Silvana Serafin – Iter ligure

Alle precedenti raccolte – Dell’azzurroed altro (1998-2000), A Tindari (2000-2001), Per colli e cieli insieme mia euganea terra (2002), Dell’amicizia – my red hair (2004-2006) – Maria Luisa Daniele Toffanin aggiunge ora Iter ligure, ulteriore tappa di un viaggio reale e metaforico attraverso spazi fisici e tempi della memoria. Si tratta di un raffinato volumetto di cinquantun pagine – corredato da pregevoli disegni in china di Marco Toffanin – che confermano, oltre alle doti stilistiche del tutto personali, il particolare approccio dell’autrice con le tematiche della natura, vissuta in stretta simbiosi. La bellezza del paesaggio, pervasa di sentimento panico, viene progressivamente assorbita e interiorizzata per poi espandersi nell’armonia metafisica dell’esistenza. Significativi in proposito sono i seguenti versi: “E il suono d’aria e d’acqua | pure si sfila leggero | in trame di note mute || ma vive dentro dal prima | memoria di sfere musicanti | all’origine del cosmo. (“Trame d’armonia”, p. 19). La visione della realtà si converte qui in un autentico mondo primigenio, custode di valori positivi resi palpabili dalla profonda coscienza collettiva dei miti, dalla certezza dell’identità individuale e da una vita che pulsa al battito del cosmo.

Le tre sezioni che compongono l’opera, “Trame d’armonia”, “Suoni-colori”, “Pause”, sono costituite rispettivamente da undici, nove e dodici poesie che cadenzano impressioni del momento, vissuto sempre con intensità emotiva e visualizzato da un verso agile e sonoro, ora ampio e pacato, ora conciso e tagliente, perfettamente in consonanza con il ritmo interiore. Slanci d’entusiamo, smorzati da toni riflessivi e meditanti, creano una sinfonia verbale di grande impatto sul lettore, a sua volta costretto a soffermarsi sul senso della vita e della sua fugacità “per non sfiorire così | dans l’espace d’un matin” (“Manarola”, p. 23). Nel dominio della natura, ricomposte le dissociazioni interno/esterno, pensiero/realtà e ritrovata l’armonia con il sé, è possibile, pertanto, orientarsi nel mondo, dando significato alle azioni quotidiane.

Le doti affabulatrici di Maria Luisa Daniele Toffanin si consolidano nella continua elaborazione di doppi e tripli sintagmi, di metafore evocatrici, di dettagliate e vivaci descrizioni che trasformano la metonimia in poesia dai forti accenti personali, prorompente per musicalità e colori. Ciò riconduce all’antico e indissolubile legame fra parola e musica, di vita e poesia di una donna “che seduta sul molo a Monterosso | nell’aria muta di colori, | si dondola in pensieri con le barche | poi raccoglie la sua anima dal mare | e dal sole attende risposta chiara” (“Sono”, p. 33). Su tutto aleggia la funzione salvifica del poeta che, “nel delirio maifinito d’azzurro | struggente amore del vivere” (“Al poeta”, p. 34), è sempre in grado di dare voce all’esigenza interiore, manifestando sensazioni universali, contrastando il dissidio tra una ratio sottesa al corso del mondo e una ragione dell’io che ad essa tenta di opporsi o con cui cerca di misurarsi.