Ninnj Di Stefano Busà – Dell’amicizia – My red hair

Dell’amicizia è una silloge omogenea e compatta, quasi un canzoniere all’amica d’infanzia (immaginiamo perduta) che si snoda tutta nel senso della lealtà, della fedeltà, dell’entusiasmo e della gioia di entrare in sintonia con l’altra da sé, “nel bucolico spazio” del cuore, oso dire, trova posto e alligna una piacevole presenza che continuamente interloquisce con la trepida aspettativa di sogni eccezionali, di giovanili raffronti, fatti sull’onda dell’emozione e di momenti sereni, un mondo ormai perduto nel quale l’autrice intravede sullo sfondo la forza rigenereante di un amarcord.

Il titolo è particolarmente attagliato e questo snello poemetto monotematico che caratterizza tutta l’opera: un vincolo profondo sembra unire due amiche in un’autentica comunione di pensieri, di desideri, di slanci: un legame in espansione affettiva che si avvale di suggestioni morbide e tenere fatte sul filo della confidenza, del reciproco rispetto, dell’abbandono alla speranza che lega azioni e progetti di vita in un unico grande assolo.

Sull’onda di una non rassegnata consapevolezza per la grave perdita, l’affinità spirituale si fa intensa, ritorna in un refrain ripetitivo a quel “lavava, lavava…” più e più volte, ripetuto, quasi a indicare forse una pulizia morale, un cerchio di braccia sempre pronto a sostenere l’affinità elettiva fra le parti, nido radioso di un affiatamento sinergico a quegli ideali genuini, a quell’interloquire lieto che era sacro in comunione d’intesa: amicizia pura “nel tempo diramata | in presenza una nell’altra” oggi quasi del tutto scomparsa. S’intuisce che la perdita ha provocato una fitta dolorosa, così l’autrice disegna un progetto lirico che rompendo gli schemi consueti, dà un’incentivazione alla memoria che si fa carico di superare il fattore materico della prsenza fisica per collocarsi nel cuore e nello straordinario viatico di un’ideale contiguità segnica, teorema di foscoliana memoria, nella ipotesi che non si muore finché qualcuno ne eternerà il ricordo.

Così ancora colloquia con la “rossa criniera” in ricchezza di simboli, in eccezionali chiusa, in orchestrazioni vivide di note che trattengono l’arditezza di una rievocazione che continua nel tempo, arricchita da mezzi espressivi pervasi di rara umanità e bellezza come quei notturni di Chopin che un’invenzione e una sigla lirica predispongono musicalmente a voli arditi di note, che serrano nel cuore la dolcezza inquieta di un diario privatissimo e di un viatico di silenzi raccolti in profondità di mistero. Mi piace evidenziare questa bella espressione dell’autrice: “Si vela di pudore il cuore | e anche all’amica tace | la stanza felice perduta. | (Come fune nel cerchio di gesso”. E concludere questa breve nota di giudizio con le parole emblematiche e suggestive dell’autrice che trascrivo interamente: “Poter fermare | quell’attimo | in punta di vita | e ridirti, amica, | immutato ancora | il mio bene | pur nell’ora più breve | e sentir spuntare | i fiori | in fremito-risposta”.