Dante Cerilli – Il poeta di Pagine Lepine

Come direttore di “Pl” ho scelto il titolo dell’editoriale di Arcangelo Ruzza, condividendo la riflessione ed il monito che le sue parole recano. E non è un caso che il fascicolo odierno sia costruito sul poeta Vieru cui si affianca l’originale presenza della poetessa Maria Luisa Daniele Toffanin. La scelta non è stata casuale, occorreva proporre di spalla una scrittrice, italiana, di sicura levatura.

L’esperienza poetica di Daniele è lunga, si è formata attraverso le istanze migliori della poesia novecentesca (l’amicizia con Andrea Zanzotto), cimentandosi con vane dimensioni dello spirito ed i temi ad esso connessi: l’amore, la maternità, l’amicizia, i luoghi (paese, terra natale), l’attesa, l’assenza, ove per assenza è da intendere anche morte; parola esorcizzata in tutta la poesia italiana del secondo novecento almeno sino ad oggi. Vi è un abuso degli eufemismi ma non è il caso di Daniele (che la rende metafora, appena addolcita, ma comunque non la nasconde), tanto più non lo è di Vieru che addirittura ebbe modo di dire che non temeva la morte e che la compativa poiché essa non aveva una madre e non aveva dei figli!

Una poesia completa dunque, perché è completa anche la personalità., amichevole e discreta, che la crea e la esprime, essendo Daniele impegnata nel sociale, educatrice come missione di vita, fatto che non si esaurisce alla sola esperienza lavorativa, ma diviene funzione paideica.

Tanto sente la poesia, sua vita, che si avvertono pervasive note di malinconia o di gioia, appalesate dalla forza stessa della lingua scritta. Prendo in esame qui tre testi densi e pregnanti inediti, che delineano stili e contenuti prediletti.

A te sapiente d’erbe d’essenze

Alla poesia dell’attesa. cui l’aspirazione e il desiderio preludono al divenire dell’atto, il poeta affianca il tema dell’assenza Il vuoto e la mancanza. la fecondità e la vita. come nei miti antichi della terra – con allusioni al ventre primigenio dell’interiorità che tutto rigenera e perpetua nell’intimo – o in quello di Amore figlio di Poros (ingegno) e Penia (povertà, mancanza) diventano occasioni di saturazione psicologica e sentimentale mirando a ricostruire una circostanzialità di ambiti e di contesti pacificatori del commiato (dell’ assenza del vuoto), finemente intrigati con ingegno ed amore. La levità, la leggerezza che ne risulta consacrano, la fede che l’autore ha nella parola. Si noti la scrittura della prima strofa, il cui moto interno è moto sintattico e morfologico: una dinamica staffetta di linguaggio tra formule non consuete di predicativi (o comunque complementazioni di qualità), e attribuzioni, nonché i refrain anaforici e le asimmetriche similitudini. Spostamenti di accenti, pause involontarie o imposte (come nello scalino tra 6a e 7a riga della 4a strofa), intonazioni glissate tra melodia e colore commemorano, col dominio delle passioni, l’amicizia e la vita.

Eri di sole tu
come un campo di grano
fragrante di pane di buono
dolce innocente lo sguardo
come il primo fiordaliso.

Eri l’estiva aria
sapiente d’erbe d’essenza
pacata calda sempre
vibrante d’arcana energia
in suasivi lenimenti.

Ma fiorivi ancora la tua primavera
quando improvvisa gelata
fuori tempo, come nota stonata
nella più armoniosa melodia,
ti straziò in una morsa
la tua bionda estate
l’acerba tua primavera.

Si spengono i petali
nelle aiuole del mio cuore
al mistero d’ogni vita strappata
anzi tempo dal suo ramo in fiore,
per te ancor più ch’eri d’aria e sole
e avevi un bocciolo appena dischiuso
che si farà corolla, solo.

Rifremono i petali interiori
al presente sentire
ché tu aleggi ancora
in un campo di grano
in echi di cieli di fiordalisi
forma lieve evocata
da miti di terra vergine.

Epistula

Palpita di festante maternità questo testo che celebra l’attesa della vita nuova, dimostrando, il poeta, di rimanere incantato dalla prodigiosa “divinità” dell’essere che si riproduce. Simboli ed analogie richiamano l’atto dell’incarnazione che si innesta in un contesto di sacrale panismo di terra, di cielo, d’acqua e di luce (il poeta non sceglie la parola “fuoco”), il cui fenomeno vitale affonda l’afflato originario dal mistero (che è Dio) e dalla natura che lo nutre, appercezione di un ordine soprannaturale vigente anche nella precedente composizione.

Non so dirti
di questa attesa di vita
qui nella casa-nido ancora implume

del nostro trepido sentire al mistero
che in te dentro si matura
dischiuso in cerchio d’armonia divina.

Non so dirti
come d’ogni umana gioia, non so dire
che dà tremore alle membra
anche se il cuore rassicura

come d’ogni grande gioia
che solo a verbale moto può turbarsi
fino a spezzarsi fra le dita.

Solo in sembianza di fiore
so dire prodigio d’attesa
come silenzio di bulbo
nell’arcano suo grembo

da subito vibrante vita viva
nel lievitare lento
nel divenire sostanza-forma
in lievità di petali.

Solo in echi di cielo e terra
so dire stupore d’attesa
come presenza intima di luce
albale sempre in te accesa

come profumo d’erba tenera
di primavera che ti cresce dentro
e ovunque t’accompagna.
Leggero sobbalzo e volo.

L’amore

L’immensità che cerca di rappresentare il poeta nell’edificazione dell’Amore ha un’emblematicità contingente e non eclatante, fatta dell’oggettività esterna della realtà e della soggettività di un sensibile modus vivendi, individuale, intima e coinvolgente; eppure già dall’esordio dei versi si percepisce da determinazione espansiva e centrifuga del sentimento che l’artista vuole imprimere alle parole, una sorta di intendimento mirato a non isolare il sentire d’amore nell’assoluto e ad alienarlo, quanto invece a renderlo assimilabile e confrontabile con simboli e riferimenti in apparente contiguità e relazione. C’è un cantare che inneggia, volto a suggerire e conclamare la grandezza straordinaria dell’Amore.

L’amore è immenso
come un grattacielo di Manhattan
con tante stanze tante presenza
e non si sfalda facilmente
se condiviso
in incontri d’azzurri sensi.

E’ inesauribile come sorgente
dall’Himalaia immacolata,
si forma riforma senza chiusa alcuna
ricolma anzi in noi anfore
svuotate dall’umano,
miracolo del giorno delle Nozze.

L’amore è infinito senza siepi confini
come per Lampedusa
in plenomare al plenilunio,
fa volare insieme leggere
nell’alba madreperla ali dissimili
per elezione tutte rivolte ad oriente.

E’ come una preghiera recitata
nel tempio d’aria e sole di Segesta,
ognuno al proprio Dio
dal nome luogo diverso
ma con voce intima uguale che dice
chiede unisce anime di cielo e terra.