Stefano Valentini – Florilegi femminili controvento

La Nuova Tribuna Letteraria, nr. 129/2018

Libro solido quanto tutti i precedenti dell’autrice, strutturato e coerente nello sviluppo e nei contenuti, dei quali il titolo è un sunto perfetto: l’attributo “femminili” ci dice trattarsi d’una raccolta focalizzata sulle donne, mentre il “controvento” sottolinea il richiamo a valori oggi desueti, quando non osteggiati: sacrificio, rinuncia, pudore, vocazione, dignità. Valori, va detto, non certo alle donne riservati, né tantomeno obbligati o pretesi, ma che tramite loro possono rivitalizzarsi e proporsi anche alla “metà del mondo” maschile: in questo consistono il “femminile genio” in grado di trasformare la società e “l’interiore bellezza che è coscienza di sé” delle quali parlò San Giovanni Paolo II, citato dall’autrice in exergo.

Diverse liriche sono indirizzate alla memoria della madre Lia, “linfa” e “trama del nostro esistere”, anima guerriera e “presenza accanto” sempre “in colloquio infinito”, alla cui “sapienza del vivere sereno” è dedicata (tra le altre) una splendida poesia che l’accosta ai diversi fiori e termina: “ti sento più mia nella matta / sbrigliata fantasia a me donata / per trasformare il vivere in parola / tristezza conforto sorriso allegria”. Così come è capolavoro la lirica “Madre-coraggio-sacrificio”, che ne evoca la dura condizione di vita durante la guerra, con il marito internato militare, quel padre che in un sogno porta alla figlia “una bambola coperta di baci / per me piccina ancora”, quella “vita piccina” che manteneva salda l’unione tra i genitori lontani. Diverse liriche ci parlano di esistenze concluse o talora strappate anzitempo, la nonna, la zia, alcune carissime amiche, ma nella morte la vita non viene meno, “muta solo forma”, perché “il corpo è valigia di carne ingombrante / ma l’anima che migra leggera / è il viaggio infinito”; altre ancora invece di giovani spose, di maternità e di nascite, “primavera che ti cresce dentro”, “divenire sostanza-forma / in lievità di petali”, “stupore-innocenza-prodigio / che ci dilata e continua il cammino / oltre orizzonti dell’umano tempo / nel disegno infinito di Dio”.

Una “divina maternità / premura all’altro sempre”, “forza che regge l’armonia vitale / gli universi accordi”, perché la vita richiama altra vita, come nella bellissima poesia per un bimbo: “ritorno in te / a quota così elevata d’innocenza / da perdermi nel tempo”, riscoprendo l’infanzia propria e del mondo. Tra gemme e virgulti, tra continue variazioni e arricchimenti di senso, tutto appare viatico al divino e all’eterno, in un fiorire di gioia presente e presaga che si spinge “oltre l’umana misura”. Oltre all’arte, “arpa divina del creato”, un ruolo fondamentale riveste l’amicizia che è “infinita primavera” tra “paradigmi variegati d’umanità”, la “segreta calamita / che dentro si sprigiona / tra anime affini”; nell’incontro anche una sola ora può essere “un petalo d’Eterno”, uniti nella “sorte buona di coesistere” da quel fremito di vita “che tutti ci pervade e accomuna” e placa anche il dolore, “persone bulinate dall’aspro affanno / levigate dalla morbida gioia”. Infine, come accennato, il “floreale simbolo migrante / del Buono che perdura fra gli umani”: il libro culmina in una “delicata trama floreale” fatta di alchechengi, petunie, robinie, gelsomini, ciliegi, peonie (le “donne-fiori”), rose, ninfee, fiordalisi, albicocchi, papaveri, giacinti, primule… ciascuno con le proprie caratteristiche, “elementi del medesimo creato”. È l’affermarsi pieno della “gemma-vocazione alla bellezza” che trascende il tempo e grazie alla quale “l’attimo insieme che passa, ma sosta / in noi così si tinge d’eterno”.