Nazario Pardini – Fragmenta
Cara amica ti scrivo un po’ in ritardo, perché mi sono voluto ritagliare uno spazio utile per una attenta lettura dell’ultima tua opera. Comunque grazie di avere pensato a me, e di avermi dato la possibilità di rigenerarmi con questi tuoi nuovi versi di liragmenta.
E’ dall’umana contemplazione delle cose, è dalla visione di una natura che l’autrice fa sua per renderla simbolo di momenti di vita, ed è dalla necessità di fare del mito e della natura stessa un rifugio, nirvana edenico, quiete ed amore oblativo, che nasce e pulsa il cuore della poesia anche di questa ultima plaquette della Toffanin. E ancora più, qui, si concretizza la magica simbiosi fra anima e realtà per arrivare al lettore con scintille di immediatezza comunicativa: “Rinasci anima mia dalle tue brume | la luce al bacio del sole | riinizia la danza usuale nel cuore | di scrigni monili soffiati | di brezza gentile a Murano”. (Lucemagia-fantasia). “Sfiata la sera l’ultimo carminio | oltre l’ondulato bruno | ventaglio d’ali e verdi soffice | alla terra ove vivo …”. (Sera di luna azzurra).
Sì, qui, ancora di più si rafforza e si raffina il compito che la Toffanin affida alla natura: quello di parlare di lei, di esserle confidente, farsi umana per esplodere poi in invenzioni poetico-liriche che tendono a carpire l’immenso, il tutto nello sforzo sublime di percepire nel particolare vissuto il senso dell’irraggiungibile. Ed è in questo gioco di equivalenze che ancora di più si raffina il dire poetico. Lo stile è ancora più lirico, la poesia fluisce con più scioltezza in questa spontanea fusione fra articolazione di suoni e intensità meditativa-esistenziale. E più incisivo si fa anche l’utilizzo di quel significante metrico, che senz’altro contribuisce a dare organicità e continuità stilistica alle varie parti dell’opera.
“Amore, nel vento mi desti il mattino con tremuli .s- orni di greggi lontani, | con voci d’ali smeraldo-turchine | mi canti il divino già esploso | in corone d’azzurro remoto e vicine”. (Alla natura). L’utilizzo di doppi senari sembra quasi invitarti a momenti di intensa riflessione contemplativa, sembra quasi rattenere il tutto, frenare i movimenti per fissare la bellezza dell’eterno in un quadro fuori dal tempo e dallo spazio.
In questa lirica, dove più che in altre l’autrice riesce a raggiungere vette di grande intensità lirica, il canto si fa romanza pucciniana, si fa totalità, si fa completezza, si fa ascensione da vento, da greggi, da arse cicale, da canne eucalipti ed ulivi, a respiro di eterna bellezza d’amore.
Lo stile dell’autrice è quello solito di una penna che ormai, autonomamente, schizza, macchia, schiarisce, frena, accelera, utilizzando, con pratica originale e personale, registri diversi; dando cuore, ad esempio, ad endecasillabi, che, in mezzo a costrutti di misura maggiore o minore, si fanno vere cascate di armonia: “L ‘attesa prende l’attimo del cuore | col suo magnificat | mille pulsazioni-vibrazioni | di note intime-onde di lucciole | … l Ma sempre nel profondo la percorre | Un fremito di luce da ignota sorgente | …” (Variazione). “Non è doglia l’attesa del germoglio | più lento dal grembo della terra | se tramuta in dolce cura-linfa …” (L’attesa). “Limpido nel traforo il campanile -” immacolata l’umile .facciata | un incanto unico presto svanito: svuotato lutto il dentro consacrato l e muto senza slanci di campane”. (Frammenti).
E lo stile si addensa in univerbazioni e unità sintagmatiche, là dove l’autrice tende a cogliere l’essenza, là dove la Toffanin ambisce a fissare immagini con un linguaggio il più vicino all’infinità dell’anima.
Un caro saluto Nazario Pardini
Arena Metato, 2006