Luisa di San Bonifacio Scimemi – Note sparse a La stanza alta dell’attesa

Luisa di San Bonifacio Scimemi

Come nelle favole dei bambini, come nelle antiche mitologie, i versi e le memorie così personali e vive di Maria Luisa Daniele Toffanin, raccolte ora nell’ultima delle sue sillogi eccellenti, infondono nel nostro cuore un’intima armonia, alludendo ad un’unità compiuta, e tuttavia in continua evoluzione, tra materia e forma: tra la sostanza e il verbum, la carne, tra la sensibilità, la percezione soggettiva e la potenza della condivisione attraverso il concetto, la parola e il suo significato.

In un fluire perpetuo e reciproco tra impressione ed espressione, tra storia e mito che, paradossalmente, si scompongono e si ricompongono in un caleidoscopio di concetti e di valori che ci propongono la nostra stessa irrinunciabile libertà individuale.

Non può essere un percorso immediato. La conoscenza, frammentaria, non porta necessariamente alla comprensione: come l’intuito, ha bisogno dell’idea per essere condivisa, nell’evoluzione critica di creatività e di raffigurazione. è il processo infinito e universale dell’arte che Maria Luisa Daniele Toffanin, dopo un’infanzia e una giovinezza dedicata a viverlo con quotidiana, partecipe intensità, illustra per noi guidandoci attraverso le sue immagini recondite, il suo lessico singolare, affinché insieme a lei noi si possa riscoprire, nelle nostre stesse storie, i valori comuni e trasformare i personaggi, gli eventi, i miti esemplari, ricavati dalle esperienze che lei ci offre tramite i suoi versi, nei nostri stessi modelli di vita, nelle nostre proprie utopie.

Questa sua ultima creazione raccoglie memorie in parte già cantate altrove, che tuttavia sembrano qui acquistare nuova vita, in libertà e verità di ispirazione È la sua personale versione di una Vita Nova, la sua versione della miracolosa capacità di rinascere con autentica, spontanea originalità. “Noli foras exire, in te ipsum ingredi: in interiore homine habitat veritas” dice Sant’Agostino. “Non cercare lontano, guarda in te stesso: nel cuore dell’uomo abita la verità”.

La poesia di Marisa – tale anche nei brani in prosa, che hanno il ritmo e la medesima intensità dei versi – rifluisce dall’esterno fino all’intimo del suo cuore e si fa fede, speranza, futuro, per ciascuno di noi.

Così come le gite dell’infanzia presaga sui colli ora si sono trasformate in un cenacolo di amicizia letteraria “poietica”, in senso etimologico, la città di Padova e le vie del centro sono come l’età d’oro dell’infanzia.

Tra queste pagine incantate, tra questi versi pieni di arcane armonie, tra le vie segrete e protette della nostra città, negli anni confusi e imprevedibili della guerra e dell’immediato dopoguerra, tra persone care e figure amiche ed esemplari, si snoda lungo un percorso pieno di certezze, forse ingenue ma luminose e vitali, il racconto dell’infanzia fiduciosa, la cronaca limpida e innocente di Marisa bambina, del suo tempo infantile. Trascinati dall’incanto delle sue parole nuove, esploriamo i luoghi con il suo sguardo fanciullo e insieme procediamo lungo il suo stesso percorso poetico, in un cammino che l’ha portata ben oltre i confini della nostra amata città, oltre gli orizzonti segnati dai colli della sua Euganea terra. Nel susseguirsi operoso e sereno delle sue pubblicazioni e nel suo intraprendente, generoso impegno civile e sociale, è bello verificare l’universale consenso raggiunto dal suo felice itinerario culturale e umano, il suo sconfinato dell’azzurro ed altro espresso nel titolo del suo primo libro. Premi e riconoscimenti le sono arrivati e le arrivano da ogni regione d’italia per le sue molte opere ispirate da emozioni, da paesaggi della natura e dell’anima, dai titoli pieni di suggestioni che rimandano ai tanti momenti e scorci della storia umana – e nostra personale – così profondi e singolari eppure così unanimemente condivisibili, attraverso le impressioni della memoria e le espressioni dell’Arte.

Sembra il contrario dell’Utopia. Tutto il suo piccolo ambiente familiare diventa, anche per noi, l’universo intero. con il suo talento, Maria Luisa Daniele Toffanin ha scritto di un mondo che è un’infinita invenzione di mille piani e mille scorci diversi e misteriosi che si prolungano nella fantasia attraverso un lessico straordinario, riconoscibile per le fughe metaforiche e linguistiche: le assonanze, gli ossimori, le sinestesie, tra neologismi e accostamenti sempre nuovi e inattesi, che immergono il lettore nell’universa famiglia di Marisa.

Nel cuore della città di Padova, l’ombra dell’abside di Santa Sofia e lo spazio circoscritto di via Gabelli hanno custodito la sua infanzia, la sua esistenza bambina e quella delle persone care, proteggendo il virginale riserbo di eleganti dimore // strette insieme da affettuosi portici. Su cui la stanza alta dominava invitta, in pace e in guerra, sulla vita e sulla morte. “Isla de gracia, de frescura y de dicha” si potrebbe definirla con Juan Ramon Jimenez, premio Nobel nel 1956: “isola di grazia, di giovinezza e di felicità”, sempre rifulgente del calore dell’amicizia, di un’umanità solidale, infinitamente “libera dentro” e capace di inventare un universo dai paesaggi e dalle prospettive più diverse su cui si affacciano, in successione, le stanze della nostra memoria. Un’utopia luminosa al contrario, dunque: paradossalmente reale e sempre felicemente concorde, dove l’umanità si espande e si moltiplica nelle vie della città, negli infiniti scorci, nelle riflessioni suscitate dai versi e dai racconti di Marisa. La quale sa parlare e far parlare le cose, intorno a sé, gli eventi quotidiani e i grandi avvenimenti della Storia. Questo risulta vero fin dal titolo che si riempie di realtà creativa, di vita vera: collegando, in un’attesa che si colma di poesia e che con questa sua poesia ci conforta, il mistero della vita a quello della morte, in una testimonianza di innocenza e bellezza dove il dolore e la malinconia, pur presenti, non avvolgono né alterano il ricordo, ma si rifugiano nel cuore profondo di questa silloge così magica e vera.

L’autrice non tutto spiega, non occorre farlo: racconta come nelle favole, sotto forma di mito. così la sofferenza insita nella vita e nella Storia può e deve essere trasmessa alle nuove generazioni, a chi è innocente e non ha ancora raggiunto la stanza alta della vita, a chi deve ancora capire, darsi una motivazione, trovare la propria intima libertà. Forse è solo quando accompagni, fino alla loro fine, i tuoi genitori, che puoi offrire loro i tuoi ricordi, in un “ritorno all’infanzia” che si manifesta come ragion d’essere della tua propria vita: rendendo loro grazie per gli esempi e i valori che ti hanno affidato in eredità, insieme ai luoghi che sono stati teatro provvidenziale del tuo affacciarti sul mondo.

Così si comprende allora il senso profondo della dedica con cui si aprono queste pagine e che unisce passato e futuro, in un nodo struggente ed esplicito di riconoscente testimonianza: “A mia madre Lia e a mio padre Gino, in Padova la mia città natale”.