Mario Richter – E ci sono angeli

Relazione 24 marzo 2011, Abbazia di Praglia (Padova)

Dico subito che questo libro poetico della Daniele Toffanin presenta un carattere di novità che a nessuno deve sfuggire.

Finora la Daniele Toffanin ci aveva tracciato e ci aveva fatto percorrere un itinerario di poesia nel quale gli affetti familiari risultavano intimamente congiunti col paesaggio della città natale, della campagna, dei Colli euganei e con le emozioni suscitate dai viaggi in terre di grande suggestione letteraria e classica come la Liguria e la Sicilia. Ci aveva in tal modo addentrati, per accennare soltanto alle linee essenziali, in un mondo di colori e di suoni osservati e ascoltati nella loro impressionistica immediatezza, ma subito anche portati alla stabilità di di valori immutabili, illuminati dalla natura eterna degli archetipi.

Ebbene, in questo nuovo libro siamo progressivamente accompagnati nel cuore stesso dell’evento più ricco di misteri e d’incantesimi che accende di speranza, sorprende e talvolta turba la nostra esperienza di vita, quello della nascita di un bimbo, quello dello “scrigno magico di primizie” (così si legge in uno dei primi versi d’apertura), uno “scrigno” che ci viene offerto come dono da scoprire, da capire nella sua sempre inaudita portata, nel messaggio che sempre richiede di essere nuovamente interpretato.

Il libro ha una struttura chiara, direi anche una struttura solida. Si articola – quasi fosse un ponte che ci consente di raggiungere un altro mondo – in tre grandi arcate.

Nella prima di queste tre arcate tematiche (e direi anche stilistiche) che strutturano la raccolta (si intitola Il volto dell’infanzia), la Daniele Toffanin prende le mosse dal primo vagito di un bambino che si affaccia al mondo. Di qui trae vita, attraverso i palpiti segreti che costituiscono uno dei cardini universali dell’umanità, tutta una realtà di inattesi stupori, di straordinarie visioni legate alle speranze e ai ricordi, alle gioie, fino a condurci al misterioso luogo (cito) “ove la tenerezza di Dio | depone sogni di luce | per albe nuove sulla terra” (Infanzia-cuna). Il canto è disteso, si avvale di accenti larghi per un ritmo che conforta e illumina.

Nella seconda arcata (il cui titolo E ci sono angeli è anche quello del libro), la riflessione entra nel vivo di un dramma umano e sociale che il nostro desolato tempo vuole sempre più diffuso, vuole sempre più raccapricciante. Una ininterrotta, una sterminata strage degli innocenti provoca il grido accorato, disperato, di chi pure amerebbe innalzare un gioioso “canto alla vita”.

A momenti la riflessione si ferma a invocare, nella grande desolazione che l’affligge, il fraterno soccorso di un poeta come Zanzotto, di uno scrittore come Camon, entrambi veneti, ma cerca anche il sostegno della Morante, della Fallaci, per poi ricondurci a una figura emblematica come Anna Frank.

In questa seconda arcata, il canto quasi si spezza, assume tonalità gravi, cariche di dolorosa passione. Di fronte alle atrocità di cui sono vittime, ad esempio, i “meninos de rua”, la voce poetica s’infrange contro le frontiere della sua stessa capacità espressiva e quasi finisce con l’arrendersi, soffocata dallo sdegno e dal dolore: “… non regge parola | al peso di tale orrore”.

Veniamo all’arcata conclusiva. Si compone di ventitré componimenti. Qui l’evento concreto, venuto ad allietare nella sua viva presenza, dopo la trepida attesa, il cuore e i giorni di una mamma-nonna, conferisce al canto le note che già conosciamo più consone all’originale voce lirica della Toffanin. Circostanze dall’apparenza comune e quasi scontata si sottraggono vittoriosamente alle parole convenzionali che da sempre le insidiano. Così, nel fiorire quotidiano di una nuova esistenza, attentamente osservata per un anno e oltre nelle sue più impercettibili manifestazioni (nelle mani, nella voce, nei gesti…), si fa strada in lievi ritmi, particolarmente felici, tutta una realtà densa di promesse. Ciò che più rende unica questa esperienza di poesia è l’incontro del particolare con l’universale, della gioia e della “cosmica malinconia”. Questa espressione (“cosmica malinconia”) la traggo da Voce i tuoi occhi, una poesia che si trova alla pagina 64 e che, se permettete, mi piacerebbe leggere qui ad alta voce.

Voce i tuoi occhi

Limpida voce i tuoi occhi
globi di luce abitati
da fiordalisi
schegge di sole erba d’aprile.

Dice cosmica malinconia
al dolore che ti percorre
nelle esili fibre
quasi mistero in te celato
pur sazia e nel tepore del nido.

Dice gioia d’esserci
tra gli altri e le cose
e insieme urgenza
di coniugare in sillabe
la luce-voce dei tuoi occhi.

Ma tu così piccina
già tutto della vita
senti sveli
o è il mio sguardo trepido
che nel tuo legge oltre?

novembre 2006

Bene. In questi versi tutto si regge sulla sinestesia, rappresentata dalla voce degli occhi, cioè dal suono vocale espresso dall’organo della vista. La voce che ai neonati ancora manca acquista significato, parla tramite gli occhi. È, come si legge nel testo, una “luce-voce”. Come vedete, non è una sinestesia forzata, innaturale, astratta. Niente di più naturale della parola degli occhi. Sono occhi dotati di voce, occhi che dicono. Si noti che le due strofe centrali cominciano entrambe col verbo dire (“Dice”, “Dice”). Ma tutto passa attraverso lo “sguardo trepido” di chi può parlare, di chi può osservare, di chi già conosce la vita (col suo dolore, con la sua malinconia, ma anche con la sua “gioia d’esserci”), uno sguardo che si fa anch’esso voce, si fa parola significante, intendo dire che si fa testo poetico, proprio quello che noi abbiamo qui nella sua viva presenza, offerto al nostro sguardo e al nostro udito. La “luce-voce” è dunque l’inaudita parola che nasce dall’amore, a cui dobbiamo la straordinaria facoltà di unire, di fondere in un’unica realtà il bimbo con l’adulto. Questo è uno dei miracoli che soltanto la poesia è in grado di fare.

Tengo a ricordare che in tutto il libro della Daniele Toffanin le emozioni non restano mai isolate, non si esauriscono chiudendosi, isolandosi nella loro autonomia: sono emozioni che sempre si caricano di significato attraverso una loro spontanea fusione con la natura che le circonda e le anima, ottenendo effetti che a me paiono rari e sorprendenti; sono emozioni, sono sentimenti che si inverano nelle “musiche del cosmo” (è il terzultimo verso di Risveglio, un’altra sorridente e molto bella poesia che leggiamo a p. 79). Tutto ciò rinvigorisce la speranza, questa fondamentale virtù che il nostro tempo mette invece a dura prova, avvilendola, deprimendola, se non addirittura negandola. E i bellissimi disegni di Milvia Bellinello Romano offrono al nostro sguardo visioni angeliche di grande suggestione: sono figure che efficacemente accompagnano la nostra speranza verso altre realtà, verso altri mondi capaci di appagare i desideri più profondi del nostro cuore.

Dobbiamo dunque alla Daniele Toffanin (e alla Bellinello Romano) una profonda riconoscenza, un sincero grazie.