Flavia Buldrini – La casa in mezzo al prato in Boscoverde di Rocca Pietore
La casa in mezzo al prato è un piccolo mito di un nido familiare “al vento azzurro di anni tanti insieme / nella bianca casa in mezzo al prato”, un cenacolo di amici nell’ameno luogo in Boscoverde di Rocca Poetica, che ha visto, quasi in cinque lustri, l’avvicendarsi di tre generazioni che hanno intessuto relazioni ed ereditato una testimonianza di amore, fiducia e speranza: “In quest’ora-umana terra lacerata / in questo immenso arboreo lutto / allo strazio del vento delirante / ora tutto si farà tenero humus al cuore / dolce-amore ricordo d’un bene perduto. / Ma sarà sarà la memoria / linfa coscienza ardita di sé / della propria gente stretta insieme / nella montana avventura sempre / sarà risorsa-ardore / per rinascere padri figli remoti avi / nell’antico rinnovato incanto / di tradizioni ladine e splendidi luoghi / insieme ancora / pur in un paesaggio altro-paziente attesa / speranza certezza di nuovi germogli / e folte chiome mai viste prima. / Vita tutta che non muore / muta solo forma / Via Crucis / Resurrezione in queste pagine aperte.” (In quest’ora insieme).
In questa cornice bucolica si vivono l’incanto e l’armonia della poesia dei giorni ricamata nella pace agreste: “E questa pienezza di ombre di vuoti / immacolata primavera / dopo l’inverno avaro / è felice sentire immobile / sospeso all’argento-vivo ruscello / a rare ali raccolte nel segreto. / Attendere qui nel setoso bozzolo / il tempo sepolto in silenzio di neve / sarà stupore di nuovi germogli. / E già s’arrampica sul muro del sole / l’ansia di gemme segrete nel gelo / esplose ora in teneri petali / su rami distesi al tepore. / Pallido rosato gentile / sorpresa dell’uovo di vita / che ti ridono / in questo terso cielo d’aprile.” (Disgelo fiorito).
Il paesaggio innevato, nel candore del suo immacolato stupore, risplende in tutto il fascino malioso di un incantesimo fiabesco, come l’innocenza di Dio che vela la terra del Suo pudore di meravigliosa bellezza: “E dentro risuona la gioia / di quel paesaggio immacolato / succhiato fino in fondo come / un bicchiere bambino di neve con zucchero filato.” (Dall’oro del ricordo, noi alati fondisti); “Arcano catino brillante / di neve imperitura / guglie splendenti di candore / rosari d’acqua lucenti / sgranati da più segrete fessure / recitano a varie voci / nel tempio dell’Immenso / vocazione all’innocenza / come all’alba del mondo. / E nei sublimi spazi / nel cielo dei nevai / celate in cripte di cristallo / ardono risposte di Luce / a chi va nell’ etere / rabdomante del Divino. / O anima anima mia ormai greve / da ombre-foschie di pianura / qui alfine ti senti leggera / e in bianca tua veste rinata / ti libri stupita / come a nuova primavera.” (Vocazione).
Il sentimento religioso, nella quiete assorta del silenzio, nella contemplazione estatica del creato, nella meditazione profonda trova il suo humus ideale nella maestosa altezza dei monti: “Si piega la Croce al pianto del vento / che lento svapora dall’azzurra gola / e ancora odoroso di neve / riposa sull’erica rosa / da mani devota composta / in soste d’amore alla Croce. / Si china il cuore sui teneri fiori / su tutte le spine-corona / al comune soffrire / e antico lamento di donne / – stabat mater – dalla valle intorno / stringe l’anima dal profondo. / Si schiude il mistero del Legno / baciato in sepolcri d’infanzia / Legno-dolore-premura / tra noi d’accorato abbraccio / nel Golgota di questo mondo. / Sull’orlo di luce / un raggio di stecco / fiorisce essenze nuove.”
Vi sono poi le dediche alle figure amate che hanno costellato la memoria di questi luoghi: “Aleggia ancora il tuo nome / per il sentiero incantato / di Boscoverde, attraversato / dal tuo giovane corpo troppo offeso / dal coraggio dalla speranza / tuo profumo intorno effuso / dai tre bocci appesi a te-linfa / dei loro freschi innocenti sorrisi / alla vita che pure tradiva. / E un suono di chitarra un canto / di fede si leva lieve ancora / dalla morbida radice della casa / là nel pomeriggio festivo / tutti intorno a te stretti / dall’amore invincibile sempre / oltre l’umano dolore / oltre l’estremo confine.” (L’elegia del ritorno). Sono omaggi alla grazia vezzosa dei propri figli: “Mia capriola / Ti guardo nell’angolo della sera / Giulia, mia capriola / con membra abbandonate / al lenzuolo della terra / nella fiducia del riposo / umidi gli occhi smarriti / in pensieri d’infinito / ai miei riti devoti / tu ormai sulla soglia dei sogni.”; “Tu, Alex, creatura boschiva / E tu, scoiattolino sei /che a otto lune colme, agile / t’arrampichi su sedie-tuoi rami / con orecchie dritte zampette morbide / la bocca affamata sempre.”; “Così devo goderti infanzia / anzi succhiare la tua linfa / goccia a goccia / dell’intera tua sostanza / ché l’ieri di certi tuoi sorrisi / e sguardi confusi in bisillabi / di altre tue invenzioni / già mutato è irrimediabilmente.” (Infanzia-canti-pensieri-immagini).
Si abbraccia l’entusiasmo vitale nel suo respiro indomito di ebbrezza selvaggia e brama di libertà sconfinata: “La vita voglio inseguire ancora fra i rami / la vita fringuella che raggiunge il cielo / colma d’azzurro il suo canto le sue ali / ignara del senso del mistero. / Seguimi raggiungimi saremo leggeri / con parole e voli di uccelli / librati in orizzonti sconfinati / oltre il limite abituale. / Fra i rami saremo fringuelli sublimi / in un’ascesa-catarsi al dolore / alla coscienza del tempo più grave / nel luogo dei ritorni. / Sosta all’arbusto selvaggio / come a un incontro del cuore / la vita voglio inseguire / rosa canina paziente dal gelo a fiorire / radiosa di petali lievi / rosato arpeggio intriso d’azzurro / in perenne offerta di sé / ignara del suo cargo di spine / smemorata nel suo canto selvaggio.” (Ballata al ritorno ribelle).
Maria Luisa Daniele Toffanin, attraverso questa ‘consacrazione’ di un luogo mitico in cui si celebra la vita in tutti i suggestivi riti di amore e bellezza, nella dialettica di gioia e dolore, permea i suoi versi di un lirismo vibrante e delicato con cui intarsia un mondo fatato immerso nel niveo splendore e fecondo di teneri affetti: “Noi greggi lucenti di madreperla / sublimi vaghiamo per questi cieli / miracolo immenso mistero. / I picchi qui sono fiaccole d’oro / accese di luce imperitura / la dolomie arde ancora / di coralli orme di segrete ere / incandescenti immobili alla sera. / E l’aria è tutto crespo / d’invisibili gemme / gonfiate dal magico ignoto / segreto sospeso fra i rami / ma già colmo di mille promesse. / Gemme esili rosate piume al vento / carezze che commuovono persino il cielo. / Ma noi greggi di pensieri / erranti nel presente / a simili incantesimi / struggente sentiamo il nostro niente / e lasciamo lucenti sogni / svanire tra nuvole d’argento / che, a noi remote, / sicure si muovono all’infinito.” (Il nostro niente); “Si chiude il verde / nell’ultimo respiro d’azzurro / il sole profila con l’ago d’oro / le dolomie-velluto rosato. / È l’ ora dell’indicibile magia / quando i petrosi titani immensi / si fanno morbidi a sera / ai colori della divina fantasia. / (…) È l’ora che la sera scende obbediente / all’Ordine che governa il cosmo. / (…) Attendiamo che il cosmo provvido / sveli la notturna luminaria / conforto alle tenebre / passaggio di testimone del Creato / ad ogni alba, dai primordi. / Miracolo l’eterna presenza di Luce / in armoniosa rotazione di forme-colori.” (Vesperale magia al passo Giau).