Giuseppe Ruggeri – L’attesa perlata di stelle e rugiada

L’attesa perlata di stelle e rugiada

Ha le sapienti cadenze del “Poema paradisiaco” dannunziano – rivisitate tuttavia da puntuali e ineludibili consonanze post-moderne – l’ultima silloge poetica di Maria Luisa Daniele Toffanin, permeata di una sensiblerie raffinata che attinge alla migliore tradizione novecentesca giocata su introspezione e attesa. Un’attesa che dà il titolo alla plaquette – L’attesa perlata di stelle e rugiada, appunto – anche perché l’intera raccolta è un canto d’aspettazione, trepida ed esultante, dinanzi all’eterno mistero della vita.

Ma il paradiso della Toffanin di quello dannunziano, pagano e immanentista, ha ben poco, salvo i ritmi che scandiscono, con esperta musicalità, l’abbraccio di una natura che ama e che è riamata in un mutuo flusso generatore di profonde e consapevoli trascendenze. Una natura che qui s’incarna nel canto d’una nuova esistenza – un bambino che alla poetessa è intimamente legato da vincoli di sangue, un nipotino che rende il suo cuore “più giovane” negli abbandoni e le tenerezze che segnano l’irripetibile esperienza d’una nonna. Antichi giardini e annunci floreali fanno da cornice all’ingresso del nuovo nato, celebrato dai suoi cari in un tripudio di stelle e lune e angeli al quale partecipa, nella sua più intima essenza, il Creato stesso. Ed è un “beato stato di grazia” a fare da contrappunto all’attesa “perlata di rugiada” che precede l’evento, un sentimento che non ha nulla di umano costituendo, piuttosto, un ideale fil-rouge ancorato all’Eterno.

Donde si disvela, in tutta la sua dirompente e gioiosa energia, la profonda religiosità della Toffanin che, nel suo effondersi, include senza riserve ogni singolo frammento cosmico. Una religiosità grazie alle quali vibrazioni incessantemente percepite dalle fibre dell’anima “dal sonante rumore delle ore / discreta nel vento / ci parla la Voce / del dono-bene posseduto”. E a chi scrive piace infine menzionare che dai dolci rilievi euganei il canto terso della Toffanin è giunto fino alla Sicilia, isola alla quale sappiamo ella essere particolarmente legata e dove, nell’estate scorsa, proprio per questa silloge è stata fra i tre finalisti dell’ottava edizione del Premio “Angelo Musco” disputato a Milo, nel verde ombroso delle pendici dell’Etna.