Alberta Bigagli – Dell’amicizia – My red hair

“Dirò amica di ore nostre…” Ho trovato da subito belli, in questo verso della prima pagina, il modo e l’accento, chiare e colloquiali nello spirito e nella forma, classici nel riferimento o eco letteraria. Di seguito, l’autrice entra fra le “ombre” per incontrarla l’amica, amica di lei e dell’acqua, come amica della trasparenza naturale e dell’innocenza. La figura evocata danza in questo disegnarsi di parole, si colora, si espande e assume presenza.

Si scopre che la vita le veniva, a lei insegnante, soprattutto da bambine e bambini. L’infanzia è comunque la dimensione, la sede permanente dei puri di cuore. Ci si viene a trovare, leggendo, in una felice confusione di tempi e di età personali. Appaiono gesti femminili domestici, ma anche trombette e cavalli. Treni che passando danno ancora stupore. Ma come ci si può ispirare all’amore se non nella scelta di giustizia e di etica ? Raggiunto l’amore, la poesia della Toffanin ci fa sentire, nominandola, anche la pietra come cosa morbida.

Il rosso di quei capelli, tornando alla figura scomparsa, segna le passioni e ci aiuta con energia nell’indirizzarci verso il sapere, la conoscenza, la “sofia”. Si incontra intanto questa amica che già scalda e istruisce un proprio figlio bambino. E l’autrice, nel dare ampiezza al proprio canto per la compagna perduta, tutto abbraccia. La flora e gli animali. Il luogo stretto e vicino, o ampio come la parola “veneto”. Tutto fa da specchio alla loro comune storia, come ogni singolo gesto. E l’amica lava continuamente in questi versi. Lava se stessa e il mondo. Lava comunque. Intanto muoversi e darsi e percorrere sentieri e portici reali o immaginari, si è per lei indebolito il filo che sostiene il nostro battere e levare per rimanere vivi. Ed ecco che l’acqua, mai trascurata acqua, si fa “cristallo”. Ossia ci fa sentire la morte, Maria Luisa, come un cristallizzarsi della vita. L’amica era come tutti provvisoria, ora non passerà più. E’ divenuta “…un’infinita primavera”. Risponde agli appelli di chi per ora è rimasto, non con parole e suoni ma con “fremiti”, che solo una vigile memoria può percepire.