Silvana Serafin – Postfazione “La stanza bassa dell’attesa”

POSTFAZIONE DI SILVANA SERAFIN

Il magico mondo di Maria Luisa Daniele Toffanin

Giunti alla fine del libro, assorbito avidamente per l’elevato coinvolgimento nella costruzione stessa della creazione, sorge una prima considerazione: l’infanzia e l’adolescenza sono momenti formativi a cui il pensiero ricorre costantemente per trovare conforto e serenità. Tutto si fa nitido ad iniziare dai volti sfumati dal tempo sino agli spazi lontani. Attraverso la presentazione di geografie storiche ed intime, vengono fissate le coordinate di una cartografia personale, che fa volare il lettore nel mondo “magico” di Maria Luisa Daniele Toffanin.

Via Aristide Gabelli prima e via Ognibene della Scola con i suoi spazi naturali, poi, costituiscono il contesto da cui scaturisce un flusso inarrestabile di memorie, di affetti, di emozioni, di incontri, di scoperte che si snodano tra poesia e prosa mettendo in rilievo emozioni intense, mai cancellate, dando immortalità a genitori, parenti ed amici. Ciò fa emergere non solo il percorso evolutivo della scrittura, ma anche la spiritualità dell’autrice, la cui osservazione delle cose comuni, presentate curiosamente da prospettive molteplici, guidate dal gioco e dalla capacità di sorridere, dall’accettazione del dolore e dal senso di effimero che la vita contempla, rafforza in lei il legame con la madre e con le proprie radici.

La sua poesia si fa, pertanto “trasversale”, ovvero un oggetto poetico che va al di là della parola penetrando nell’essenza dell’infanzia da cui tutto ha origine. L’ orizzonte mentale si allarga e l’etimo, analizzato nei reconditi significati, modella visioni che trovano consistenza nella complicità umana. La consegna alle strategie discorsive del ricordo è totale, ammaliando il lettore per la capacità affabulatoria e descrittiva: non solo l’ambiente fisico viene rilevato nelle minime particolarità, ma le stesse pulsioni recondite dei suoi abitanti contribuiscono ad arricchirlo. Un esempio su tutti è la stanza bassa che si dilata, per usare le parole della poetessa, “nell’estensione senza limiti della natura ancora vergine, nel calore più intenso dell’amicizia, come un nuovo nido da cui uscire con ali più sicure e fantastiche al fischio del treno della Veneta”.  Soprattutto essa viene identificata con la madre: “Eri tu, madre, la stanza bassa / il bozzolo ove crisalidi ci nutrivi / di ali-colori per arditi voli / nel divenire farfalle uniche / in spazi espressivi diversi”.

Luoghi reali, percezione del mondo, limiti spaziali e temporali rendono palpabile  l’invisibile e rivelano aspetti occulti, modellando un’altra realtà dal valore sovversivo, in cui ogni cosa obbedisce unicamente alla legge del desiderio che, nella sfida del limite, si rinnova costantemente aprendo ulteriori spazi di conoscenza, capaci di esplorare anche la marginalità storico-sociale, il periodo buio della guerra e le ristrettezze del dopo guerra che, tuttavia, si apre alla speranza di una prossima rinascita. Filo conduttore sono i ricordi i quali s’intrecciano nello spazio “ambiguo” del testo e si espandono nelle fantasie del lettore, sopraffatto da tanta ricchezza d’immagini e di visioni. Si tratta di un mosaico di scene, di episodi riguardanti la vita di “Marisa” – nella crasi dei due nomi si cela l’amorevole tenerezza dei suoi familiari –, talmente aggrovigliati da costituire un solo argomento unitario.

In un rimando costante di riferimenti dalla realtà all’immaginazione, in un alternarsi di forze contrastanti, l’autrice, ora costretta tra gli interstizi del presente, è in grado di librarsi in voli di speranza che le permettono di sognare il passato, rendendo indissolubile il vincolo individuo-contesto, ricostruito retrospettivamente attraverso il ricordo, vera fonte del genius loci. Un ritorno alle origini per ricuperare l’energia necessaria, per non smarrirsi nella quotidianità e per la necessità di non dimenticare.

L’intero volume conferma le ormai consolidate e mature qualità poetiche e narrative di Maria Luisa Daniele Toffanin, che intende l’atto della scrittura come spazio del pensiero individuale piuttosto che come mezzo di espressione. Attraverso l’ininterrotto scorrere di pensieri, percepito nella qualità di tempo cronologico o tempo logico, condivide emozioni e sentimenti personali con l’immediatezza e la freschezza dell’invenzione. In virtù dell’abilità di una Sherazade che incanta il lettore, ammaliato dal “ritmo dolce – e allo stesso tempo cadenzato – l’autrice, abile scalpellina del verso, riesce a infondere a componimenti di lunghezza variabile, spesso di notevole estensione e dal tono leggermente cantilenante, grazie alle frequenti ripetizioni e alle anafore che arricchiscono il tessuto del testo con richiami e parole piane, pensate proprio per essere cantate”. Con questi termini si esprime Ivan Fedeli, nel segnalare la poesia “La stanza bassa”, contenuta all’interno di Trame di armonie, silloge inviata al Premio Renato Giorgi-Sasso Marconi di Bologna.

La capacità di sintesi, la ricchezza di immagini, la prosa poetica, musicale, senza rime e senza ritmo costante, ma flessibile nell’adattarsi ai movimenti lirici dell’anima e alle oscillazioni della fantasia, ne connotano lo stile, frutto di una sapiente fusione di elementi, di ironia che sfocia a volte in uno sberleffo irriverente, di rimpianti, di risate liberatorie e di struggenti malinconie. il verso si apre a sonorità armoniose, fondendo bagliori di speranza e di nostalgia con cupe atmosfere di dolore. Tutto ciò mantiene alta l’emozione del ricordo, il cui racconto, sempre partecipe e coinvolgente, è credibile testimonianza di affetto nei confronti della famiglia d’origine di cui la “madre-la gran fiamma” ne è il fulcro: mondo naturale, città, individuo e società costituiscono un fermo punto di riferimento le cui radici affondano nell’infanzia e nella adolescenza.

Ed è proprio in questo periodo di attesa che s’innalza un augurio perituro e dal potere salvifico: “Sia il cielo sempre / sorgente zampillante di attese /come lucciole accese fra le mani/ a illuminare fedeli / le tenebre interiori / sempre alla ricerca della cometa /nel cammino dei magi”. Il passato si proietta nel presente, anticipando il futuro, il ricordo si materializza facendo entrare il tempo perduto nell’attualità. In fondo è esattamente questo il senso bergsoniano della memoria come progresso, piuttosto che regressione del passato nel presente. Universi paralleli vivono simultaneamente in una pluralità di presenti, di paesaggi, di situazioni e sono resi nella loro intrinseca verità e autenticità, con il carico di sofferenza, di angoscia, di paura, ma soprattutto d’amore e di speranza nella vita, racchiuso, simbolicamente nella stanza bassa, ovvero in quel “Luogo – fisico e metafisico insieme – dell’attesa bambina” (Stefano Sodi, Magie di attese). Da quello spazio mitico, trasformato “in un palcoscenico di un virtuale teatro che raccoglieva le emozioni”, guidato “dalla gran madre regista, esempio di vita poi da imitare”, si irradiano insegnamenti “affidando alla Parola ricordi, progetti, emozioni, speranza nel procedere”.

Preziosa per chiarire dubbi e perplessità, è la Nota dell’autrice che  accompagna il lettore per mano nel labirinto della creazione, del linguaggio dotato di registri diversi: “quello attuale dei media, storico, sociale, lessico familiare, impreziosito dal latino derivato dalla mia formazione umanistica e capace di sintesi-documento del passato, dai francesismi, in auge in quei tempi, fino a divenire un insieme di voci anche dialettali – espressione del corale vivere – che è il proprio linguaggio, quello della propria vita, pensiero e cuore”.

 Viene spiegato anche il ricorso a singole poesie, apparse in altre raccolte. Ad esempio la “Stanza bassa” –inserita nella silloge La stanza alta , si amplia in questa ultima fatica poetica, pur mantenendo il concetto di partenza e la medesima denominazione. Ripropongo, pertanto, il pensiero articolato a suo tempo da Rosa Maria Grillo, la quale individua opportunamente l’essenza della stanza bassa, ovvero “il tempo dell’infanzia, dell’attesa, dello stereotipo femminile dell’accoglienza, della passività, e i ‘luoghi dell’anima’, mete selezionate dal ricordo e tappe fondamentali di una crescita che non è mai fuga ma eterno ritorno su un sé maturato e capace di inglobare e far convivere le diverse tappe, persino la ‘stanza-bassa’ della stanzialità con le mete del viaggiare. La Penelope che intraprende il viaggio non rinnega il tempo dell’attesa, ma lo conserva gelosamente nella stanza-bassa sublimata dal ricordo per costruirvi sopra l’architettura del viaggio, delle tappe e delle mete raggiunte, costituendo nei momenti più ispirati un viaggio circolare che non sprofonda mai nel vagare senza senso e nel rigetto dell’origine che sono propri di certo nomadismo contemporaneo (Oltreoceano, 6/2014).