Renata Londero – Di erranze poetiche in terra, per mare, su carta

Convegno “Donne con la valigia”
Università di Udine
17-18 novembre 2011
in “Oltreoceano”, nr 06, maggio 2012
Press Up srl, Ladispoli (Rm)

In versi celeberrimi e citatissimi – ma che racchiudono esemplarmente la cifra dell’umano errare –, Antonio Machado canta:

Caminante, son tus huellas
el camino, y nada más;
caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.
Al andar se hace camino,
y al volver la vista atrás
se ve la senda que nunca
se ha de volver a pisar.
Caminante, no hay camino,
sino estelas en la mar (324).

Sul viaggio incessante, necessario, mai uguale a sé, di cui parla il grande poeta, s’imperniano i tredici sentieri lirici – molto variegati e talvolta divergenti fra loro – che cercherò di percorrere in queste poche pagine. Dieci di essi sono tracciati da penne femminili, tre si devono a voci maschili. Provenienze e spostamenti spaziano al di qua e al di là dell’Atlantico: Italia, Argentina, Spagna, Uruguay, Portogallo, Messico. Pur nella loro eterogeneità contenutistica e formale, comunque, tutte le minisillogi in versi e in prosa che qui commenterò a volo d’uccello, confluiscono verso un concetto fondante comune: il viaggiare –

libero e leggero, ma assai più spesso coatto e doloroso, se non dilaniante – assume pieno significato se trasposto nell’ambito salvifico della scrittura, che si nutre di memoria e che quella memoria fissa e universalizza nella parola creata.

Del resto, già molti titoli delle minute raccolte o delle riflessioni liriche che prenderò in esame3 sono emblematici in tal senso: Carta di identità di una poeta “sempre” con la valigia (Mara Donat), En tránsito (Esther Andradi), En viaje (Maria Teresa Andruetto), Mujer con la valija (Rosalba Campra), La memoria invasora y la maleta llena de recuerdos (Martha Canfield), Valigie di … (Maria Luisa Daniele Toffanin), Migratio mulierum (Valeria Mancini), Andando por la memoria (Rocío Oviedo), Mujer con maleta. Tema y tres variaciones (Eduardo Ramos-Izquierdo), Errâncias (Manuel Simões). Chi, dunque – come i poeti e le poetesse di cui ora dirò –, vive e scrive nel limine e al limite, trova sulla pagina un luogo ideale dove posare la valigia e raggomitolarsi al tepore dei ricordi, dei pensieri, delle emozioni vissute e delle suggestioni viste e lette: dove abitare insomma, con fermezza, la propria a-territorialità, fatta di mille soglie e crinali.

Lascio per il finale tre poetesse – Mara Donat, Rocío Oviedo e Maria Luisa Daniele Toffanin – assai diverse per formazione, esperienze e dettato lirico, ma accomunate dalla tendenza a esplorare il viaggio nella sua dimensione intima.

Per introdurre l’ultima voce poetica con cui mi resta da sintonizzarmi, quella di Maria Luisa Daniele Toffanin, a mo’ di ideale suggello a queste mie pagine le lascio enunciare ciò che lei intende per ‘nomadismo del poeta’:

Il poeta viaggia con la sua sensibilità e cultura attraverso la natura, la storia, la realtà sociale del presente, con una valigia di tradizioni, alla ricerca del buono per provocare le coscienze, organizzare nuovi viaggi in progetti d’amicizia, d’incontri umani […]. Una poesia, quindi, di viaggio tra fantasia e riflessione, nella coscienza della propria identità, che stimola il mondo d’oggi a ricercare luoghi nuovi, vie di salvezza per rinnovarsi.

Secondo Daniele Toffanin, insomma, il viaggiare infinito (per dirla con Magris), nel tempo e nello spazio, nel corpo e nell’anima, in terra e sulla carta, si pone come meta precipua «la ricerca della verità in cui implicito è il concetto di felicità» (Serafin 16). In tal modo, anche l’«itinerario circolare» (Perassi. “Parole e …”: 119) che nei suoi scritti per lo più si compie entro la «casa-cuna veneta» (Londero 230), o in ogni caso a partire da essa per rientrarvi, mira all’approfondimento gnoseologico di sé, degli altri, del cosmo, per mezzo di un cammino creativo che sempre si modifica e si rimodella, come il vivere di ogni giorno. Di conseguenza, nelle tre liriche raccolte in Valigie di…, con il suo consueto linguaggio prezioso e pacato, l’autrice padovana canta il dinamico librarsi dell’anima nell’assoluto, svincolata dal corpo, «valigia di carne» (“Il viaggio infinito”), e sceglie come circuito preferito le curve morbide dei Colli Euganei, su cui l’io lirico s’innesta come un albero da frutto ben fermo sulle radici, ricoprendosi di foglie, di «gemme» e di «turgide albicocche», per chiosare così:

Mondo, non ho valige da viaggio: il mio corredo è tutto
nel paesaggio con chiare indicazioni sul suo uso poetico.

(“Il mio corredo è nel paesaggio”)

Dal panteistico culto per la natura, Maria Luisa Daniele Toffanin sfocia nella «passione per la bellezza della vita in tutte le sue forme» (Londero 229) che ne contraddistingue il messaggio letterario. “Zufolo da pastore in stupori minimali”, infatti, non si stanca di reiterare lo ‘Stupore’, anaforicamente insistente, che la poetessa prova innanzi alle piccole-grandi gioie del cotidie vivimus. Al risveglio, a mezzodì, al crepuscolo. È un sentire intenso ed entusiasta da trasmettere agli altri, in comunione di intenti e di affetti, tramite lo strumento che il poeta sa suonare al meglio, l’arte delle parole:

La plasmo la mia valigia musicante come creta
con dita d’anima fino a crearne uno zufolo da pastore
e provo quelle sue note per catturarne il reale suono
girando con un gregge fiorito sul verde per risuonare
fuori al mondo intero questo spartito interiore.
Poi placata sull’erba in un mare di candore, mi nutro
della melodia-poesia minimale sorpresa fra le cose:
quasi non la credo mia, ma del pastore.
Vita cotidie-rinnovato dono.

La «valigia musicante» armonizza il dentro e il fuori, la materia e lo spirito, il proprio e l’altrui. Tutto riequilibra, unisce e rasserena: colma le cesure, sana le ferite, varca le frontiere, copre le distanze. Anche se solo per un istante.

Il viaggio infinito

Il corpo è valigia di carne
che il tempo limita e usura
senza più stanze ove muoversi
con antica positura
una valigia d’argilla inaridita
senza lucore di primavera
ma dentro, la valigia, cela
segreti dello spirito indicibili.
Fra stinte crepe bulinate
levita una levità azzurra
un polline profumato
un’acqua di sorgiva viva.
È l’anima che migra oltre il proprio stato
libera da corporale gabbia
sociale inquinamento
centro di benessere e commerciale.
Migra oltre eterei strati
pascoli di nuvole slarghi di sole
in un dove senza tempo-spazio
oasi d’innocenza riaffiorata
isola celeste di libertà
di chi sapiente al mistero delle cose
si rilibra alla sua origine prima
per succhiare sostanza-essenza
estinta sulla terra
da una fame d’immagine. Abusiva.
Rientra l’anima a sera
nella sua valigia d’argilla
da quell’estasi rifocillata
registra emozioni irripetibili.
Il corpo è valigia di carne ingombrante
ma l’anima che leggere migra
è il viaggio infinito.

Il mio corredo è nel paesaggio
Al mio Poeta di Pieve di Soligo

Mondo, il mio corredo è nel paesaggio
coltivi boschi declivi intorno, dei miei Colli Euganei.
Corredo vario per le ore del giorno pure per ogni stagione
un albero solo in sé chiude tutto il mio abito interiore.
Mi cinge l’anima di radici, storia di terra lavorio di genti
trame remote presenti in cultura nomade pei crinali
nel canto gregoriano e devozioni claustrali.
Radici-linfa perenne memoria che dentro in nuovi
fermenti mi sale, conferma al mio esserci qui ora.
E il corpo di corteccia ricopre a donarmi energia
sublime verticalità del tronco
nel suo-mio slancio al cielo coi rami a preghiera.
Corona i capelli di rosate gemme figliate da natura
paziente al morsante gelo, all’opera umana
speranza-vita ancora rinata.
E dona chioma cangiante di corolle quale mia
sopravveste di gioia al creato risorto, alle nostre pasque
minute sortite dagli affanni dei sepolcri quotidiani.
Poi a mantello m’avvolge un prato a primule e viole
respiro d’essenze pure: umiltà nutrimento al cuore.
Di turgide albicocche-sua attesa-arborea gloria
inventa morbido vezzo al mio collo: albicocche
umani sogni maturi
vivi in piccine nostre creature!
Epifania della solarità in geometria cromatica
fantasia: bellezza unica in forma-sostanza!
E nel manto fogliuto del bosco, intreccio di vite diverse,
l’anelito all’armonia del vivere, preludio negli ulivi di pace
e pure l’abito del mio riposo a sera, a meditare sul viaggio.
E d’albero-di bosco oro ramato alfine mi rivesto
come ad una festa per trattenere a lungo l’autunno
negando pensieri d’inverno, ma nella lieve danza
di foglie al vento il suono del tempo fuggente
nella filigrana dorata alla terra abbandonata
il senso della vita immortale: eterna si ripete
in una storia infinita.
Mondo, non ho valigie da viaggio: il mio corredo è tutto
nel paesaggio con chiare indicazioni sul suo uso poetico.

Zufolo da pastore in stupori minimali
Un contenitore emozionale-una valigia musicante
m’accompagna dentro nell’infinito andare
di stanziale o nomade è uguale.
In scintille di note vibra a stupori minimali, visioni
gesti iterati nei giorni sorpresi in pause fra le cose.
Vita cotidie-rinnovato dono.
Stupore il lento risveglio dell’azzurro striato da luce
– matita d’oro rosata nel fumo che svapora –
riacceso in rumori abituali: finestre rideste
in simultanea, motori d’auto ovattati dal gelo
umana voce nel primo squillo del telefono.
Richiami richiami a comune appartenenza
il nostro mattutino!
Stupore il sole che riluce sull’acqua brinata
dimora di rossi guizzi, segnando perenne il suo zenit
alla campana che suona che sfuma.
Stupore il desco ritrovato in pensieri uniti disuniti
non conta, la sedia sempre fuori tono, dissonanza
all’armonia della casa, prova sicura di presenza
lo spazio fra i quadri misurati insieme allora
ricomposto ora dalle stesse mani.
Stupore il carminio vesperale che dai colli riverbera
e la stanza tutta arde nella mia sera
sigillo eterno del creato.
Vibra scintilla il contenitore emozionale:
note parole pullulano dentro premono in gola
con forza d’esserci, sgorgare fuori.
La plasmo la mia valigia musicante come creta
con dita d’anima fino a crearne uno zufolo da pastore
e provo quelle sue note per catturarne il reale suono
girando con un gregge fiorito sul verde per risuonare
fuori al mondo intero questo spartito interiore.
Poi placata sull’erba in un mare di candore, mi nutro
della melodia-poesia minimale sorpresa fra le cose:
quasi non la credo mia, ma del pastore.
Vita cotidie-rinnovato dono.