Giuseppe Ruggeri – Pionieri a San Domenico
Ci sono età della vita che si ricordano più volentieri di altre. Che si ricordano, anzi, e tanto può in fondo bastare. Età di colori e suoni e vaghezze distanti dal peso del presente e trasfigurate dalla memoria che le depura dalle scorie dell’abitudine, del già visto, ma, soprattutto, del rimpianto. Una di queste età è indubbiamente quella nella quale i sogni della giovinezza si realizzano, componendosi in linee sempre più vive il disegno dell’esistenza destinato poi a sorreggere i crolli inevitabili dell’avvenire. Una dimensione aurea la quale, malgrado le fratture del tempo, costituirà la bussola che orienterà i futuri comportamenti di chi quell’età ha vissuto nella giusta ed equilibrata pienezza.
Quest’età aurea narra, con la sua cifra poetica sempre fresca e vitale, Maria Luisa Daniele Toffanin in “Pionieri a S. Domenico”, un diario “minimo” in forma di poemetto che celebra il compleanno di una casa – la casa della Nostra, in S. Domenico di Selvazzano – dove ella ha costruito la famiglia e tuttora abita, immersa nell’incanto di una natura prodiga di bellezze e circondata dal dolce abbraccio dei colli Euganei. Quarantacinque anni di permanenza in un luogo ormai diventato simbolo di “lacrime litigi risate / nel gioco eterno che unisce e divide”ma anche di “minute cose vissute fino all’anima / in una fantastica dimensione della vita”.
Ne nasce la descrizione – d’intensa liricità – degli aspetti bucolici di ambienti rubati alla frenesia della vita post-moderna, collazionati in versi nei quali ricorrono, al modo consueto della Nostra, immagini di una natura pullulante di libellule, cicale, gatti, topi, che giocosamente fanno corona sia ai trastulli dei bambini che alla rapita osservazione degli adulti. Un diario di momenti che certo non torneranno, ma che si sono talmente scolpiti nell’immaginazione da costituire autentici archetipi dell’anima potendo pertanto ripresentarsi, sotto sembianze diverse, in qualsiasi altro momento della vita. Ma soprattutto è, questa età della Toffanin, “ignara ancora della paura, età innocente” una sorta di paradiso rousseuiano impenetrabile alle insidie di consapevolezze che verranno dopo, quando “bradisismi terremoti fisici psicologici” metteranno a repentaglio l’allegra spensieratezza di un’epoca. Una specie di baluardo diverrà allora, quell’età felice, per i semi che avrà accumulato e che fungeranno da riserva per fronteggiare l’urto delle nuove contingenze.
L’epoca insomma del “rosario di lacrime / del compianto nella casa del Signore / per giovani padri, madri / anzitempo rapiti alla loro quotidiana storia / e là elevati all’Eterno” l’epoca della devastante alluvione che seminò lutti nella ridente valle di Selvazzano, avrà infine, quale contrappeso necessario e provvidenziale, la presenza del “Sacro che perdurava / archetipo-radice del nostro vivere / ai primordi del mitico quartiere / spazio d’umana formazione”. A significare che l’educazione spirituale della famiglia, guidata dall’opera della parrocchia di S. Domenico Guzman, ha saputo arginare l’effetto destabilizzante degli eventi, riconducendo al “ritmo del Creato” l’andirivieni delle vicende che tocca vivere all’uomo e così godere in pienezza il “dono-rinnovo di vita / nuova minuta risurrezione, / per sconfinare il nostro tempo dell’attesa / in distese di turgide vigne / promessa-meraviglia di grappoli d’oro”.