Angelo Ferrarini – Dell’azzurro ed altro

Dell’azzurro ed altro colpisce subito per la qualità della scrittura nitida e pulita di Maria Luisa Daniele Toffanin, sulla quale è possibile esercitarsi alla ricerca di terreni comuni, di sensibilità da condividere. La veste editoriale conferma questa scelta con la grazia e il profumo della pagina leggermente dorata e la sovraccoperta blu che avvolge e chiude un segreto e l’acquerello di copertina di Mario Massioni.

Ed ecco il titolo portare il lettore in contesti spiazzanti, di sogno o di ricerche giocose, non “utili”, come la poesia (ma non futili). Segue una conferma nella prima raccolta, “Acquerelli” (p. 11-24, 12 liriche), e nella prima lirica Acquerelli d’amore, dove ritornano i colori e i loro guizzi, dove la poesia diventa acqua ardente / di parole nuove, forse un liquore che brucia ma che risponde alle nostre attese di senso.

Insisto sul senso, il significato, che ci manca, oggi, nella congerie di messaggi e comunicazioni: è il lettore che dà senso, ma il contesto in cui si realizza l’esperienza testuale è viziato dall’intertestualità: niente si riceve, si dà o si legge in forma pura, assoluta, sciolta da. E temo di non capire a fondo anche questa Poesia o di interpretarla in modi altri o alterati.

Del resto questa è la magia o dannazione del lettore (vedi Daniel Pennac), che ridà voce nuova a un testo asciutto, a un letto di torrente ove un brulicare denso può tornare a riavvolgerlo o sommergerlo. E i testi brevi sono meditazioni su termini ricorrenti, ove di nuovo c’è guizzo di passato, di nuovo è possibile sentire i colori.

Vado qua e là per le parole come pellegrino o romito che cerca una conversione, una conferma o un gesto assolutorio. Tutti ci si trova oltre il tunnel e si fa un bilancio del proprio viaggio in mezzo ai colori della vita. Una speranza non ingenua, non aprioristica facile conquista, ma un nuovo vedere dopo il buio i colori del sole. (vedi anche Svaporano i colori a fine raccolta).

E sono colpito, come lettore ogni volta, dalla novità del disporre i segni verbali: le foglie pazienti a morire, e noi staccati dalla pelle della terra. Oppure mi faccio prendere da un frammento di racconto (nell’ora / che ai gabbiani / donato il cielo) o di immagini surreali (conchiglia candida / in alto sospesa). La pittura è sempre presente, attorno, dentro. Anche il testo è arricchito di leggere visioni venete a china di Marco Toffanin, disegni che commentano con trame di acque e cielo i testi intrisi della stessa pasta cromatica, della stessa sostanza, un bell’esempio di poesia radicata.

lo credo che sia qui il Suo segreto poetico: in questa capacità di novità e didensità leggera nel giro di nuovi accostamenti. Forse a anche il destino delpoeta moderno. Tutto sembra già detto, che cosa ancora dire e come? La risposta può venire dalle Rondini riunite / in riti tribali / antichi (vedi anche cicale in riti delle ore calde, testimonianza come altrove di amori personali per suoni e lessico famigliari) o da frammenti filosofici: un’idea solo pensata. Che cosa è un’idea solo pensata? Niente. Il turbinio / di un attimo.

E dov’e l’autrice? Si nasconde dietro queste immagini e lascia che il lettore si identifichi con una biografia solo interiore? Voli, colori, azzurro riappaiono pieni Nell’aria leggera o insieme alla conchiglia in Fiamma di ribes. La capacità di astrazione diventa quadro e racconto in Pensiero dove sembra di seguire con gli occhi dell’anima le girandole, il vento, i fili di vita.

Alla fine della prima raccolta si trova il segreto della passione, le nuvole che si gonfiano, il rosso del tramonto che si trasforma in cuna, e l’immagine famigliare dei Colli femminili nei loro fianchi sinuosi. Così finisce in un lievitare di emozioni questa poesia di ricerca e di risposta. La vita sembra ritornare sempre senza traumi ma con certezze interiori.

Le stagioni dell’azzurro è il titolo della seconda raccolta (p. 27-44, 18 liriche). Stagioni della vita e dell’anno, tempi della natura e del disfarsi dei colori e delle cose attorno e dentro noi. Il magico rito dei bioccoli del pioppo, il volo della palla ma ora in strade diverse, il giro della trottola piegato a cerchio non finito: il poeta si abbandona ai ricordi, diventa persona viva con una sua biografia e dalle cose passa alle immagini dei giovani che stringono nelle mani l’infinito, all’amore che si apre leggero e par che ritorni attorno a un antico lago. Ma Ha camminato il tempo e, mentre muta il paesaggio attorno, gli occhi di foglia, o gocce di cielo, segnano la sostanza dei ricordi.

Dai ricordi si passa al desiderio di rinnovare le sensazioni di un tempo, e sempre con giochi di parole tra il fiabesco e il sogno: c’è una volontà di dire e di non dire, di nascondersi nelle immagini, mai rutilanti e scomposte, sempre avvolgenti e chiare nel loro alludere (Si farà melograno). La sera assorbe tutte le immagini e le ripresenta possibili e vive: i desideri si accendono di un ultimo bagliore nel lento spegnersi dell’ora (Preludio).

La biografia intravista in alcuni cenni (già si è detto dei giochi, ma potrebbe trattarsi di una biografia simbolica; vedi invece Carezza di velluto) si solidifica nell’immagine dei padre che nella casa del sole / moriva ogni giorno un poco. E’ ancora un indulgere ai ricordi, ma subito dopo si risponde: mi basta l’oggi, anche se le immagini antiche del maggio, delle lucciole, delle sere attirano con fascino sempre rinnovato (Con stupore fiorito).

Poi improvvisamente si ritorna all’azzurro, al quel taglio di cielo (vedi primaL’azzurro, p. 33) che rende possibile una rivelazione: dalla storia comememoria interiore trasfigurata si passa all’Eterno, alla Parola da lontano a noi/ svelata in un angolo di luce. La natura e la vita in unità di annunciazione: è un eterno a nostra misura, che ci rassicura delle perdite e delle attese. La poesia è questo eterno che ci risponde e consola con il suo riassorbire le immagini, le Visioni arcane / sempre presenti (Grido di gioia)?. Si vive ovviamente di parole ma anche di situazioni interiori, di eteree geometrie, che accompagnano il nostro andare. La conferma di questa operazione vitale, di questo poetare per vivere e vivere per poesia, viene dall’ultima strofa di A scoprire il mistero: E ancora si va / per tratturi non noti / da oscura forza spinti / a scoprire il mistero / che il pensiero smarrisce. Commentare può sembrare banale, ma la parola si aggiunge alla parola per continuare una suggestione che il lettore coglie.

Il vortice continua potenzialmente, ruotano stagioni e sogni, e anche le parole potrebbero non finire di comporsi, come le onde dei ricordi. Non dirmi che il tutto / è un vortice pazzo / e null’altro. C’è una chiara coscienza dell’operazione che sta avvenendo con la pagina e con le parole, del senso che la poesia (canti-frammenti) ha in mezzo al buio di chi vive.

Un’apparente levità dunque, e una chiara coscienza di ciò che ci aspetta e circonda. La poesia come risposta, essa stessa e per se stessa parola di speranza accesa per chi scrive e per i suoi immediati destinatala La sezione si chiude con l’invito alla dolce illusione d’essere / nel giorno che mai nonmuore.

La terza sezione (Assonanze, p. 45-62, 16 liriche) si apre con una coscienza più decisa della scrittura in rapporto alla vita: Schegge di pensiero / strappati al non senso. Questo andare diventa assonanza pura, stupore / di ogni incontro, certezza di un tu che accompagna e rimane oltre le sagre dell’indifferenza, nelle vendemmie / acerbe delle attese. La vicenda biografia (anche se paradigmatica nel suo linguaggio universale) irrompe nella Trama di pensiero: ci sono i figli e i fardelli lasciati loro. La Casa-cuna entra ora con chiaro contorno, con la sua sicurezza, con Mia madre la gran fiamma e le Ali – parole di angeli che aleggiavano intorno.

In questa poesia qualcosa a poco a poco sembra farsi evidente: la necessità che parole rispondano ad altre parole interne, Ora che mi sento chiusa in un tondo d’angoscia (come non ricordare la trottola della seconda sezione?). Anche il lettore concorda: ‘ questa leggerezza dichiarata è un sogno, una memoria, un lontano cielo che si vorrebbe evocare con la parola e con il segreto dell’allusione.

E la parola pia accesa è questo Dio / mio mistero. La dichiarazione a arrivatacon le pagine: la poesia si fa esplicita aspirazione a un Eterno che acquistaun nome, Dio e che si rivela: Ed io resto stranita. E’ l’apice delle assonanzesentite e cercate. Poi la sezione ritorna su temi naturalistici sempre visti però in chiave (il simbolica tramonto è l’immagine della luce tante volte scordata in fondo al calice del giorno). E la sera e il sole dominano immagini e desideri, dove perfino una città, precisa ma anche idealizzata, si evoca per continuare le possibilità di un sogno (Venezia non morire).

E’ solo una breve deviazione: la terza raccolta finisce assorbita nella accettazione che le parole si risolvono in un Amaro silenzio dei canti. L’ultima lirica sigla e chiude questa veloce corsa sui fili del sé e invita: Fermati tempo la / a sentire me viva dentro / nel chiostro del mio silenzio.

Una poesia religiosa in senso ampio e universale, come desiderio di un significato che va oltre le parole forzate a dare una risposta, mai gridata, ma tenue di acquerelli, pur tuttavia non ultima, perché alla fine c’è il silenzio della fine e il silenzio di una rivelazione che si desidera, che si intuisce, che in parte si conosce ma che si spera di ri-conoscere.. Questo era il senso dell’azzurro intravisto inizialmente.

Di fronte a questa identità sembra di minore rilievo indagare fonti ed echi, che pure esistono insieme a qualche citazione (se pure abbia un senso dichiarare la provenienza dannunziano del figlio dell’aria, p. 27 o del noti tratturi, p. 42, di picchi alla Montale, p. 17 o di gomitoli ungarettiani), o preferenze lessicali e stilistiche.

C’è una coscienza dei mezzi poetici, una ricerca di ritmo, di suoni,con un uso personale del registro poetico, una preferenza per il giro breve dell’impressione. Come del resto il ritorno di temi e termini cari fa dei 62 canti un canto lungo e avviluppato su una chiara riflessione.

Chiude il libretto una nuova raccolta (p. 65-80, 16 liriche, con molte dediche), da titolo e dalla apparente natura di appendice…, da cui prendo solo alcune formule: sacro è della notte il parlare. La scrittura si fa distesa, ampia e discorsiva, quasi un dialogo con le figure intime della madre e del padre o di altre della famiglia, e ritorna insieme quel parlare per visioni concise: E penetra in me dolente / il gemere delle tue mani, oppure: Tuoi gesti / in me rimasti / quasi ali canti / confusi in gabbie / tristezze lontane.

Con questa immagine delle ali e dei canti (che richiama le Ali parole, p. 53) mi sembra che si possa interrompere un chiosare frammentario (e, come ogni parlarci, incompleto, spezzato), lasciando al non detto e al chiostro del silenzio (p. 62) la rivelazione ultima.

Caselle, giovedì 8 aprile 1999