Maria Rizzi – La stanza bassa dell’attesa
28 luglio 2025
Ho ricevuto in dono l’ultima Opera dell’autrice patavina Maria Luisa Daniele Toffanin “La stanza bassa dell’attesa” – Genesi Editrice -, prefato magistralmente da Gianni Giolo, e sono stata catapultata, una volta di più, nel magico mondo di questa poetessa che scrive sotto dettato degli angeli. Il testo narra il dolore del distacco, il potere della memoria e descrive il sentimento dell’attesa in ogni sua sfaccettatura. Nulla è più radicale dell’abbandono di una persona o di un luogo che amiamo, ma nulla è più tenace dei lacci invisibili che resteranno per sempre sotto le costole, all’altezza della pancia, in tutte le fibre. “Era l’estate della casa nuova /con i riti di rate semestrali / lungo il fischio della ferrovia /il fossato verde di rane/salterine tra le pannocchie d’oro / nell’odore agro-dolce delle vigne /le ultime di fragola regina della Caterina”- da “Estate di memorie”.
La migrazione, non è intesa come l’ulissismo tipico dell’essere umano, in questo viaggio Odisseo rappresenta il deuteragonista, in quanto la protagonista è Itaca, con i suoi abitanti, le sue istituzioni, la sua storia. E la nostra autrice, migrando verso la nuova residenza, mostra di trovare la sua Itaca e i nuovi riti della sua esistenza legata a madre – natura, fonte di ogni ispirazione. La nuova casa presenta un altro elemento metaforico di grande rilevanza: si trova vicino a una stazione ferroviaria. Il fischio del treno diventa una costante dell’esistenza di Marisa Toffanin, continuerà a sentirlo nella testa per il resto della vita. I viaggi in treno sono sinonimi per eccellenza di avventure romantiche, nostalgiche, ricche di speranza e, al tempo stesso, danno la certezza che nulla è definitivo, si è sempre di passaggio. Il treno non è un aereo e non è una nave: lì fuori passano le vite degli altri non solo le nuvole e le onde. “Il fischio di tutti i treni a notte passava nel vento / salutato dal mito dell’infanzia / che viaggia viaggia sognando avvenire / sorprese di mondi non noti…” – da “I luoghi della nostra avventura” L’autrice si riferisce spesso al mito, non inteso come fatto favolistico, ma come sogno pubblico. D’altronde intorno a ogni famiglia si concretizza una mitologia, che non è creazione irresponsabile della psiche, ma risponde a una necessità e adempie a una funzione importante: mettere a nudo le modalità più segrete dell’essere. Nella casa nuova di via Ognibene – e anche il nome della strada sembra un augurio -, la Nostra sperimenta il delirio di onnipotenza dell’adolescenza, la libertà, la fantasia, l’illusione di avere il mondo in pugno- Vittorino Andreoli asseriva giustamente: “L’adolescenza manca della percezione del futuro”. “Era l’estate più azzurra / e il vento caldo di cicale /estate fino a sera di cristallo / le cose sempre terse, pure a notte”- da “Quel nostro tempo immortale”. Nell’Itaca della Poetessa ‘la stanza bassa dell’attesa’ è riferita in modo struggente allo stato d’animo di attesa del Natale. La Nostra allude al sentimento mistico, che purtroppo abbiamo perso, un calendario dell’Avvento permeato di gratitudine, gioia e preghiere. “E nella stanza bassa l’attesa / per varie lune insieme, / era incantesimo all’Evento / tra pareti a stellate ali lucenti / il pavimento tutto muschio / erbato vivo dai fossati / brulichìo di fuochi pastori greggi / d’ogni lavoro umano”. – da “L’attesa del nostro natale”.
Nella stanza bassa Il presepe dei nostri tempi equivaleva a cercare Dio nell’immensamente grande e a vederlo incarnato nell’immensamente piccolo. Ed era una festa solo di fede, Gesù Bambino rinasceva nella coscienza di noi uomini ogni anno ed era annunciato al mondo nella gioia di ritrovati sentimenti comuni di fratellanza. La lunghissimo lirica di Marisa Toffanin è un vero e proprio gioiello, un omaggio alla memoria, alla famiglia, alla verticalità. Le sue, d’altronde, sono sempre opere di grandi valori, di luci forti che risarciscono del buio nel quale siamo sprofondati. Ella ricorda il chiasso gioioso che anima ‘la stanza bassa’, ‘palcoscenico di un virtuale teatro’ che ospita la famiglia, le alunne della madre, potenziali rivali nel contendersi l’affetto della donna. Si sofferma sul concetto di teatro, al quale era ed è legata, in quanto convinta che le rappresentazioni non siano solo spettacoli, ma riflessi dell’esistenza e potenti strumenti per la crescita personale e sociale. “Si chiude rossa la sera vellutata / in mille battiti mille sempre / al tuo messaggio / nell’enigma rimeditato dentro / così è se vi pare”. – da “Così è se vi pare”- Il riferimento a Pirandello non mi sembra casuale, intitola l’ennesima perla, che si infila in questa collana fatata, con la frase chiave dell’opera omonima dell’artista siciliano, che sottolinea quanto la verità non sia unica e soggettiva, ma piuttosto come ciascun individuo la percepisca e la creda.
Anche in questo testo i territori del passato svolgono un ruolo basilare, infatti Marisa Toffanin, non ritiene giusto attribuire importanza solo alla stanza bassa di via Ognibene e al suo presepe, ma anche ai presepi di via Gabelli ,a quelli della casa -sfera “in un percorso infinito, con un valore quasi profetico di eternità”. Il libro ha carattere di diario, anche perché alterna periodi di prosa lirica a splendidi versi. Si ha, a lungo, la sensazione che la nuova casa funga da isola della felicità e da garanzia di immortalità, fino a quando le pareti della bolla nella quale vive la famiglia dell’autrice si infrangono contro le tragiche verità dell’esistenza. Si varca la soglia dell’oltre, e si è costretti a conoscere la tragica dimensione del dolore tramite il lutto più grande he si posa fronteggiare: la perdita della piccola Anna Maria di soli cinque anni. “Per molte lune per sempre da allora / mutò dimensione prospettiva quell’azzurro nel quadro della vita, / in un fondale irto di dubbi / s’offuscò il nostro cielo”. – da “E’ precoce l’ora del dolore”. ‘La stanza bassa si dilata’, scrive Marisa, si verifica una distruzione della valle dell’Eden, e nella corale sofferenza sono di grande supporto gli amici di sempre e quelli acquisiti. Ovviamente la storia dura come i passi dei diavoli cambia la mitologia dell’Itaca della Nostra, visto che, per dirlo con Alda Merini: “La sofferenza è la sorpresa di non conoscerci”. Quando un amore ci lascia si apre un buco nel mondo, occorre maturare, celebrare il lutto, altrimenti il buco non si chiuderà più. La poetessa sa affrescare il mondo dei ragazzi, così incredibilmente simile al mio, quello dei parenti e quello degli amici, che lasciano il centro di Padova come hanno fatto loro, con una tale dolcezza, che il testo acquista sapore di lascito. “Non ti sento più salire le scale / poi con mia madre nella stanza dei miti /mischiare le carte di presente e passato / con qualche dado sapiente gettato al futuro” – da “ Non più”, lirica dedicata alla zia Pina, che insieme alla zia Santa, diviene parte della mitologia della famiglia in crescita. Quanto evocano Montale i versi della Nostra… Di colpo il loro eden subisce una sorta di colpo di grazia, ‘per l’avanzare cannibale della civiltà” Sembra un ossimoro definirla così, in quanto dà i brividi a chiunque ami la natura l pensiero di allevare i figli in un luogo in cui il cortile termini su una strada. Marisa, figlia dell’erba dei campi, delle stelle, dei fiori, non rinuncia alla sua casa, al vicario di Dio, si limita ad adeguarsi a una vita nuova. Una meravigliosa peculiarità della poetessa è la voglia di adattarsi alle nuove situazioni, ampliando il proprio respiro interiore, cercando di trovare il bello nei vari cambiamenti.
Le liriche della seconda parte del testo sono dedicate al figlio, ai giovani, ai quali narra il loro costante procedere nell’attesa, consapevoli che il futuro si sarebbe potuto presentare a mani vuote. L’autrice afferma che il tema dell’attesa, nella sua accezione è ‘il propulsore dell’esistenza. Il motivo fondante soprattutto in La stanza alta nella ripresa della vita stessa dopo la guerra’. L’attesa per eccellenza nella vita di Marisa e dei suoi familiari è quella del ritorno del padre dai campi di internamento militari italiani (IMI). La civiltà, intesa nell’accezione di allora, del tempo descritto da Marisa, non è paragonabile a quella attuale. La definisce ‘modesta’ nel senso dolce, positivo del termine, perché legata alla parola, dono purissimo di Dio, lontana dal potere dei social network, regno indiscusso della solitudine. Nell’Itaca di via Ognibene, con la sua mitologia collaudata, la nostra autrice esce vestita da sposa, con le attenzioni particolari del sacerdote, che l’ha seguita come catechista e giovane dedita alla parrocchia. Nell’estratto in prosa di questo magnifico diario, Marisa recita: “In dieci anni in via Ognibene si è addensata tutta la vita e non ci siamo accorti di averla vissuta”. Il concetto del tempo che scorre è strettamente legato al senso della vita. Esiste il tempo della coscienza, che prescinde dalle lancette dell’orologio, ed è quello al quale si riferisce l’artista nel suo viaggio. Un tempo di attese infinite; di amori finiti troppo presto; di giochi, miti, sogni, che rendono elastici i giorni; di dolori fermi, come acqua di lago; di gioie in fuga, come ogni forma di felicità. La chiusa dell’avventura non poteva che realizzarsi in una lirica dedicata alla “Madre – coraggio – sacrificio” e una alla loro storia, al dolce migrare di una famiglia unita.
Ho letto il testo con le lacrime agli occhi, specchiandomi in moltissime pagine, immedesimandomi nel figlio, nei nipoti, nel marito di Marisa. La mitologia della nuova famiglia ha la necessità di conoscere le origini, di divenire patria del passato. La nostra poetessa patavina possiede un dono rarissimo: aprire la porta dell’anima e divenire poesia assoluta in un angolo di universo che vive in equilibrio sulle emozioni.
Maria Rizzi