Raffaella Bettiol – Presentazione di Per colli e cieli insieme mia euganea terra
Piove di Sacco (Padova)
Sabato 16 aprile 2005
C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole | anzi d’antico…, questi celebri versi di Giovanni Pascoli riassumono, a mio avviso,l’essenza della poesia di Maria Luisa Daniele Toffanin nella raccolta Per colli e cieli insieme mia euganea terra (La Garangola, Padova 2000). L’autrice in tale silloge sa, infatti, coniugare felicemente e in modo del tutto personale una lunga meditazione della poesia contemporanea con la tradizione classica, conferendo ai suoi versi eleganza e rigore. La raccolta può definirsi un Canzoniere d’amore, nel senso più ampio ed elevato del termine, in quanto è l’amore stesso a pervaderla integralmente. Un sentimento, del resto, che coinvolge totalmente non solo la poesia, ma la vita stessa di Maria Luisa Toffanin. Scrive,infatti, l’autrice nella prima lirica, che risuona come un preludio all’intera silloge,:”Rinata trama d’armonia | ove ruota la casa-sfera | che solo a guizzo d’amore si muove || E con un giro di danza | la casa mi moto alla vita | che brulica fuori | di fiori e di erbe…”.Il viaggio d’autunno, infatti, che l’autrice compie attraverso ed oltre la natura dei colli Euganei, da lei così amati, parte proprio da quella casa-sfera, fulcro d’armonia, da cui l’autrice stessa prende energia e dove sono ” quelle mani che modellano la creta del suo corpo ancora morbida di sogno e le ridonano tepore “certo di sole nuovo”. La natura è da sempre uno dei grandi temi della poesia e dell’arte di ogni tempo. Scrisse in una lettera Van Gogh : ” Non conosco una definizione migliore della parola arte di questa: L’arte è l’uomo sommato alla natura. La natura, la realtà, la verità ma con un significato, con una concezione, con un carattere che l’artista fa risaltare e al quale dà l’espressione, liberando, distinguendo, illuminando”. I colli Euganei, nella poesia di Maria Luisa, rivivono in un’intensa interiorizzazione spirituale, in una dimensione sincretica con l’uomo stesso: “Noi foglie- idee tenere | a lento | dal profondo lievitate | nodi di corteccia | a fatica esplosi | in trepido fresco parlare d’albero”.
La ricerca della bellezza, del valore magico e divino racchiuso nell’ origine stessa dei colli fanno sì che il libro sia pervaso dal mito orfico: “– grembo d’arcani miti | di minuti guizzi e | di speranze immense – | poi Voce dal dio ispirata | che canta con soave cetra | quest’avventura unica | inventata da un alito d’amore, | ché sempre sfavilli | tra le palpebre dell’infido tempo.”
Vi è in questa silloge, come ha precisato Andrea Zanzotto nella nota critica, quasi un senso di consustanzialità nei confronti dei Colli Euganei, terra nativa di Maria Luisa, nei quali l’elemento umano ha l’energia stessa della natura, perché sono le forze segrete della stessa a nutrire, a risvegliare l’animo dell’uomo: “Già dall’arcano profondo | – magma di quieti pastelli | e di roventi | improvvisi bagliori – | risuona un canto interiore | velato ancora d’ombra | dilatato poi | in parole d’amore | al mattinale puro. | Ardore di assonanza | in sé con l’altro”. La forza, l’energia segreta insita nei colli deriva dalla loro origine vulcanica, oggi sopita ma non spenta: “Sono rovente forza | accesa dai primordi | anima di un dio | che ora là riposa”.
Le montagne, più in generale le alture, rappresentano, da un punto di vista simbolico, sia le residenze delle divinità solari, sia le qualità superiori dell’anima e le funzioni sovracoscienti delle forze vitali. In taluni quadri di Leonardo da Vinci, dominati da picchi rocciosi, irti nel cielo, i monti che circondano le figure sacre raffigurano il culmine dell’evoluzione umana e la funzione psichica del conscio, protesa a condurre l’uomo al culmine del suo sviluppo. Testimoniano, quindi, la tensione metafisica dell’uomo stesso. Non a caso nella stessa Divina Commedia Dante Alighieri pone il Purgatorio su di un colle ai piedi dell’Empireo.
Il viaggio tra i colori dell’autunno, che l’autrice compie lungo i colli, non apre soltanto ad incandescenti e a limpide visioni paesaggistiche, ma anche a profonde riflessioni esistenziali, inerenti ai grandi temi della memoria, del tempo e della morte, alle quali si fondono, in una visione panica, i ritmi biologici della natura: ” E così muore ogni giorno | per noi un po’ di luce. | Restiamo stelle esangui nella notte”. Talvolta, scrive l’autrice, si viene colti da una nebbia sottile, che offusca l’anima, che azzera anche il verde delle fronde e “l’orma d’ogni trillo” e lo smarrimento ci sorprende, incapaci di vedere, di capire il nostro futuro, il destino umano : “e la vista vieta oltre | l’infimo confine umano | e Ulisse serra | in nave immobile | – opale indifferenza – | sopito ogni guizzo d’andare | e il nóstos pure di tornare”.
Il naufragio dell’Ulisse tofaniano lo potremmo definire di bonaccia: l’animo umano, infatti, ci vuol dire l’autrice, talvolta, sorpreso da una simbolica, quanto improvvisa nebbia, rimane incapace di reagire abbandonandosi al vuoto dell’apatia e dell’inerzia.
Si tratta comunque di un naufragio temporaneo, perché la vita è sempre più forte della paura della stessa morte: “Trepido a ombre del morire, s’accende | il vivere in lampi dorati dentro.” Ma qual è la forza misteriosa, che conferisce energia all’uomo e lo sprona ad andare avanti in questa vita, nonostante le sofferenze, nonostante la morte, se non l’amore? Come si è precedentemente sottolineato, Per colli e cieli insieme lo si può considerare un canzoniere d’amore, nel senso più ampio del termine; l’autrice in questo libro ci parla, infatti, non soltanto del legame profondo, che l’unisce ai colli Euganei, così a lei cari, ma anche dei suoi affetti personali, del compagno della sua vita, il marito, al quale tra l’altro è dedicata l’intera silloge. E’ assieme a lui che Maria Luisa Toffanin procede in questo viaggio attraverso il verde e l’ocra dei suoi colli: “E quando inebriato di rose | fermi i gradini del giorno | e di sole t’illumini | in parole antiche e nuove | al nostro salire insieme | la scala del tempo | così pacato e tenero | pur in amare soste, | l’azzurro tutto | mi cola il pensiero | e rossa melagrana | m’emplode gioia dentro | e il gatto sul gradino | morbido si liscia | e si perde nelle mie fusa.”.
Ma la forma più alta d’amore è quella che ci viene direttamente da Dio e che si manifesta attraverso ed oltre la bellezza del creato: ” Sei tu | divina potenza | sigillo d’amore e sapienza | al semplice gesto e al sublime | che ora così ti disveli | in un adagio di note d’oro | conferma | della tua presenza | inesausta | il giorno e la notte | nel nostro esserci e nelle cose”.
Vi è nella Nostra una profonda vocazione metafisica e cosmica, che la sospinge oltre i limiti umani: sono i verdi arazzi a grani d’oro, l’intreccio di viola e verde, i canti-intarsi dei colli Euganei a parlarle dell’infinito, dell’Essenza stessa divina del creato. Scrive Maria Luisa Toffanin “E’ l’amore la luce d’oro | leitmotiv che tutto percorre l’universo | e l’arco antico nostro di sole | nel dono di sentieri di ginestre | nell’offerta di parole e di gesti.”. I nativi colli operano, nell’animo dell’autrice, un incanto simile a quello provato dal Leopardi nel suo ermo colle e in quella siepe ” che da tanta parte | dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”.
Delicatissime sono inoltre le liriche che Maria Teresa dedica a Rocca Pendice e a Praglia. In quest’ultima poesia, l’autrice ricorda la bellezza del luogo, nel quale avviene l’incontro-incanto d’arte con la natura, dove rivive l’amore di Jacopo per Teresa e dove, infine, vinto dalla Parola, il tempo stesso s’arresta e si condensa “nel silenzio | di mani accordate | sulle vigne e sui codici miniati | di voci oranti chiuse | nell’armonia del sacro canto | di madonne e angeli sospesi | in tenui pastelli e volute”.
Il linguaggio della poesia toffaniana, in cui i versi, le strofe e la forma si integrano perfettamente, grazie ad un uso sapiente della tecnica, è sempre elevato, raffinato, erede di una lunga tradizione e al contempo moderno, nel quale la parola, strumento d’istanze esistenziali e di inequivocabili slanci metafisici, non rinuncia mai alla propria centralità.
Nel suo pellegrinare lungo il mondo appartato e solitario dei colli, un altrove di luce ed armonia, la poetessa padovana infine ritrova la propria pienezza spirituale nella bellezza e nell’afflato divino. Rinasce in lei una primigenia energia, che sembra farle vincere la scommessa non solo contro la morte, ma soprattutto contro il tempo, dandole la forza di caricare a ritroso le lancette del suo cuore : “Così, ascolta, | ti ho caricato a ritroso il tempo | per renderti più leggero etereo, al | volo uguale e all’acuto d’un fringuello, | a un ventaglio di piume colorate | in canti-riti d’amore librate.” Anche se una simile forza appartiene soltanto ad una ” dimensione surreale”, che è propria del cuore, perché ” staccata dalla corrente | accelerata delle ore”.