Premio Aeclanum XLIII
Rinnovo i ringraziamenti alla Presidente Prof.ssa Luisa Martiniello e a tutta la prestigiosa giuria del premio nazionale di poesia Aeclanum XLIII edizione per il primo premio assegnatomi a La stanza alta dell’attesa.
Riporto sottostante la preziosa motivazione della Presidente:
Maria Luisa Daniele Toffanin: La stanza alta dell’attesa, Valentina Editrice,2019
La stanza dell’attesa è il luogo ove si custodisce il ritmo dell’amore, nasce alla vita Maria Luisa nel letto-custode di memorie, della vita e della morte all’ombra della romanica chiesa di Santa Sofia; è la stanza nella quale si sperimenta l’attesa, resa meno dura dal conforto della preghiera e dell’amicizia, che si erge come “un grande albero che dà ossigeno e rifugio”. È il luogo dell’attesa materna in primis dello sposo dai campi imici /a lei stretto da un rosario epistolare/d’amore dolore premura, che quadruplica il vuoto dell’abbraccio, l’angoscia per la mancanza della presenza per lei piccina, che diventa comune linfa interiore, sotto cieli plumbei, solo da neri corvi solcati/ per magia d’amore/ mutati in candide colombe. Un padre da conoscere attraverso le lettere scarne per effetto della censura, un padre conosciuto realmente, a poco a poco, dopo il suo ritorno. Nella prima sezione dal titolo Rituali suoni, attimi, immagini sbiadite ricostruiscono fotogrammi: Pippo con le sgravanti bombe mortali, il rifugio aereo, un Bubi addosso che difende dalle fredde notti. Da un lato la madre: la sposa-madre-vestale, dall’altra il padre di cui ricorda il battito del tuo non detto/per quel pudore-dignità: sudario/sull’altare del dolore, che in prigionia supera la straziante lontananza richiamando l’immagine baluginante ad ogni ora / di profili sguardi sorrisi incisi nella cavità del cuore/ richiamo che chiama richiama la vita/la casa-gomotolo di speranza infinita. La tensione è nella mancanza di punteggiatura, nella sequela di termini che si rincorrono per associazione, rimandi fonici e non solo. L’uso di metafora e/o sineddoche contribuisce a ritrarre in poche pennellate di versi l’atmosfera intrisa di ricordi, odori, suoni, sottolineati da una musicalità che è riscontrabile per le rime, le assonanze, l’uso qua e là di termini aulici quali: lietante, captivo, casa-cuna franta. La logorante attesa nel Campo di Benjaminow n.5437 ripropone la trama del vissuto/ incubo di giorni umiliati arresi/nel vuoto smarrimento del proprio ego/alle fauci della fame del gelo/al raschio degli insetti/all’alito di morte sui reticoli e diviene specchio dei tempi bui, di tutti i tempi bui in cui l’umanità è ancora colta nel fruscìo del pacco//condiviso come una comunione, nel fruscìo dell’ago-filo a ricucire una parvenza di rispetto di sé e trova una via d’uscita nella linfa-logos dei Grandi che fa andare come sottolinea l’anafora oltre il limite delle baracche/oltre lo sguardo folle del presente. Con una sequela di flash-bach, la poetessa riattiva il cono di luce su frammenti di ricordi e riaffiorano presenze più nitide : Giannina che incornicia col canto gli occhi del padre quali azzurre essenze del giardino,o più sbiadite dal tempo, ma tutte custodi del vostro mio passato, Jolanda nel suo musicale veneziano, la nonna Elvira, la zia Amalia ,lo zio violinista, ardente partigiano, quei ragazzi che frequentavano la scuola al Portello,Ada, a ricordare che proprio “nei periodi di terra più magra l’amicizia germoglia come albero frondoso-riparo, con radici profonde diramate in trame davvero inattese nel dopo,quasi un dono immortale degli dei”,e si scopre luce che si ravviva per desiderio così vivo dell’insieme, che si scopre più sincera nel periodo magro postbellico// all’ombra dei portici nelle piazze patavine con un ardore riacceso dal ritrovarsi vivi/nella vita rinata a un’aria frizzante di attese, mentre nell’opulenza si va più veloci più avari di parole gesti/l’aria più satura d’apatia d’indifferenza. Le voci autentiche sulle terrazze, lungo i portici fanno pensare all’appartenenza al una famiglia più grande, tessera valoriale, ecco perché per la poetessa vagare nel travaglio della memoria non è ricerca del tempo perduto/sofferta nostalgia del passato//ma ricupero di calchi da calcare/cifra di un vivere altro//cum-divisione di gioia e dolore/per una nuova umana dimensione.Lo struggimento caratterizza l’attesa, che a sua volta contraddistingue i giorni dell’infanzia; l’attesa del padre si concretizza in un dono di due scarpette di cuoio e la cenere della sigaretta caduta sulla sua manina, segno d’un giubilare tremore d’incanto, nell’attesa della notte di Natale si perpetuano presenze amicali, parentali, tutte accolte come antichi eroi, ed ecco suggestioni in uno svolgersi da pellicola: lo stupore-bambino di fronte ai guizzi girini//sorpresi nel vaso di latta, il soffione tarassaco//lampo setoso sfrangiato nell’aria, la statuina di gesso trasmessa nelle mani del figlio e poi della nipotina,il suono struggente di cornamusa: l’attesa//della Luce nella tenebra;la focaccia materna dall’odore inconfondibile di mela e cannella, gli scampoli comprati a poco nelle botteghe del ghetto, gli stupori campestri, le cantilene contadine della nonna che il vento smemorato s’è portato via, i rifugi agresti dove difendersi dai bombardamenti; un emergere di rimandi emozionali che sgorgano dalle stanze dell’anima/ come lava dal cratere, ed ecco sul palcoscenico dell’anima farsi avanti l’oco bianco che beccava il gesso dall’intonaco permancanza di calcio,la terrazza, la cucina, il salotto buono, la processione del Corpus Domini lungo le vie a petali di rose o quella per la città intera attraversata/dal santo dei miracoli presente nelle radici delle case; ore rincorse nel gioco, giardini, slarghi, piazze con un profumo di amicizia, d’eleganza, cifra di un’antica Padova altra, che educava al buono e al bello, all’armonia e alla bellezza, di ciacoe scambiate con sorrisi, luoghi operosi all’insegna di solidarietà per risollevarsi insieme dall’inerzia del diluvio bellico,episodi,presenze che il tempo sbiadisce, amicizie consolidate con un carico di fatti, scelte, emozioni che la poetessa fa riaffiorare e cristallizza per tramandarne la loro epicità, anzi come uccello di passo è migrata in altra casa, ma qui un’altra stanza bassa ha già in serbo uno scrigno/cratere indicibile di attese da raccontare. Nell’attesa, noi lettori, diamo spazio al recupero memoriale delle nostre antiche presenze, al sapore condiviso d’un batuffolo di zucchero filato, di una calza promessa di promozione d’intenti e diamo fiato perché anche i nostri versi – soffione dilaghino nei cuori altri.
Luisa Martiniello