Maristella Mazzocca – Dell’amicizia – My red hair
Pubblicata su:
Padova e il suo territorio nr. /2006
Non inganni l’assonanza del titolo. Benché s’intitoli Dell’amicizia l’ultimo libro di poesia di Maria Luisa Daniele Toffanin non ha nulla di ciceroniano se non l’avvio. Anzi nulla è lontano dall’argomentare erudito e armonioso della filosofia dello scrittore latino quanto questo minuscolo libro di poesia che si modula, piuttosto, con la cadenza senza tempo delle fiabe. Al centro una figura di donna di cui ignoriamo il nome, ma che impariamo a riconoscere attraverso le mille sfumature di una personalità che si va componendo, di lirica in lirica, nella misura di un fresco, danzante poemetto teso tra l’alba di un’amicizia e il crepuscolo di un requiem.
Domina nel lessico di questa poesia un refrain, o un ricorrente verbo tematico che regala alla raccolta, pur composta all’indomani della morte della protagonista, un tono lieve eppure intenso in cui avvertiamo radiosa la gioia di vivere assai più che la tragedia della fine. Ripetuto con la cadenza di una fiaba nell’Incipit di molte liriche o nel cuore di alcune, quasi una rima al mezzo che scherza allusiva tra i versi, spicca il verbo “lavare”. Coniugato all’imperfetto intemporale delle fiabe o iterato in endiadi scherzose il verbo si screzia di accezioni ad ognuna delle quali corrisponde un gesto o un movimento il cui significato ricompone, insieme, un mondo interiore ed una civiltà. Riconosciamo, nei versi, i tratti di una gentilezza veneta e campagnola che fu ed è una misura etica spontanea, inscritta in una tradizione di vita radicata da sempre. La riconosciamo nei luoghi, filtrati dalla distanza del ricordo eppur vivi di sensazioni; dalla scuola sui Colli Euganei dove, in un settembre dorato d’uve e di sole, sbocciò il fiore di un’amicizia, all’atmosfera “delle piazze sotto il salone” dove suoni, odori, rumori s’intrecciano alacri nel segno di un “vivere” lieto in cui la letizia è una forma di innocenza.
A quell’innocenza mattinale s’intona, come la nota al quadro, il carattere della protagonista: il suo sdegno irruente per tutto ciò che offenda l'”urbano decoro di un tempo troppo arrogante”, come il suo fervore d’insegnante che, nel dovere di ogni giorno, traspone il fuoco di un imperativo interiore. Scorrone, nel libro, limpidi giorni fragranti di vita, vissuti con la levità del vento e l’intensità di chi non perde di vista l’essenziale: il risveglio è un “lavare i pensieri”, il viaggio per recarsi a scuola un andare ventoso, la lezione del mattino “un bel suono sulle labbra del mai obliato inglese”, l’imperativo categorico che anima ogni parola un dire “l’urgenza | di un vivere insieme cortese | alla voce di un’etica stella”. Iterazioni o ripetute assonanze traducono, nel tessuto dei versi, il ritmo alacre di opere e giorni. Avvertiamo, di lirica in lirica, un’operosità tutta veneta che fluisce incessante come l’acqua del fiume o l'”endemica sete del vero” che fa dell’anima una corda sempre tesa, dello spirito una ricerca feconda.
Non si ignora il dolore, in questo libro, né l’ombra dell’inquietudine o della sofferenza, ma appaiono il dolore e l’inquietudine, mitigate dalla tempestosa dolcezza di un carattere che sa “smussare l’apro delle cose” con l’energia affettuosa con cui sa “spianare la pasta” per i suoi cari. Tutto è amore e le gerarchie sono abolite dove la vita è religiosamente vissuta: gli umili fagioli spiccano come gemme se c’è luce nello sguardo di chi li osserva e diventa un reame la natura “con fanciulli intorno, gli amici | i fringuelli in solfeggi | le campane sciolte nel cielo”. Forse è proprio in questa riposta saggezza il messaggio di un libro che nella morte di una persona molto intensamente amata non ha voluto vedere la disperata inanità di una fine ma ha voluto, trasponendola in versi, ricordarne il delicato pudore che è, innanzitutto, pudore del male subito per stringere “pur nell’ora più greve”, un “canto di confine” dove “i diletti spazi” di un “sentire di cristallo” siano linfa di un oggi che non muore.