Mario Richter – La stanza alta
Considerazioni di un “non padovano”
La stanza alta dell’attesa tra mito e storia
Cenacolo di Poesia 13.02.2020
Mi sto chiedendo se uno come me è poi adatto a presentare e a dire qualcosa di pertinente sul libro che Marisa Daniele Toffanin ha recentemente dato alle stampe. Questa perplessità mi viene soprattutto dal fatto che io non mi posso considerare propriamente “padovano”.
Ho infatti conosciuto le emozioni della prima giovinezza (e tutti sappiamo che sono molte, e quanto esse siano importanti) in un paese fra colline, montagne e prati, esattamente a Valdagno, che si trova in una verde valle della provincia settentrionale di Vicenza.
Qualcuno potrà osservare che comunque, nel mio caso, una certa vicinanza a Padova c’è, poiché si tratta pur sempre di Veneto. L’osservazione sarebbe anche giusta, qualora non dovessi però precisare che a Valdagno, tutto sommato, io ci sono vissuto, come dire, da “diverso” (o, come si dice là, da “foresto”), e questo per il fatto che la mia famiglia era di Milano. Mio padre, ingegnere appunto milanese, dedicò un’abbastanza lunga parentesi della sua vita alla funzione di responsabile del settore tecnico del lanificio “Marzotto” (azienda che conosceva all’epoca il suo massimo splendore). Alla fine degli anni Cinquanta l’intera mia famiglia tornò a Milano.
Sono dunque veneto, sì, ma soltanto a metà, e molti aspetti della vita di questa regione, con i suoi risvolti più intimi e segreti (che sono in gran parte veicolati dalla sua lingua e dalle sue tradizioni) spesso mi possono sfuggire nel loro carattere più vero e più emozionante.
Padova io l’ho inizialmente conosciuta, in anni ormai molto lontani, quasi soltanto da studente, e pertanto l’ho potuta osservare solo nell’ottica un po’ distratta e in ogni caso alterata di chi ha la principale occupazione di seguire le lezioni e di affrontare gli esami.
Successivamente, da quando nel 1977 sono tornato a Padova per rimanerci definitivamente, ho rivisto e rivissuto la città conoscendola ancora un po’ dall’esterno, senza vera “innocenza”, condizionato dalla visione di un adulto che vive nel particolare ambiente universitario e in un’età di solito meno facilmente disposta a guardare poeticamente il mondo. Ricordo però un’eccezione a questo riguardo: la Corte Lando (o Ca’ Lando) che si trova proprio nella via Gabelli così appassionatamente rievocata e celebrata nel libro della nostra Marisa e suggestivamente illustrata graficamente in copertina dall’eccellente Marco Toffanin. Confesso che questo luogo magico, da me conosciuto casualmente soltanto in età non più giovane – senza che allora me ne fossero noti nemmeno il nome e la celebrità – mi ha incantato e commosso fino alle lacrime (e non ne saprei spiegare l’esatta ragione). Posso soltanto dire che è un luogo civile, fiabesco e religioso insieme, un vero angolo di “Paradiso”… sì, un “incanto” (come dice Marisa a p. 57 e altrove nel suo libro), a mio parere più “Paradiso” ancora della pur splendida abside di Santa Sofia.
Questa premessa personale spiega il motivo per cui la nuova opera di Marisa l’ho letta non tanto come possibile verifica o riconoscimento o ricupero di luoghi e sentimenti comuni, quanto piuttosto come apprendimento, come scoperta di una realtà cittadina, di una “vita-poesia” (Via Gabelli, atmosfere poetiche p. 40) a me in gran parte scarsamente nota. E questo mi ha comunque regalato molte rivelazioni inattese. Mi ha messo a contatto con una realtà osservata, nella memoria, da uno “sguardo-bambino”, che nel suo stupore spesso raggiunge anche valori di carattere davvero universale. Questa realtà è proprio, come dice Marisa a p. 37 (Giannina e Maria) “un mondo innocente di poesia”.
La rievocazione è costruita tramite un’alternanza di prosa e versi. Ogni cosa trae vita e vigore da un costante sentimento, quello dell’attesa, sempre alimentato da una costante e vigile speranza di portata cristiana. E a questo punto non trovo migliore soluzione che riprendere, come sintesi di una mia complessiva valutazione del libro, quanto è riportato nella quarta di copertina.
Avvalendosi del prezioso commovente carteggio che in anni difficili ha mantenuto costante il rapporto fra i suoi genitori divisi dalla guerra (carteggio che è stato meritoriamente pubblicato con il prezioso concorso di Massimo Toffanin), Marisa ha ritrovato commosse movenze di forza lirica (si veda almeno Via Rinaldi: “O amicizia senza tempo nei giardini / nelle case della gioia e del dolore / nell’aiuola del sole ove ormai riposi / viva ancora nella bellezza dell’arte / nel cuore mio in cui amica / sempre più manchi / nel filare insieme il senso delle ore”, p. 113). Non è poi possibile dimenticare lo straordinario slancio emotivo presente nei versi che riguardano il padre reduce dalla tragedia bellica (“E al vento d’anemoni e viole / umile sorrideva all’erba della terra”, Paradigmi d’oggi, p.125). Non si possono poi dimenticare i brevi versi, semplici e commossi, della poesia A Elvira, nella quale è evocata la perdita dell’usignolo e che mi piace ora rileggere (p. 90).
Con questo libro ci è dunque fatto dono, con nuovi e già noti accenti, di una coinvolgente emozionante impresa di poesia, il cui interesse, grazie a molte situazioni “universali” e intimamente umane (come ho detto), può raggiungere con efficacia anche un pubblico non strettamente padovano, pubblico fra il quale io stesso mi annovero.
Nota in quarta di copertina
In questa organica raccolta dal carattere rimemorativo e dall’impegno poeticamente autobiografico, Maria Luisa Daniele Toffanin ci consegna tutto un mondo legato ai tempi incantati dell’infanzia. Si tratta di una realtà ricca di suggestioni, illuminata – tramite un’alternanza di prosa e versi – da ampi slarghi elegiaci, da visioni e meraviglie. Ogni cosa vi trae vita e vigore da un irrinunciabile onnipresente sentimento, quello dell’attesa, sempre alimentato da una costante e vigile speranza. Avvalendosi del prezioso commovente carteggio che in anni difficili ha mantenuto costante il rapporto fra i suoi genitori divisi dalla guerra, la poetessa padovana ha ritrovato commosse movenze di forza lirica (si veda almeno Altri pomeriggi: “O amicizia senza tempo nei giardini”, con tutto ciò che segue). Non è possibile dimenticare lo straordinario slancio emotivo presente nei versi che riguardano il padre reduce dalla tragedia bellica (“E al vento d’anemoni e viole / umile sorriso all’erba della terra”). Maria Luisa Daniele Toffanin ci fa ora dono, con nuovi e già noti accenti, della sua coinvolgente impresa di poesia, il cui interesse, grazie a molte situazioni “universali” e intimamente umane, può raggiungere con efficacia anche pubblico non strettamente padovano.