca un destino e uno slancio: “ovunque cerco le tue orme” in nome della “armonia sublime dell’amore” e rievocando la “gioia dell’infanzia”. Nell’emozione del luogo e della casa, tema cardine in tutta la poesia di Maria Luisa Toffanin, vive “un eterno celeste presente” che sa di prodigio, oggi come allora, “in armonia con le celesti leggi”, quelle in base alle quali “completeremo l’incompiuto”. Fondamentale la riflessione sul valore della famiglia, sulle odierne difficoltà valoriali e pratiche, che trovano risposta nelle nascite dei nipoti, “stabilità dell’umana storia” e “promessa di vita per noi espansa”, in un oggi che è cerniera tra ieri e domani.
Nei Segreti casentini, è la natura a fare da padrona, anzi da maestra. Luoghi evocativi di emozioni e magie in grado di andare (ancora una volta, con Zanzotto) “oltre il paesaggio”, grazie alla splendida varietà di tonalità espressive: una vera e propria tavolozza-arazzo che, dai colori e dallo sguardo, diviene danza d’anima. Un itinerario, dunque, fisico ma soprattutto interiore, che invita a superare lo scoglio e il porto della materia, acuendo la percezione oltre la nostra umana miopia. Sono continue, armoniose e sinfoniche accensioni dello spirito sorrette da una “idea sublime / di globale accordo” secondo una altissima, vertiginosa metafisica celeste, cosmica e premurosa, immersa in un progetto divino definito “cromatico”.
Niente è (soltanto) quel che appare, tutto è “riverbero del divenire eterno”, in una gemmazione d’immagini che porta l’autrice a sentirsi nuovamente “bambina-regina cinta ai fianchi / da ghirlande di fiori”, avvolta dalla meraviglia dell’esserci. La natura, dunque, è solo un viatico, sia pure il più sublime: “corda lanciata dal cielo / un albero gemmato di purezza”.