Maria Luisa Daniele Toffanin – Un’amicizia tra noi leggera
Appendice 2 al libro
Il sacro e altro nella poesia di Andrea Zanzotto
di Maria Luisa Daniele Toffanin e Mario Richter
(2013)
Piace ricordare Andrea Zanzotto citando l’incipit di una sua poesia Ligonàs I, 1998 da Sovrimpressioni 2001: quell’intimo splendore / di «e’era una volta» e che / da dirupati anni mi resta diviso… per dire l’incanto di un suo paesaggio perduto rivisitato dalla memoria poetica come luogo dell’innocenza rigeneratrice della natura e dell’infanzia.
C’era una volta, riprendo io, una casa a Pieve di Soligo da me ancora bambina in varie occasioni frequentata, identificata poi nella casà di Fratta di Carlino e della Pisana, ritrovata più tardi nei miei ricordi come luogo felice di giochi con l’amica del cuore e il gemello ospiti di nonna Jone, una veneziana, e di suo marito il veterinario di Pieve, un notabile del paese, personaggio molto particolare che un giorno reincontrerò anche nei Colloqui con Nino. Argomenti questi poi di miei racconti al Poeta con divertenti sue battute sulla vita allora giovane nel paese rinverdita successivamente con ironia e nostalgia. Ma al tempo fanciullo nella casa dei giochi, delle passeggiate lungo il Soligo con i miei amici gemelli, ignoravo l’esistenza di un poeta lì in quel di Pieve (era di quegli anni, 1951, l’edizione di Dietro il paesaggio) piuttosto si parlava di Toti Dal Monte, come abitante insigne, nome a me caro perché già da piccola amavo ascoltare la mamma che cantava note romanze. Solo più tardi scoprirò in idioma una poesia in solighese dedicata a lei. Quella casa, quelle dolci colline, così simili ai miei Colli intensamente frequentati con i miei genitori e loro amici, erano per me luogo di magia, dell’innocenza fanciulla, luogo altro della storia di una grande amicizia che ha superato barriera della morte, luogo che sarebbe diventato per me scrigno prezioso della poesia, terra eletta del Poeta. Ma tutto ciò mi riaffiorò in modo nitido, vivo alcuni decenni dopo nella prima visita-viaggio ad Andrea Zanzotto che determinò la nostra amicizia leggera.
Appena lasciato il mondo della scuola, come responsabile culturale del Centro di orientamento di Abano dell’Associazione Levi-Montalcini, organizzavo per i ragazzi delle superiori di Abano e Selvazzano, incontri culturali nell’ottica che proprio la qualità della cultura potesse offrire ai giovani altre aperture per una scelta scolastica e professionale più consapevole. Amando io la poesia, ho quindi contribuito perché insegnanti e studenti conoscessero dalla voce di critici validi quali Richter e Ramat, poeti come Valeri, Montale, Saba, Sereni… o potessero perfino confrontarsi con personaggi come Camon, Ruffato e Zanzotto, autore all’epoca ormai notissimo e affermato. Ed ecco l’occasione dell’incontro-amicizia leggera con il Poeta di Pieve di Soligo a lungo corteggiato con infinite telefonate per concordare il mese, il giorno, l’ora dell’evento: l’insonnia gli impediva di programmarlo in maniera definitiva. Quasi persa ogni speranza , da un giorno all’altro, mi fissa l’appuntamento con l’Istituto Alberti di Abano per il 9 maggio 2000 ore 16. Eccitazione nella scuola alle stelle, eccitazione in noi per il viaggio di andata e ritorno a Pieve con un personaggio di tale spessore, noto ma sconosciuto. Di cosa avremmo parlato? Avevo già avvertito però, nei nostri colloqui telefonici e in altre occasioni culturali a Padova, la sua immensa umanità e capacità di avvicinarsi agli altri. Ma in macchina il contatto personale era ravvicinato e quindi creava una certa perplessità. Tutto invece si svolge in modo piacevole spontaneo chiacchierando come vecchi amici degli scopi dell’Associazione, dei ragazzi e della loro attesa, delle letture delle sue poesie e di altri temi, come l’ambiente, con quella sua parlata dolce e cantilenante della marca trevigiana. Questo all’andata, e al ritorno un’appassionata sua constatazione sulla distruzione dissennata del paesaggio ad opera di una cultura industriale cieca; qualche commento positivo sull’incontro e sui giovani con breve sosta ri
focillante a Cittadella e un pensiero comune all’amico Rebellato che l’ora tarda impediva di incontrare. Viaggio rivelatore di quell’amabilità del Poeta, così lo chiamerò sempre, verso gli altri: quasi un approccio affettuoso percepito già nella sua poesia e lì dilatato in amorosa comunicazione con la natura e la presenza umana. Ma è dell’uomo che voglio soprattutto parlare, non del Poeta di cui conoscevo le singole opere raccolte in Le poesie e prose scelte, Milano, Mondadori, 1999. E sento che nell’incontro con gli studenti manifesta tutta la capacità anche di docente di conquistarne la fiducia entrando nella loro età con il proprio vissuto attraverso racconti vivaci di vita paesana, della giovinezza, con amici, personaggi molto estrosi di Treviso e Pieve di Soligo. Sa modulare così il suo discorso sul registro giusto come già aveva fatto in altra occasione con gli studenti del dipartimento di romanistica dell’Università di Padova, su invito di Mario Richter. Cattura in questo modo l’amicizia e l’attenzione dei ragazzi prima di inoltrarsi su altri terreni quali le responsabilità del secolo che sta per finire privo di attese, di quella festosità da lui sperimentata, con spazio ridotto alla poesia, con degrado del paesaggio veneto e della sua lingua in una perdita di identità. E incita i giovani ad usare il proprio cervello che ha aperture impensabili, ad accostarsi agli stupori della conquista scientifica e del suo linguaggio, ma anche a quello della poesia che non solo è musicale ma anche universale, capace di rivolgersi a tutti con messaggi, proposte, risposte sempre nuove. E confida il suo progetto di dare vita ad un libro di paesaggi e figure venete, proprio quello che ho qui tra le mani Colloqui con Nino, amico contadino, già esaltato in Le profezie di Nino (La Beltà), come canto-inno ad un mondo agreste ormai desueto, perduto. E parlava parlava con tono basso, suasivo, con amabilità e dolcezza usando un linguaggio colto, fiorito di citazioni ma comprensibile ai giovani. Il loro denso silenzio testimoniava la comunione d’anime realizzata, dirà il poeta nel viaggio di ritorno, non dalla sua persona, ma dal loro fiducioso abbandono alle sue parole. E qui riaffiora il segreto del suo cuore sempre umile, donato agli altri con semplicità.Solo sollecitato da un insegnante interrompe il suo conversare e legge la poesia, di cui ricordo ancora il titolo Per la finestra nuova (Ecloghe), illustrando l’occasione che generò il testo: l’apertura di una finestra sotto la scala di una parete di casa . E la spiegazione dell’autore fa vivere ai ragazzi lo stupore di un paesaggio di terra e cielo, vegetazione ed astri che penetra d’improvviso in casa dilatando in attesi orizzonti. Anche la realtà quotidiana diventa poesia e conquista nuovi universi con una speranza di rinnovamento. E qui si potrebbe, a distanza di tempo, ricordare che secondo la Szymborska proprio la quotidianità, le piccole cose sono sublimi come se nascondessero in sé il miracolo, la poesia. L’incontro si conclude così, ma per i ragazzi continua in nuove pagine da scrivere con i loro insegnanti su un momento di vita scolastica irripetibile, indicibile, indimenticabile: l’incontro con un grande Poeta che dalla sua Pieve di Soligo sa scrutare l’anima, esplorare il paesaggio ricercando il vero, seguire la scienza , il progresso confrontandosi con gli aspetti più innovativi, avvicinarsi ai giovani nelle loro problematiche. E molti dei temi qui toccati, radicati nel suo profondo sen tire, diventeranno, ampliati, argomento di coinvolgenti conversazioni In questo progresso scorsoio.
L’evento scolastico, riportato in un eterno presente, anche per me non si è concluso alla fine del pomeriggio, ma ha dato l’avvio ad un’amicizia tra noi leggera tramata di visite a Pieve nella sua accogliente casa, abbracciata in settembre dai topinambùr, vivi in molte sue poesie, con mazzi di alchechengi e ortensie essicca te, memoria estiva raccolta in vasi o appesa alle pareti. Mia gran de passione! E rivedo il suo venirci incontro sulla soglia di casa (la porta era sempre aperta), il suo cortese accompagnarci il commiato: nello sguardo, nel sorriso ogni volta scoprivo la dolcezza delle sue colline come se, per una fusione amorosa, gli elementi del paesaggio si fossero stemperati nei tratti del suo volto. Ci riceveva nel suo studio al piano terra, con vista sul giardino, talora insieme alla moglie Marisa. Poi nello scorrere degli anni i luoghi dei nostri incontri sono mutati come soste diverse della nostra umana storia che ugualmente rimane dignitosa. E rivelava sempre attenzione alle persone, ma anche a ogni libro che gli donavo commentato con frasi concise, chiare “c’è del buono . . . qui c’è vera poesia”. Occasioni in cui gli chiedevo consigli sull’arte della scrittura: “bisogna fermarsi in tempo, non esprimere tutto… però lei la riconoscerei tra mille”. Momenti festosi per l’affettuosa accoglienza, preziosi per l’intensità delle conversazioni che si aprivano a ventaglio su una varietà di argomenti: i giovani drogati vittime di un presunto benessere, di una società indifferente alle loro reali esigenze, il degrado ambientale di Pieve di Soligo e dintorni, i luoghi di villeggiatura, gli scherzi paesani. Ricorrente era appunto il racconto di scherzi organizzati tra amici del paese e diramati da un postino in bicicletta che portava gli annunci ai componenti l’allegra compagnia. E nel racconto la giovinezza intera gli illuminava gli occhi. Ritornavi a casa con una tessera in più per ricostruire l’infinito mosaico della sua personalità. Un’amicizia tessuta di partecipazione ad eventi culturali come il premio Cittadella organizzato da Bino Rebellato, ai festeggiamenti per i suoi compleanni o per onorificenze a lui attribuite. Ricordo solo Cittadella per aver riunito il gotha della poesia, Solighetto per la presenza di una folla smisurata, Padova per l’ufficialità della cerimonia, Sernaglia della Battaglia per la festaspettacolo in onore del suo ottantasettesimo genetliaco, eventi che solo la sapienza e la tenacia della signora Marisa sapevano organizzare perché quando si parla di poesia tutto diviene difficile. Fu splendida raffinata rivisitazione di tutta la sua opera realizzata con video, letture di testi, musiche e conversazioni interpretate da nomi del mondo artistico di grande prestigio. E il Poeta manifestava tutto il suo piacere di vederci, ma anche la sua iterata stanchezza per questi rituali che lo spaesavano.Un’amicizia vissuta in molti incontri perfino ad Abano Terme per una cura termale insieme alla Marisa. Cura mai completata per la sua, mi confiderà poi, insofferenza per i cambiamenti di orari e dei ritmi domestici. Un’amicizia attraversata da tante telefonate in cui si parlava delle sue opere in cantiere, delle novità della scuola di Abano, di amici comuni come Cesare Ruffato e Bino Rebellato, dei primari di Treviso, dei nostri gatti, del tempo e ultimamente dei nipoti.
In particolare ne rammento due diverse per i contenuti, ma uguali per verità ed intensità. Un pomeriggio d’autunno, dilavato dalla pioggia, guardando i Colli tutti grigi, il mio pensiero corre ai vigneti fradici di Pieve come li avevo visti nell’ultima visita ad aprile, e faccio un colpo di telefono al Poeta per un saluto e un ragguaglio meteorologico. Benedetto telefono con le voci vive che manifestano gli umori , i vari gradi di malinconia! E così notifichiamo la medesima situazione della pioggia e ci scambiamo notizie reciproche sulle nostre meteoropatie. Ad un tratto mi chiede di indovinare con chi stesse giocando. “Con la gatta” rispondo io: ed era vero. E lui a raccontarmi delle reazioni ai suoi giochi con la matita della pacifica felina che immaginavo stesa o raggomitolata sullo scrittoio del suo studio come l’avevo vista tante volte: una gatta chiara, solenne, matrona. Ed io a dirgli dei miei gatti uccisi, con grande sofferenza anche di mio figlio, dalla derattizzazione del quartiere, e della conseguente mia decisione di non ospitarli più in casa. E così quel pomeriggio di pioggia ci siamo fatti piacevole compagnia in argomenti non trascendentali ma quotidiani, intrisi però di poesia. Perché è la quotidianità, abbiamo insieme ancora una volta concordato, che offre stupori minimali che solo il poeta sa cogliere. Una telefonata vera in cui ognuno era se stesso, trasparente all’altro: ne annotai allora le frasi più significative, ma trovare quel foglietto ora è pura follia, nella mia casa di carta.L’altra telefonata è davvero unica, indimenticabile: avvenne quando era già in stampa (2002) la mia silloge Per colli e cieli insieme mia euganea terra di cui gli avevo precedentemente portato il manoscritto. Sentita questa notizia mi consigliò di aspettare. Fu lui a chiamarmi dopo un giorno dicendomi di scrivere: era la sua postfazione per sua volontà inserita in quarta di copertina. Fu un momento per me di un’emozione indescrivibile. E ci fu un carteggio fra noi non comune perché voleva conoscere la prefazione di Richter, rivedere il suo testo, sistemare le virgole. Tale era il suo stile non per una tensione alla perfezione, ma per una ricerca continua di Beltà. Questo è stato il più grande dono, segno di amicizia alla mia poesia. Dopo ciò, per non abusare della sua gentilezza, non gli chiedevo più il giudizio sulle sillogi edite che gli regalavo: temevo di sottrargli del tempo prezioso. Era lui che, dopo avermi letto, esprimeva spontaneamente il suo verdetto. Preziosa la sua presenza rassicurante nella mia scrittura, ma anche nella vita perché mi insegnava sempre qualcosa: la puntualità, il rispetto, l’attenzione per gli altri; la sua assenza di presenzialismo pur nella autorevolezza di cui godeva ormai ovunque. Ricordo un suo rimprovero telefonico: un’estate (2007) lo raggiunsi, sempre previo appuntamento, dalla valle agordina con un mazzo di genziane asclepiadi che accolse, per un atto di gentilezza di fronte ai presenti, senza esprimere la sua disapprovazione che fu vivace invece al telefono: mi ero appropriata di fiori protetti che appartenevano ai boschi e ai prati, in un certo senso non avevo rispettato Il Galateo in Bosco.
Una trama quindi infinita di conversazioni a Natale, a Pasqua, per il suo compleanno, per felicitarmi di qualche sua opera appena edita. Penso ai Colloqui con Nino che creò tra noi molti contatti per la sua diffusione, a Sovrimpressioni e Conglomerati. Quest’ultime erano oggetto di amare sue riflessioni su paesaggi perduti come Dolle, il feudo di Nino duca della Rosada di Rolle, a causa dell’inganno del nostro tempo, e così si ripercorreva il cammino ambiguo del progresso scorsoio fino all’altra triste realtà dell’infanzia tradita. Gli illustravo l’intenzione di raccogliere poesie sui bambini offesi di tutto il mondo: lui ascoltava il mio dire appassionato, io ammiravo il suo impegno civile sempre vigile e la sua fede costante nella poesia. Mi congratulavo anche per le testimonianze apparse sui giornali e trasmesse per radio. E lui se ne compiaceva molto. A volte non aveva voglia di intrattenersi telefonicamente: avvertivo la sua malinconia, sentivo che non stava bene. Avevo così diradato questi appuntamenti per rispettare i suoi disagi, per non distoglierlo dalle sua cose. L’ultima visita però fu bellissima: parlammo a lungo con orgoglio dei nostri nipotini e del privilegio di vedere in loro la continuità della nostra vita mentre un giovane gatto nero, da educare diceva, deambulava sullo scrittoio. In quel momento ritrovai in lui intatta tutta la sua carica di umanità, ma percepii anche che era affaticato e aveva bisogno di raccogliere i suoi pensieri. E così poi chiedevo notizie della sua salute alla moglie o a qualcuno di casa come ho fatto in ottobre, tre giorni dopo il suo novantesimo compleanno: stava già poco bene, forse stressato dagli stessi festeggiamenti, rituali temuti ma anche amati. Avrei dovuto riprovare, secondo gli accordi, dopo una settimana proprio quel 18 in cui le nostre telefonate cessarono per sempre. Nel momento del consuntivo, però, mi rimane dentro il vuoto per un incompiuto: il progetto, proposto anche da mio marito, di una passeggiata: insieme per i Colli Euganei: occasione stupenda per condividere l’affezione ai miei colli a lui cari per l’armonia e l’energia della natura, per la bellezza della cultura e della spiritualità che da secoli li attraversa. Occasione solo virtuale perché la vita ti domina con i suoi ritmi imprevedibili, ma che considero ora come realizzata nella sua postfazione alla mia silloge Per colli e cieli insieme mia euganea terra.
Piace ricordare proprio nelle pagine di questa rivista1, di cui il Poeta diceva “c’è del buono”, solo alcuni momenti della nostra amicizia leggera in cui si è manifestato il suo stile di vita aperto nell’amabilità del dire, nell’attenzione alle persone, teso alla lettura delle evidenti contraddizioni del nostro tempo, alla ricerca di verità e bellezza, stile di vita riflesso tutto nella sua poesia. In essa vibra la sua anima arcana nell’abbraccio devoto alla purezza primordiale della natura e dell’infanzia, per citare solo due aspetti del suo mondo poetico, la sua anima giovane sapiente nella ricerca di un linguaggio che, nella sua complessità e ampiezza, è voce universale, cifra unificante tra gli uomini.
In questa grande Assenza vorrei spargere sulla soglia della casa, sullo scrittoio del suo studio gli stessi fiori del suo giardino che lo hanno accompagnato nel viaggio estremo: alchechengi, ortensie, lunarie essiccate, raccolte nella mia casa, e topinambùr trattenuti dai Colli Euganei, come segno di affettuosa condivisione, di profonda devozione al Poeta di Pieve di Soligo vivo nella sua poesia tesa nell’arco dell’eternità.
1 «La Nuova Tribuna Letteraria», n. 105, 1° trim . 2012, pp. 11- 14.