Nazario Pardini – Sottovoce a te madre, prefazione

Ora che si rifà Natale e l’attesa
facile svapora profumo d’infanzia
nostalgia per la casa-cuna tuttinsieme
come in presepe, sento madre cara
urgenza di succhiare con te il miele
di quel momento quasi energia vitale
e in sussurri-intimi bisbigli ridirti
– ché tutto in Lui già vedi
in un eterno celeste presente –
la mia storia qui sulla terra ed altro
svelando verità ove le nostre anime
nude, si specchiano
simili gocce d’uguale sorgente.
(Lettera di Natale).

Questo l’inizio della plaquette che già tiene in sé un climax ascensionale, un abbraccio alla terra e alle sue storie, per trasferirle là dove Lui tutto contiene «in un eterno celeste presente». Come a contraddire il potere della morte, come a sconfiggere la tracotanza del tempo che tutto travolge e tutto fagocita in un inarrestabile ritmo disumano:

Il giorno spegne per sempre una vita.
Abi resta torrente d’inverno alla prima gelata
che cruda improvvisa lo stringe e chiude.
Ma grida con giovane cuore
dei mille segreti rimasti
accanto a parole-carezze lasciate cadere.
Fermati un solo momento ancora
anima scarlatta
nelle ombre cupe della sera…

Un Lui salvatore e riparatore delle sottrazioni a cui il terreno ci sottopone; quelle sottrazioni che ci procurano dolori indicibili dacché tali mancanze vorremmo che non arrivassero mai, fino al punto di pensarle e di vederle eterne le persone che amiamo:

hai tali e tante età
da non avere età.

Mater mea
senza tempo
ami la vita

Ma qui il dolore stesso si fa quietudine sotto lo sguardo di una eternità che ferma il presente abitato da anime «simili gocce d’uguale sorgente». Sta qui la grandezza di questa silloge, in una simbiotica fusione di cielo e terra, di Thanatos e Eros, di vita e morte; di quiete e dolore in questa dualità fra luce ed ombra, in questa scalata verso la luminosità del Cielo che, come preghiera, annulla ogni spigolo dell’umano vivere; del terreno esserci; una fusione di contrapposizioni, di polemos tra gli opposti, che, in questi versi, genera, con euritmica musicalità, il focus della vita, il cuore del vivere, sbocciando tra i fiori del reale per decollare verso porti di smisurati orizzonti; per convertire in gioia le lacrime:

E il tuo albicocco in umana forma
vive rivive anche in una favola
in volo verso il divino schermo
ché tu la legga nei cenacoli del cielo
come meraviglia rifiorita sulla terra…

E il tutto ex abundantia cordis; sì, da una straripante generosità emotiva, dato che anche il dolore, una volta riposato in animo, e illuminato da una urgente spiritualità, si trasforma in dolce immagine da trasferire in poesia; poesia di catarsi, di rugiadosi petali, di armonie:

Così allora che tu ti spegnesti
catarsi e armonia mi infuse il verso
e mi colmò il vuoto dell’assenza
di rugiadosi petali.
Con la parola ti rievocavo
e mi apparivi viva accanto
in queste pagine che Sottovoce ti allego
da leggere in comunione con altri
che abitano con te il cielo…

Una poesia che dice di momenti di grande resa lirica, di effettiva efficacia poematica, in cui la parola si scorcia o si allunga, si smorza o si rattiene, per seguire l’impeto di un fiume che romperebbe gli argini se non fosse sorretto da un robusto stilema; da una cifra lessico-fonica che va, anche, oltre la sintassi, oltre la tradizionale grammatica con accorgimenti figurativi, allusivi, iperbolici, e unità sintagmatiche che si fanno particolarità linguistica di notevole valenza visiva nel campo semantico e significante della Nostra. E anche se la Toffanin riesce ad allungare sguardi verso eteree ed edeniche soglie di fede, lo fa sempre partendo dalla coscienza della ristrettezza del vivere; dalla visionaria verità di una vita bruciata:

Ormai il vero scopre se stesso
lo sento, mi urla impietoso che
la vita intera è infine bruciata.
Resta solo un fascio minuto
d’esili raggi di sole.

E si leva un vento mesto
un lieve piangere di foglie
un’ala grigia di presagio.

Ed è la natura a farsi interprete prima nelle vicende della Nostra. Una natura che prende per mano l’Autrice e l’accompagna in un autunno che tanto sa di redde rationem, di ultimazione, dove «Struggente è il vano nutrirti/ d’amare illusioni, vuoto/ scavato dentro da non saziare più». Una natura che con i suoi sprazzi cromatici concretizza gli slanci emotivi della Toffanin.

Il memoriale diviene, così, alcova rigenerante, luogo di rinascita; terriccio fertile per canti che travalicano il contingente per azzardare sguardi oltre la caducità dell’ora. Ed è in questa isola felice che la Nostra riposa; è qui che riabbraccia volti fattisi diafani, puri, nudi e innocenti; ridarli a nuova vita, serena ed immortale, è la prima esigenza in questo afflato di rigenerazione plurale e totale:

Aria di passato spira
nella casa ritrovata
e agita un pulviscolo d’emozioni.
Fra pareti di sole
sfumati dal tempo
si muovono volti.

Quasi cascate irruenti
esplodono voci risate pianti
fra odori buoni di vita.
Intorno aleggiano trepidi
Madre i nostri giovani sogni…

Un poema alla madre i cui versi si intersecano in agili e apodittici costrutti, per agguantare gli abbrivi emotivi che ne fanno una voce di ontologica plurivocità. Iniziare dalla citazione testuale significa andare a fondo da subito nello stile e nei contenuti della Toffanin. Un poièin estremamente suggestivo e carico di motivazioni umane, di affondi naturistici contaminanti per cromie e simbologia esistenziale. Un poema il cui titolo – Sottovoce a te madre – fa da prodromico ingresso ad una storia verticale e orizzontale per la sua polivalenza. La poetessa fa della realtà fenomenica un trampolino di lancio verso un cielo carico d’azzurro.

Ogni cosa dà il suo contributo a questo viaggio epigrammatico dove tempo, memoria, affetti, saudade e nostos si miscelano fra loro cercando nelle oscillazioni metriche le varie stazioni degli stati emozionali.

Uno spartito di polisemica significanza dove ogni elemento che lo compone fa parte di un tutto organico e circolare: vita morte vita. Sì, proprio la vita! La sua irripetibile casualità, la sua unicità e bellezza dominano in questa vicenda umana illuminata da squarci di cielo, voci di mare, gridi d’amore:

[…]
Passero triste
nelle ore lunghe di grigi tramonti.
Aquila audace
felice a confinare nuovi orizzonti.

Così rimarrai negli occhi del cuore