Aldo Cervo – E ci sono angeli

E ci sono angeli

E ci sono angeli è il poema dell’infanzia, concepito con l’amore che può albergare nel cuore di una nonna, e volto in versi con la fine perizia di stile di una poetessa.

Il volume è organizzato in tre sezioni, la cui scansione tematica sembra – per così dire – procedere dall’Universale al Particolare. La prima, infatti, delle sezioni è veicolo di considerazioni che riguardano l’infanzia come categoria aristotelica dell’umano esistere, anche se è già ben visibile il sottosuolo affettivo, talvolta mistico, dal quale traggono origine concetti, immagini e definizioni di che la sezione sovrabbonda. Si pensi all’infanzia come “dono”, al sorriso bambino come “epifania divina”, al “profumo d’innocenza” che ne esala. Si pensi all’infanzia come “cuna di nostre memorie”. E i frammenti, i pochi proposti e i tanti altri disseminato fra le pagine si porgono al lettore di fine sensibilità come luci danzanti in un immaginario Quarto Cielo della poesia.

Nella seconda il discorso poetico si fa concreto, andando a riferire di bambini in particolare, e precisamente di quelli vessati dall’indigenza, dalle malattie, dalle guerre, persino dall’eccessivo benessere o parcheggiati – perché d’ingombro a velleitarie carriere – in strutture anonime, intirizziti all’assenza del materno calore: “Passeri implumi confusi in nidi altrui | a lungo assenti le materne piume | per frenesia…”

Quella conclusiva infine – delle sezioni – è il trionfo della vita, rappresentato dall’autrice nel concepimento, nell’attesa, nella nascita e nelle prime manifestazioni di relazionalità affettiva della nipotina Giulia: “E nel sillabario dei gesti | ora alla settima luna, | inedita si apre pagina | di nuovi esercizi: beata moduli lenta | falangi falangine falangette | per la gioia di un saluto | assenso-risposta del cuore | a sillabe moti assidui d’affetto | …”

Le tre dimensioni dell’approccio poetico al tema si evidenziano nella diversa modulazione tonale e linguistico-espressiva adottata con la consueta sapienza dalla Toffanin. E tuttavia denominatore comune rimane la rigorosa selettività lessicale, l’essenzialità sintagmatica, la pregnanza significante del verso e una gradevolezza fonica rimessa – quest’ultima – a una veste formale liberamente adottata di lirica in lirica, senza prefissati schemi metrici.