Flavia Buldrini – Il sacro e altro nella poesia di Andrea Zanzotto

Il sacro e altro nella poesia di Andrea Zanzotto

Questo libro è un omaggio all’illustre figura del poeta Andrea Zanzotto, ricostruita attraverso le testimonianze di chi ha avuto il privilegio di conoscerlo personalmente, nella sua umanità umile e schietta da cui ha origine la sacralità della sua poesia. Nel suggestivo scenario dell’Abbazia di Praglia, ove riecheggia la solennità dei suoi versi, in occasione del convegno a cura dell’Associazione Levi-Montalcini, è proprio il sacro che s’investiga quale nucleo centrale della sua poetica. Il sottile misticismo che pervade i testi aderisce alla realtà come un habitus che sostanzia di un senso ulteriore ciò che è invisibile agli occhi. Silvio Ramat lo individua nel lessico, che pullula di riferimenti biblici, mescolati alla mitologia pagana e a quella legata all’“aria natia”, in cui si celebrano i mistieròi, i cari defunti, “anime sante e bone”, oltre ai personaggi singolari, come Pasolini. Anche la Storia, intinta del sangue degli uomini, nel suo calvario di sofferenza e nelle sue morti drammatiche, si nutre del sacrificio degli eroi della “Grande” guerra – a cui aveva partecipato anche il padre di Zanzotto – e della Resistenza: “La storia si consacra – prima o dopo – riversandosi in natura; e se il respiro dei suoi attori – e quello, specialmente, delle sue vittime – si fonde al respiro della terra, questa è la più religiosa delle soluzioni. Favola pagana e cultura cristiana – poeticamente – vi si conciliano.” (Silvio Ramat, Osservazioni intorno al “sacro” nella poesia di Andrea Zanzotto).

Francesco Carbognin nella sua indagine risalta il gioco dei contrasti negli stilemi che suggeriscono l’“ambivalente sfera del sacro”, ciò che è “augusto e maledetto”, “degno di venerazione e che suscita l’orrore” insieme, là dove, mediante violenti ossimori, si nega ciò che al contempo si afferma, attraverso il “paradosso della parola”, come si esprime lo stesso Poeta: “uno stilo che si conficca […] all’interno della realtà profonda di una persona e la distrugge, la rende esangue, la dissangua”, poiché le parole “sia lungo la deriva analogica dei significati sia lungo quella fonico-ritmica presieduta dai significanti, compiono il gioco della loro vita.” Ecco alcuni esempi che il critico cita ad hoc: “linguaggio corrotto e assoluto”, “tanta menzogna, forte / come il vero ed il santo”, “ricchissimo nihil”, “vacua- / superna lingua”, “Oci de bissa, de basilissa.”

Espedito D’Agostini sottolinea l’ispirazione religiosa di Zanzotto, proprio partendo da un’affermazione dello stesso: “la poesia è imparentata in maniera molto ardua (e tortuosa, e spesso fatta di contrasti) con la vita mistica, la religiosità.” A tal proposito David Maria Turoldo ha una definizione alquanto incisiva per il suo ‘collega’: “rabdomante del mistero della lingua.” Il critico risale alla sorgente di questa profonda tensione mistica: “È insomma una religiosità vera, / se non la religiosità, quella che si traduce in devozione, / in donazione di sé, / delle proprie risorse, energie e genialità che danno consistenza e continuità a espressioni costruttive della vicenda comune, universale, attraverso l’attenzione alle proprie particolari condizioni territoriali.” (Espedito D’Agostini, Rivisitazioni della religiosità di Andrea Zanzotto). La sublimità spirituale del Poeta si effonde dall’aura sacrale che trasfigura i suoi versi: “Sediamo insieme ancora / tra colli, nella domestica selva. / Tenere fronde dalle tempie scostiamo, / soli e cardi e vivaci prati scosto / da te, amica. O erbe che salite / verso il buio duraturo, verso / qui omnia vincit. / E venti estinguono e rinnovano / e ogni volgere d’ore e d’acque / le anime nostre. / Ma noi sediamo intenti / sempre a una muta fedele difesa. / Tenera sarà la mia voce e dimessa / ma non vile, / raggiante nella gola / – che mai dovrebbe toccare – / raggiante sarà la tua voce / di sposalizio, di domenica.” (Ecloga II La vita silenziosa).

Mario Richter, che ha avuto modo di conoscere da vicino il Poeta e di presentarlo anche ai suoi studenti di letteratura francese, incantandoli con una splendida lezione, nota un aspetto molto importante della sua religiosità: “Dico subito che solo l’umiltà consente un effettivo accesso al sacro. (…) Questa posizione nasceva dalla sua onestà intellettuale, dal rifiuto di ogni presunzione, nasceva dall’estremo rispetto che egli aveva per tutto ciò che esiste, e dunque anche per il divino, per il trascendente, la cui ricerca egli avvertiva appunto reale e insopprimibile come il respiro. Il suo maggiore timore, nei confronti di Dio, era quello di ridurlo alle nostre esigenze, di farne una nostra personale creazione, un Dio fabbricato per la gratificazione delle nostre speculazioni teologiche o dei nostri fantasmi, un Dio dissacrato: insomma temeva di farsi un Dio a proprio uso e consumo, ossia un idolo, una sua gratificante creazione, biblicamente un vitello d’oro.” E rispetto alla degenerazione della religione, il fanatismo, Zanzotto profilava questa lucida diagnosi: “Il fanatismo, tanto per restare a un’emergenza dei nostri giorni, che cos’è? È sentire sé stessi – non Dio se stessi – come depositari di una infallibilità, di conseguenza è proprio il contrario di quello che dovrebbe essere una religione.”

Antonio Daniele, invece, propone un’altra angolatura: la rivisitazione dei Colli Euganei (leitmotiv anchedi altri scrittori illustri come Petrarca, Foscolo), tanto amati da Zanzotto, il quale invocava la tutela del paesaggio naturale contro le turpi prevaricazioni dell’uomo. Ecco alcuni versi dedicati dal grande poeta a questo luogo incantevole: “I colli in cui si tacquero / le torbide età prime, / i colli che s’allentano e si stendono / nelle beate rime / nei sospiri e negli ozi dei poeti, / i colli che l’autunno rende lieti / di compiute ricchezze: / qui tra le linfe ardenti / per cui si tinge di cupo valore / la fredda ombrìa di valli e di torrenti: / ecco anche a me riservano un profilo / unico, rinascente tra le brezze, / difficilmente indovinato, come / di se stessi il profilo s’indovina.”

Struggente è la lirica Sopra i colli di Este, in cui Zanzotto evoca un improbabile incontro col fratello ormai estraneo alla vita terrena, nel medesimo suggestivo scenario, che è come un archetipo d’inviolata e sacrale bellezza: “Forse movendo in poco lembo di spazi / ad altre terre in / questo soffocante dover essere, / situarmi nel futuro non tuo / sempre più al largo o all’addiaccio – / fratello, oggi col piede rivolto a più / soleggiati e scabri colli che i nostri / proni da sempre ai diluvi, / tra olivi con stupore, entrambi ombre, ci rinveniamo / individuiamo altre, altre svolte, / tra sulfurei, sepolti dèi / disseminati in frotte, / tra erose ma pur delicate / pervadenze e insinuazioni del verde, / tra seriche stasi e secche, tra sorreggenti veri?” (Sopra i colli di Este).

Nell’Appendice, Un’amicizia fra noi leggera, Maria Luisa Daniele Toffanin, curatrice dell’opera insieme a Mario Richter, delinea un delizioso ritratto di Andrea Zanzotto: un uomo buono e umile, che accettò generosamente d’incontrare gli studenti delle Superiori di Abano in cui la docente aveva insegnato, – e in cui, in quel tempo, come responsabile del Centro di orientamento dell’Associazione Levi-Montalcini, organizzava incontri letterari -, conquistandoli immediatamente con la sua spontaneità e capacità affabulatoria. La poetessa serba gelosamente il ricordo di incontri personali, intessuti di scambi culturali e amicali, e questa privilegiata frequentazione le consente di cogliere l’anima stessa del Poeta: “solo alcuni momenti della nostra amicizia leggera in cui si è manifestato il suo stile di vita aperto nell’amabilità del dire, nell’attenzione alle persone, teso alla lettura delle evidenti contraddizioni del nostro tempo, alla ricerca di verità e bellezza, stile di vita riflesso tutto nella sua poesia. In essa vibra la sua anima arcana nell’abbraccio devoto alla purezza primordiale della natura e dell’infanzia, per citare solo due aspetti del suo mondo poetico, la sua anima giovane sapiente nella ricerca di un linguaggio che, nella sua complessità e ampiezza, è voce universale, cifra unificante tra gli uomini.”