Massimo Toffanin  – I luoghi di Sebastiano [Schiavon]

Un clima di rinnovamento ispirato dalla Rerum Novarum segna i primi due decenni del Novecento nel Veneto per la presenza anche di alcuni vescovi illuminati come Pellizzo a Padova, Rodolfi a Vicenza e Longhin a Treviso. Per questo in tale regione operano molti giovani desiderosi di tradurre parole nuove in una reale trasformazione della società: Giuseppe Corazzin a Treviso, Battista Soffiantini a Rovigo, Don Giuseppe Arena a Vicenza e Sebastiano Schiavon a Padova solo per ricordare i più significativi.

Quest’ultimo nato a Roncaglia di Ponte San Nicolò il 28 maggio 1883 da una famiglia di poveri contadini, compie il corso di studi secondari al seminario di Padova, laureandosi in lettere all’Università della stessa città. Subito, nel 1908, si dedica all’attività sindacale, nominato dal vescovo Luigi Pellizzo segretario del nuovo Ufficio cattolico del lavoro. Strumento non solo di mediazione sociale, ma anche di contrasto alle analoghe iniziative messe in campo dal sindacalismo socialista. In tale veste inizia a dirigere, per la prima volta in ambito cattolico, diversi scioperi come quello dei 200 vivaisti delle serre Sgaravatti a Saonara, dei 500 operai della cartiera Nodari di Lugo Vicentino, degli scavatori delle cave di Calaone sui Colli euganei. Sciopero quest’ultimo che suscita grande clamore per la denuncia e il processo allo stesso Schiavon accusato di sobillazione allo sciopero. Inoltre, il 15 maggio 1910 anniversario della Rerum Novarum, è tra i fondatori a Cittadella del “Sindacato veneto dei lavoratori della terra”, la prima struttura di organizzazione di contadini tra le province di Padova, Treviso e Vicenza. E’ in questo periodo che lo Schiavon diventa noto come lo “strapazzasiori” per la sua posizione intransigente verso i notabili e la difesa dei diritti degli iscritti alle Unioni del lavoro da lui fondate.

Sempre nel 1910, in luglio, inizia la sua attività politica come consigliere provinciale a Padova e contemporaneamente comunale a Ponte San Nicolò, Legnaro e Saonara impegnato a proteggere i bovari e gli abitanti dei casoni. Ad ottobre dello stesso anno, nominato dirigente dell’Unione popolare, si trasferisce a Firenze anche con la moglie e la piccola figlia. Da qui svolge un’attività frenetica in tutto il centro nord d’Italia come propagandista sindacale, fondatore di casse rurali e cooperative agricole con relativi interventi sui giornali locali.
Nel 1913 ritorna definitivamente a Padova dove era già intervenuto dalla Toscana per risolvere vari problemi sociali. In quell’anno nella Circoscrizione di Cittadella e Camposampiero è eletto in Parlamento: è il più giovane e il più votato deputato italiano. Anche in tale sede istituzionale con le sue proposte di legge continua a realizzare il progetto di uguaglianza per chi non aveva voce nel mondo del lavoro.
“Cattolico-deputato”, allo scoppio della guerra si pone su posizioni neutraliste e durante il conflitto, congedato perché affetto da tubercolosi, svolge ugualmente un’ intensa attività in Parlamento a favore di sacerdoti internati, sospettati di disfattismo, e dei centomila profughi dell’Altipiano di Asiago riversatisi nelle altre regioni italiane in seguito alla Spedizione punitiva austriaca. Inoltre costituisce in ogni comune dell’alta padovana i Comitati di preparazione civile, antesignani dell’attuale Protezione civile. Solo per ricordare alcune delle sue molteplici azioni contro l’ingiustizia della burocrazia e gli effetti disastrosi della guerra.

Nel 1919 con Don Luigi Sturzo è uno dei fondatori del Partito Popolare Italiano. Su proposta del vescovo Luigi Pellizzo, accetta però di ritornare alla direzione dell’Ufficio del lavoro per risolvere i problemi del dopoguerra nel padovano. La vera sfida è l’organizzazione delle leghe bianche in modo da contendere a quelle rosse l’egemonia del mondo contadino. Sempre nel 1919 viene eletto per la seconda volta in Parlamento nelle fila del nuovo Partito Popolare Italiano. Ma i tempi stanno mutando: dopo un iniziale accordo con gli agrari, nel padovano la situazione precipita nel 1920 quando la classe padronale per difendersi dal “bolscevismo bianco” si rivolge non solo alla Curia vaticana, ma anche allo squadrismo fascista che interviene con gravi conseguenze nelle campagne venete: distruzioni di ville padronali e uccisioni di .contadini.

Nel maggio del 1921 Giolitti scioglie le Camere, per la situazione ingovernabile del paese, e Schiavon non viene ripresentato alle elezioni perché il Partito Popolare Italiano ormai è egemonizzato da tendenze conservatrici. Tenta allora, ma senza fortuna, di formare un nuovo partito: sforzo che si rivela inutile.

Il 30 gennaio 1922 muore a Padova a soli 38 anni, abbandonato dai suoi stessi compagni di lotta e senza più l’appoggio del vescovo Pellizzo allontanato da Padova dalla curia romana, con false accuse.

Afferma Gianpaolo Romanato (1) nella prefazione a I luoghi di Sebastiano: “Un uomo d’altri tempi quindi, Sebastiano Schiavon, il leader del mondo contadino che infiammò le campagne venete…. Morto quasi un secolo fa, vissuto in un Veneto ancora largamente premoderno, non era ormai che un nome disperso in volumi che oggi maneggiano solo gli studiosi di mestiere. A trarlo dall’oblio, ricostruendone la vita breve e drammatica, è Massimo Toffanin, legato alla sua memoria anche da ascendenze familiari. Il suo volume (Sebastiano Schiavon. Lo“strapazzasiori”, Padova 2005), denso di note, di riferimenti bibliografici e d’archivio, fa ritrovare un personaggio vivo, autentico, sanguigno, che fece scelte difficili, drammatiche, meritevoli di essere ripensate. Una per tutte: nel maggio del 1915 fu uno dei pochi parlamentari che votarono contro la concessione dei pieni poteri al Governo Salandra. Perché quel voto merita rispetto e attenzione? Perché se i deputati che la pensavano come Schiavon fossero stati maggioranza invece che minoranza, ci saremmo risparmiati l’entrata in guerra, 700mila morti e una crisi che poi travolse tutte le istituzioni rappresentative, regalandoci il fascismo. Ma anche quel libro di Massimo Toffanin è destinato ad un pubblico scelto, selezionato, di “addetti ai lavori”. Ben pochi giovani, forse nessuno, mette gli occhi su opere come quella, piene di note, di riflessioni, di minute discussioni. E così l’autore ha pensato di trasferire la sua ricerca, con la collaborazione di Maria Luisa Daniele Toffanin, in un testo più semplice, discorsivo, fatto di domande e risposte, ideato come un dialogo con la nipote adolescente, che nulla sa di Schiavon e delle lotte sociali di allora….

1) Gianpaolo Romanato, professore di Storia contemporanea all’Università di Padova e membro del Pontificio Comitato di Scienze storiche.

E’ nato questo volumetto rivolto ai giovani d’oggi, che hanno il diritto (e anche il dovere) di sapere quante sofferenze ci sono dietro il loro benessere attuale, quanti Schiavon ci sono all’origine di quella fragile società opulenta in cui vivono.”

E Monica Florio aggiunge (2): “La figura di Sebastiano Schiavon ha ispirato un libro didattico ma non serioso, caratterizzato dal confronto generazionale e dalla riscoperta di un passato attuale perché portatore di valori intramontabili quali il senso della giustizia, lo spirito di sacrificio, l’umiltà.

Cattolico e di estrazione popolare, Schiavon è il protagonista di un romanzo on the road, i cui itinerari sono quelli segnati dal suo passaggio durante la febbrile attività che tenne come parlamentare e sindacalista.

Nel percorrere questi luoghi la tredicenne Giulia riscoprirà una Padova inedita e, al tempo stesso, si approprierà delle sue radici in un viaggio a ritroso nell’Italia premoderna afflitta dalla crisi economica.

Il libro dei Toffanin è ben più di una lezione di storia: con una prosa semplice e fluida, vivacizzata da un gergo giovanilistico, ci accostiamo alla vita dei contadini padovani, costretti a vivere nei casoni e spesso colpiti dalla pellagra, malattia allora sconosciuta.

Il ritratto di quest’uomo singolare, vittima della tubercolosi, è il fulcro di una narrazione tutta giocata sul dialogo tra un nonno e la giovane nipote, che si traduce in una sorta di passaggio di consegne. Sarà, infatti, la tredicenne Giulia a convincere gli scettici amici che, pur vissuto in un altro contesto, Sebastiano è stato un eroe tanto coraggioso da meritare di essere ricordato.

Giustamente il nonno cela alla nipotina l’identità di Sebastiano, così da non condizionarla, un piccolo colpo di scena che impreziosisce un romanzo da diffondere nelle scuole per promuovere un dibattito non banale sulla società italiana di inizio novecento.

A corredo del testo un nutrito repertorio di foto d’epoca, mentre in copertina spicca l’immagine di una cava di trachite sui Colli Euganei, che ci rammenta lo sciopero organizzato da Schiavon nel 1909 a favore degli operai prossimi al licenziamento.

Insomma è un po’ un moderno Robin Hood, senza cavallo e senza foresta di Sherwood, e magari vuol dire che maltrattava anche i ricchi…sottolinea la nipote Giulia.”

(2) Monica Florio di Napoli è PressOffice/Comunication & PR Manager. Giornalista pubblicista.