Giorgio Poli – Iter ligure

Dopo aver a suo tempo esaltato le bellezze della sua terra in Per colli e cieli insieme mia euganea terra (2002) e quelle siciliane in A Tindari (2000), la poetessa padovana licenzia questo Iter ligure a ulteriore prova della sua piena congenialità nei confronti della poesia “ambientale”. Questa rappresenta una vera e propria sfida perchè presupppone una componente descrittiva, sulla quale però è vietato appiattirsi pena lo scadimento. Sono 32 testi (ma come fa N. Pardini nella sua peraltro empatizzante Presentazione a contarne 56?) distribuiti in maniera più o meno uguale in tre sezioni (Trame d’armonia, Suoni-colori e Pause). Questo iter ligure tocca la Riviera di Levante con una particolare e giustissima predilezione per le Cinque Terre, e l’autrice si rivela pienamente conquistata dalla selvaggia eppur civile bellezza di questo territorio, di cui capta, con prensile sensibilità, luci e profumi, colori e suoni, voli di uccelli tra terra e cielo, ecc. Da qui il canto: spiegato, gioioso, armonioso.

Quando in un libro di versi si legge un paesaggio, s’intravede generalmente come in una filigrana, al di là degli oggetti e delle presenze che lo costituiscono, il profilo di un’anima. Se Montale, che trascorreva le sue vacanze giovanili a Monterosso, inquadrò il paesaggio ligure entro un naturalismo aspro, assolato e sofferente (“ossuto” si direbbe), M.L.D.T all’opposto lo percepisce come luminoso e smemorante, a specchio di un’anima aperta, fiduciosa, positiva; in una parola solare. Immergendosi nella lettura di questo Iter è difficile discacciare un fantasma che vi aleggia intorno: quello di G.D’Annunzio, ovvero il tentativo più alto, alle soglie del Novecento, di riprodurre la totalità della vita sulla pagina; e in fondo la sua Versilia è assai vicina al Levante ligure. Se poi il secolo ha voltato le spalle al vate pescarese non è detto che il prudente recupero, qui attuato, della nostra poetessa sia da censurare. Anzi. Parlavo poco sopra di “voli di uccelli tra cielo e terra”. Se gli Etruschi ricavavano presagi dall’osservazione del loro voli, un poeta esprimerà con questo motivo la tensione alla verticalità. Ecco quindi la pregevole Un rondinare bianco (p.28) che sin dal titolo (felicissimo per quel neologismo denominale accoppiato ad un aggettivo intriso di luce) lascia bene sperare. All’inizio di gusto impressionistico segue la descrizione del vorticoso e trillante movimento degli uccelli, sostenuta da una ritmicità vivace e scattante. Infine la chiusa che merita la citazione: “E l’anima ad alare in bianche piume | lieve a carpire ai voli ai nidi | vivi i segreti del cielo”.

Il canto ligure toffaniniano è contrassegnato da una temperata sontuosità canora. Esso si puntella si una sintassi scorciata e dinamica (costrutti prediletti il polisindeto e la preposizione a seguita dall’infinito), su una lingua duttilissima nel suo preziosismo di fondo, su strutture testuali pluristrofiche ariose e leggere.

Sbaglierebbe però chi pensasse, sulla base delle considerazioni precedenti, che l’attenzione del soggetto fosse unicamente rivolta e concentrata sull’esterno, sul dato naturale-paesistico. Non mancano infatti ripiegamenti e trasalimenti, simbolizzazioni improvvise e impreviste, come ad es. nella lirica Al poeta (apparentemente indirizzata dal soggetto ad un interlocutore ma sostanzialmente a se stesso): “D’agave, poeta, è il nostro giorno | radicato così allo scoglio irto | nel delirio mai finito d’azzurro | struggente amore del vivere” (p.4). Poesia, questa, occasionata da una passeggiata sul “Sentiero dell’amore”, quello che collega Riomaggiore a Manarola. Insomma, direi proprio in conclusione che la nostra poetessa ha vinto la sua sfida.