Gianni Giolo – Che cos’è la poesia?
Nel Novecento cito solo tre poeti che si caratterizzano per una certa ambizione di tono e di canto alto e per una culta ed elaborata ricerca di compostezza formale: Vincenzo Cardarelli, Cesare Ruffato e Maria Luisa Daniele Toffanin.
La Toffanin al contrario canta la sacralità della vita, la speranza, la fede, la natura madre e benigna, gli “archetipi”, i valori che salvaguardano e costituiscono la dignità umana che sono l’amore, la speranza, la verità, la maternità, la religione, come unione dell’uomo con l’eterno, che dà senso e significato alla vita, e, in questa lirica dedicata al tempo pasquale, l’aprirsi dell’anima alla vita della nuova stagione e alla gioia dello spirito che canta la vittoria gloriosa del figlio di Dio sulla morte:
Per dirti, figlio
Quale profondo immenso
Si muovesse intorno e dentro
L’attesa bambina
Del fermento di Cieli e terra.
E ogni madre, mater mea,
Quasi ne fosse vestale.
In quest’ora-mio segreto bagliore
Il senso di tale attesa ti svelo
Quel palpito uguale d’anima e cose
Più acceso allora nel tempo pasquale.
Quasi un odore di vita un’ansia di risorgere
Nel fremere di gemme all’aria novella
Tra refoli acerbi e lampi di sole, appena maturo
Nel primo cielo di rondini.
Le mamme ferme alle soglie
A raccogliere in fasci quei raggi di sole,
Con ansia di nuovo di mussole chiare
Per vesti bambine lievi al tepore
Tutte in fiore all’Evento.
Terse le case alla gioia spalancate
Pel risveglio del creato
Per la festa del Figlio del Signore.
E giorni d’irripetibili gesti
Sacri segni d’immenso rito
Cerchio che cinge l’umano e il divino
Con nastri d’erba sottile
Con mani pazienti di tuberi e gemme
Con profumo di mirto
Ed essenza d’ulivo
Istinto nativo in quel nostro vivere.
E tu madre eri come la vestale
Di tale gran fermento
E insieme il canto di quelle ore sante:
L’andare in cupe chiese
Nel venerdì dei Cristi
Sulla terra del patire adagiati
Nel pudore del silenzio baciati.
E ai sepolcri s’andava
Umile il passo solenne
Del gesto tuo ripetuto,
D’ogni dolore ignare
Ma così unite contrite smarrite
Mai come allora così insieme
Con occhi fanciulli beanti sui fiori
Solo profumo e colore inebriante.
Rugiada al morire, dicevi,
E promessa di gloria e fulgore.
Ma nei sabati delle campane sciolte
Le stanze riempivi del loro suono
Tu pure eri slancio di campana
Canto di vita rinata
Nell’anima nelle fronde
Eri acqua di fonte aspersa
Sui nostri occhi
Stupiti al pianto-gaudio
D’uomo e natura,
Stupiti a magia del Risorto
Che spaccava la pietra, tu dicevi,
Con cascate di Luce nuova.
Ed eri della Pasqua l’alleluia
La veste nuova di Grazia tessuta
Il ramo rosato schiuso
Nell’aria festosa di voci e voli,
Il cesto delle prime erbette
E del pandolce d’uvette.
Così l’attesa e la casa colmavi
Con mani di fiori e doni d’amore
Umana misura a noi dell’Evento.
E portavi di quel momento
Il pieno incanto dentro
Della pecora più beata
A brucare con le agnelle l’attesa,
Dell’uovo smisurato della vita
Con le sorprese liete-amare aperte
Insieme o sole del dopo,
Di quell’albero lucente
Di uova colorate
Costume-rito-fantasia
Augurio per la compagnia
Nei lunedì dell’Angelo
Pei colli sui prati
Al vento d’anemoni e viole.
E così mi ritorni ad ogni primavera
Nell’ora d’anima in attesa
Vestale
Del fermento di cieli e terra
Fedele e desta
Ad insegnarmi ancora la vita.